Sentenza N. 204 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
28/07/1976
Data deposito/pubblicazione
28/07/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/07/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
legge 15 luglio 1966, n. 604 (norme sui licenziamenti individuali),
promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1974 dal pretore di Bologna
nel procedimento civile vertente tra Foresti Franco e l’Opera
universitaria dell’università degli studi di Bologna, iscritta al n.
231 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 180 del 10 luglio 1974.
Udito nella camera di consiglio del 4 giugno 1976 il Giudice
relatore Edoardo Volterra.
Nel corso del procedimento vertente fra Franco Foresti e l’Opera
universitaria dell’università degli studi di Bologna, il pretore di
Bologna, con ordinanza emessa il 7 febbraio 1974, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 15
luglio 1966, n. 604, nella parte in cui delimita l’applicabilità
delle norme della legge stessa (tra cui quella sull’indennità di
anzianità di cui all’art. 9) ai prestatori di lavoro che rivestano la
qualifica d’impiegato e di operaio “… e per quelli assunti in
prova… dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni
caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di
lavoro…”, perché in contrasto con gli artt. 3, 35 e 36 della
Costituzione.
Secondo il pretore, la normativa impugnata, mentre privileggerebbe
i cittadini titolari di un rapporto di lavoro stabile nei confronti di
quegli altri titolari di un rapporto di lavoro, comunque precario,
concreta un’arbitraria differenziazione dei cittadini lavoratori,
frustrando il diritto al lavoro di ogni cittadino in quella che è la
sua naturale esplicazione, e cioè, la legittima aspettativa di un
lavoro stabile.
Il contratto di lavoro in prova sarebbe un contratto di lavoro
completo in tutte le sue parti ed in ogni caso contrasterebbe con
l’art. 36 della Costituzione escludere l’indennità di anzianità che
ha natura retributiva.
1. – L’ordinanza in epigrafe denunzia l’illegittimità
costituzionale dell’art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604:
a) nella parte in cui delimita l’applicabilità delle norme della
legge stessa ai prestatori di lavoro che rivestano la qualifica
d’impiegato e d’operaio;
b) nella parte in cui delimita l’applicabilità delle medesime
norme (e specificamente quella sull’indennità di anzianità di cui
all’art. 9) ai prestatori di lavoro assunti in prova dal momento in cui
l’assunzione diviene definitiva e in ogni caso quando siano decorsi sei
mesi dall’inizio del rapporto di lavoro.
Tale ultima delimitazione, secondo il giudice a quo, violerebbe
l’art. 3 della Costituzione in quanto “privileggerebbe i cittadini
titolari di un rapporto stabile nei confronti di quegli altri titolari
di un rapporto, comunque precario”, nonché l’art. 36 in quanto
frustrerebbe “il diritto al lavoro di ogni cittadino in quella che è
la sua naturale esplicazione e cioè la legittima aspettativa di un
lavoro stabile”. Violerebbe inoltre anche l’art. 35, dato che
l’assunzione in prova sarebbe “un contratto di lavoro completo in tutti
i suoi elementi: e come tale una particolare modalità di
estrinsecazione di lavoro tipico”.
2. – La prima questione enunciata in forma alquanto vaga, ma che
risulta implicitamente dal contesto dell’ordinanza, è chiaramente non
rilevante nel giudizio a quo nel quale non si contesta la qualifica di
operaio del prestatore di lavoro, sibbene l’applicabilità della
normativa di cui all’art. 10 della legge n. 604 del 1966 a coloro che
sono stati assunti in prova.
3. – La seconda questione, esplicitamente enunciata, e di cui il
giudice a quo motiva la rilevanza, non è fondata.
Poche notazioni bastano a dar conto di come al rapporto di lavoro
in prova, caratterizzato dalla facoltà di recesso, non possano, per
intrinseca natura di questo, essere applicati i principi contenuti
nella legge 15 luglio 1966, n. 604, e di come tale esclusione non
contrasti in alcun modo con il dettato costituzionale e particolarmente
con gli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione.
Se infatti l’assunzione in prova (la cui durata viene delimitata,
proprio dall’impugnato art. 10 della legge n. 604, a garanzia del
lavoratore) è posta dall’ordinamento a conferma delle qualificazioni
tecniche che si presuppongono già formalmente acquisite, è chiaro
come le norme sulla stabilità del posto di lavoro contenute nella più
volte richiamata legge n. 604 non possano in alcun modo regolare la
fattispecie in esame senza sconvolgerne l’intima funzione, giustificata
dalla obiettiva necessità di valutare in concreto le capacità
lavorative del soggetto e pertanto non in contrasto né con il
principio d’eguaglianza né con la tutela del lavoro, né con i
principi sulla giusta retribuzione.
