Sentenza N. 176 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
02/12/1970
Data deposito/pubblicazione
02/12/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/11/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
codice civile, promosso con ordinanza emessa il 12 febbraio 1969 dal
pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Stazzi Ernesto,
iscritta al n. 128 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 23 aprile 1969.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 28 ottobre 1970 il Giudice relatore
Enzo Capalozza;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel corso di un procedimento penale, dinanzi al pretore di Roma,
per violazione di domicilio a carico di Ernesto Stazzi, veniva
accertato che l’imputato, fidanzato della figlia del querelante, aveva
ricevuto dalla moglie di quest’ultimo il permesso di frequentare
l’abitazione familiare.
Il pretore, con ordinanza del 12 febbraio 1969, riteneva rilevante
e non manifestamente infondato, in riferimento agli artt. 3 e 29 della
Costituzione, il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 144
del codice civile, nella parte in cui dichiara il marito “capo della
famiglia”, in quanto integrante l’art. 614 del codice penale.
Sulla non manifesta infondatezza della questione – premesso che,
per costante giurisprudenza, titolare del diritto di escludere gli
estranei dal domicilio domestico è il capo della famiglia e il suo
divieto non può essere sopraffatto dal consenso della moglie, mentre
il consenso del pater familias prevale sul volere contrario degli altri
– il pretore afferma che tale situazione, che è di evidente disparità
di trattamento, si baserebbe sul citato art. 144, il quale, non
giustificato dalla tutela dell’unità familiare, offenderebbe la
dignità dell’altro coniuge, ridotto ad una condizione di mera
subordinazione.
Al riguardo, osserva che la denunziata disposizione del codice
civile, invertendo il sistema secondo il quale, ai sensi dell’art. 29
della Costituzione, la predetta tutela costituisce una deroga
eccezionale al principio della parità dei coniugi, favorirebbe una
situazione di discordia e, al limite, di disgregazione dell’unità
familiare, che apparirebbe, invece, protetta non dal sacrificio della
posizione paritetica dei coniugi, ma, anzitutto, dal contemperamento
degli interessi, e, successivamente, dalla tutela della volontà che
appaia meglio idonea ad assicurare tale unità.
La violazione del principio di eguaglianza viene, poi, prospettata
per l’ingiusta discriminazione di sesso.
Sulla rilevanza della questione, il pretore sostiene che
l’aprioristica preminenza della volontà del marito rende superflua
ogni indagine sulla fondatezza e la finalità della contraria volontà
della moglie, mentre l’eventuale dichiarazione di illegittimità
costituzionale della citata disposizione consentirebbe al giudice di
dare la prevalenza a quella manifestazione di volontà più idonea a
tutelare gli interessi e l’unità della famiglia, con evidenti riflessi
sul profilo penalistico della questione sottoposta al suo esame.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 105 del 23 aprile 1969.
Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi è stata costituzione
della parte privata.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto con atto
depositato il 13 maggio 1969, nel quale chiede che la questione sia
dichiarata non fondata.
Deduce l’Avvocatura che il contenuto effettivo della potestà
maritale, conservata nel nostro ordinamento per garantire l’unità
della famiglia, non si esaurisce in quei diritti che il denunziato art.
144 del codice civile attribuisce al marito, dopo averlo genericamente
proclamato “capo della famiglia”, ma ne comprende altri, che la
giurisprudenza ha precisati e desunti dal progressivo evolversi della
coscienza sociale.
Sostiene, altresì, che il pretore avrebbe potuto risolvere la
questione in via meramente interpretativa, dato che le più recenti
pronunzie della Cassazione hanno statuito, in piena conformità con il
precetto dell’art. 29 della Costituzione e con i principi seguiti da
questa Corte, che il diritto di proibire l’ingresso nell’abitazione
familiare spetti, bensì, al marito, ma nell’ipotesi inversa, il
consenso del marito non possa ledere il diritto di libertà domestica
conferito a ciascun convivente; e, quando ciò avvenga, il divieto
della moglie e dei figli prevarrebbe su quello del marito.
Per quanto, poi, attiene più direttamente alla questione di
legittimità costituzionale dell’art. 144 (da limitarsi alla sola parte
di esso integrante l’art. 614 cod. pen.), l’Avvocatura nega che sia
fondata, sia perché la regola della prevalenza del divieto del marito
sul consenso della moglie non varrebbe a concretare una posizione di
preminenza e, rispettivamente, di soggezione, sicché non discenderebbe
necessariamente dalla di lui qualità di capo della famiglia; sia
perché in ogni caso, l’eventuale discriminazione fra i coniugi avrebbe
la sua giustificazione nella esigenza di garantire l’unità familiare.
Il che escluderebbe anche la violazione del principio di
eguaglianza.
1. – L’ordinanza di rimessione denunzia a questa Corte, in
riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, l’art. 144 del codice
civile, nella parte in cui definisce il marito capo della famiglia.
Integrando l’art. 614 del codice penale (violazione di domicilio),
detta norma conferirebbe solo al marito la titolarità dello ius
prohibendi e del conseguente diritto di querela.
2. – La questione è irrilevante.
Quale che sia la decisione della Corte, essa non avrebbe alcuna
influenza sul giudizio a quo: infatti, al massimo, si potrebbero
riconoscere alla moglie poteri pari a quelli del marito (melius,
dichiarare illegittimo l’art. 144 cod. civ. nella parte in cui non
attribuisce alla moglie la stessa potestà del marito); ma anche in tal
caso l’opposizione del marito basterebbe a far sì che l’ingresso di
terzi nella casa coniugale, quantunque consentito dalla moglie,
costituisca egualmente reato di violazione di domicilio.
Vero è che, secondo l’ordinanza di rimessione, una volta che sia
riconosciuta la parità dei due coniugi, sarebbe il giudice a stabilire
se prevale il consenso dell’uno o l’opposizione dell’altro; epperò una
tale dichiarazione di illegittimità costituzionale non potrebbe mai
essere pronunciata dalla Corte senza invadere la competenza del potere
legislativo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 144, prima parte, del codice civile, in relazione all’art.
614 del codice penale e in riferimento agli artt. 3 e 29 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.