Né è da accogliersi l’argomentazione del giudice a quo che la
disposizione della legge impugnata, distinguendo fra assunzione
definitiva e assunzione in prova per la quale si è verificato il
recesso, frustrerebbe “la legittima aspettativa di un lavoro stabile”
con conseguente affermata violazione degli artt. 35 e 36 della
Costituzione. Al contrario, l’art. 10 della legge n. 604 del 1966
dispone che al lavoratore assunto in prova, in ogni caso, decorsi sei
mesi dall’inizio del rapporto di lavoro, è riconosciuta
l’applicabilità della normativa prevista dalla legge n. 604 del 1966
per i lavoratori la cui assunzione è definitiva. Ugualmente non può
accogliersi l’affermazione del medesimo giudice che l’assunzione in
prova sia un contratto di lavoro completo in tutti i suoi elementi
equiparabile a tutti gli effetti a quelli del contratto definitivo. Con
ciò non si tiene conto dell’elemento specifico che individua la causa
dell’assunzione in prova e distingue questa dal contratto definitivo,
cioè accertamento di determinate qualificazioni tecniche del
prestatore, necessarie allo svolgimento dell’attività per la quale
intende essere assunto e la subordinazione del rapporto di lavoro alla
condizione sospensiva negativa che nessuna delle parti receda entro il
termine fissato dal legislatore.
4. – Per quanto poi riguarda l’indennità di anzianità, questa
Corte con varie sentenze (fra cui n. 75 del 1968, 14 del 1970, 104 del
1971, 85 del 1972, 188 del 1973, 85 del 1974), ribadendo il principio
che tale indennità riveste carattere retributivo, costituente parte
del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene
differita al momento della cessazione del rapporto, ha ripetutamente
affermato il contrasto fra l’art. 36 della Costituzione e le diverse
disposizioni di legge che escludono o limitano il diritto del
prestatore di lavoro ad un’indennità proporzionata al periodo di
servizio, nel caso di cessazione del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato. Ma i motivi che hanno sorretto tali decisioni non
possono essere invocati per quanto concerne il rapporto giuridico di
assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova, rapporto
che ha natura giuridica nettamente distinta da quella del contratto di
lavoro a tempo indeterminato.
Già la Corte (sentenze n. 14 del 1970 e 169 del 1973), esaminando
la differenza fra il contratto di apprendistato e quello di assunzione
in prova, ha chiaramente delineato le caratteristiche di questo ultimo.
“Tanto meno” ha affermato la Corte “varrebbe ad equiparare il contratto
in esame (di apprendistato) a quello in prova, per giustificare,
costituzionalmente, l’inapplicabilità della indennità di anzianità.
L’assunzione in prova (art. 2096 cod. civ.) è contratto diverso da
quello di apprendistato… La prova ha una funzione di conferma di
qualificazioni tecniche che si presuppongono già formalmente
acquisite, mentre l’apprendistato ha per funzione la loro
acquisizione”.
Più specificatamente, la giurisprudenza ordinaria ha precisato che
l’assunzione in prova è un contratto subordinato alla condizione che
ciascuna delle due parti non receda prima della scadenza del termine.
Se ciò non si verifica, compiuto il periodo di prova, l’assunzione
diviene definitiva e il rapporto di lavoro diviene quello di un
contratto a tempo indeterminato e pertanto è indubbio che al termine
di esso venga corrisposta l’indennità di anzianità per il servizio
prestato, computandosi in questo anche il periodo di prova. Diverso
invece è il caso di recesso durante il periodo di prova poiché, anche
senza arrivare alla conclusione che il valido recesso farebbe sì che
giuridicamente un contratto di lavoro non fosse mai esistito,
asserzione che non eliminerebbe, peraltro, la sussistenza in fatto del
rapporto di lavoro, può correttamente dirsi che il contratto di lavoro
nel periodo di prova, non seguito da assunzione, si configura come
contratto a tempo determinato. Manca, così, il presupposto della
indennità, che ha, nella indeterminatezza della durata della
prestazione, la sua logica giustificazione.
L’interpretazione della giurisprudenza ordinaria della vigente
normativa coincide, quanto a motivi di giustificazione della medesima
sul piano della legittimità costituzionale, con quanto ha ritenuto la
Corte in materia d’indennità di anzianità, la quale ha sì natura di
retribuzione differita, ma ha la funzione di sussidio patrimoniale, la
cui necessità deriva dalla cessazione di un contratto di lavoro il cui
termine finale non era stato predeterminato dalle parti. Mancando tale
funzione appare quindi razionalmente stabilito dalla normativa
contenuta negli artt. 9 e 10 della legge n. 604 del 1966, in
riferimento agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, che la indennità
di anzianità non debba essere corrisposta all’atto della cessazione
del rapporto di lavoro di un prestatore assunto in prova. Ciò a
prescindere da altri eventuali diritti, spettanti al lavoratore, in
funzione della durata del rapporto, in relazione ai quali non è stata
sollevata questione di legittimità costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara:
1) inammissibile per manifesta irrilevanza la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 15 luglio 1966, n.
604, nella parte in cui delimita l’applicabilità della normativa ai
prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di
operaio;
2) non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui
delimita l’applicabilità della normativa e specificamente dell’art. 9
ai prestatori di lavoro assunti in prova, dal momento in cui la loro
assunzione diviene definitiva e in ogni caso quando sono decorsi sei
mesi dall’inizio del rapporto di lavoro in riferimento agli artt. 3, 35
e 36 della Costituzione, promossa con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere