Sentenza N. 208 del 2001
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/2001
Data deposito/pubblicazione
26/06/2001
Data dell'udienza in cui è stato assunto
06/06/2001
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA,
Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda
CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
18 febbraio 1999, n. 28, recante “Disposizioni in materia tributaria,
di funzionamento dell’amministrazione finanziaria e di revisione
generale del catasto”, promossi con ricorsi delle regioni Piemonte,
Veneto e Lombardia, notificati il 24 marzo 1999, depositati in
cancelleria, i primi due, il 31 marzo e, il terzo, il 1° aprile 1999
ed iscritti rispettivamente ai nn. 10, 11 e 12 del registro ricorsi
1999.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2001 il giudice
relatore Fernanda Contri;
Uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per le regioni
Piemonte e Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per la regione
Lombardia e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Piemonte ha sollevato in via principale, in riferimento agli artt. 3,
53, 76, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio
1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento
dell’amministrazione finanziaria e di revisione generale del
catasto), recante – a tenore della rubrica – “Interpretazione
autentica della disciplina concernente le ritenute sugli interessi e
sui redditi di capitale”.
La disposizione censurata ha ad oggetto l’art. 26, quarto comma,
terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni
comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), che
disciplina le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale,
disponendo che esse “sono applicate a titolo di imposta nei confronti
dei soggetti esenti dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche
ed in ogni altro caso”. L’impugnata disposizione interpretativa
stabilisce che la riportata norma, “riguardante l’applicazione della
ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti
delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, deve
intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti
dei soggetti esclusi dall’imposta sul reddito delle persone
giuridiche”.
Ad avviso della ricorrente, il denunciato art. 14 della legge
n. 28 del 1999 risulta irragionevole innanzi tutto alla luce
dell’art. 88, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), a norma del
quale – in seguito ad una modifica introdotta, con effetto dal
1° gennaio 1991, dall’art. 4, comma 3, del d.l. n. 310 del 1990,
convertito nella legge n. 403 del 1990 – non sono soggetti
all’imposta sul reddito delle persone giuridiche “gli organi e le
amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo,
anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, [i consorzi tra
enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demani
collettivi,] le comunità montane, le province e le regioni”. È
“contraddittorio”, osserva a questo riguardo la difesa della Regione,
ed in contrasto con il principio di capacità contributiva,
“prevedere, ad un tempo, la non assoggettabilità a tributo di un
dato soggetto e l’obbligo, per questo, di sottoporsi ad una ritenuta
d’imposta”, senza, tra l’altro – in contrasto con il principio di
eguaglianza – che sia contemplata la possibilità di recuperare tale
ritenuta in sede di dichiarazione annuale, secondo quanto previsto
prima della modifica dell’art. 88 del testo unico, quando la regione,
soggetto passivo Irpeg, era tenuta a differenziare le proprie
operazioni, a contabilizzare a parte quelle fiscalmente rilevanti e a
subire la ritenuta a titolo d’imposta, accompagnata dalla facoltà di
recupero.
In altri termini, l’art. 53 della Costituzione ed il principio di
ragionevolezza risulterebbero violati “poiché la ritenuta a titolo
d’imposta cade su somme depositate in conto corrente che non sono
correlate al presupposto in base al quale un soggetto è colpito
dall’Irpeg: infatti, la regione non compie – per definizione, ex
art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 – le attività di cui
all’art. 51 del medesimo decreto presidenziale e, nondimeno, è
tenuta a subire un prelievo che si traduce in un esborso sine
titulo”.
Il principio di ragionevolezza, ad avviso della ricorrente,
avrebbe subito un vulnus dalla disciplina denunciata anche a causa
dell’uso distorto da parte del legislatore, in questa occasione,
dello strumento della legge interpretativa: “la preoccupazione di
acquisire disponibilità finanziarie, accompagnata dal metodo
concretamente prescelto – ricorso alla legge interpretativa, perché
retroattiva, incidente non sulla soggettività tributaria
sostanziale, ma su un meccanismo procedurale, qual è lo strumento
della ritenuta – ha portato alla manipolazione artificiosa del
sistema creato con l’art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 ed
alle conseguenti … distorsioni”.
Le denunciate distorsioni si traducono, secondo la difesa della
regione Piemonte, in una lesione dell’autonomia finanziaria della
stessa e del suo status costituzionale complessivamente inteso, come
definito dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione. A questo
riguardo, nel ricorso, si legge: “là dove il legislatore ha
surrettiziamente assoggettato ad Irpeg, attraverso una ritenuta a
titolo d’imposta, la regione, dopo averla esclusa dall’area di
operatività del tributo, in violazione tra l’altro degli artt. 3, 53
e 97 della Costituzione …, ha disposto un prelievo coatto a carico
di disponibilità regionali costitutive dell’autonomia finanziaria
dell’ente”.
nel ricorso si rammenta che alla citata modifica apportata nel 1990
all’art. 88 del testo unico – per equiparare gli enti territoriali
allo Stato nel regime di esclusione dall’Irpeg, analogamente a quanto
già previsto per diversi altri tributi – anche l’amministrazione
finanziaria si è inizialmente adeguata con la risoluzione
ministeriale 11 novembre 1991 n. 11/19733 e con la risoluzione della
Direzione generale delle imposte dirette 8 gennaio 1993, n. 8/645.
Alla modifica dell’art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986, ad opera
del citato d.-l. n. 310 del 1990, si è successivamente adeguata –
afferma, con dovizia di riferimenti, la difesa della regione – la
giurisprudenza tributaria.
D’altra parte, deduce la ricorrente, “è solo equivocando circa
il significato dell’espressione “in ogni altro caso (di cui
all’art. 26, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 …) che si
può pretendere di annoverare i soggetti esclusi dall’ambito di
operatività dell’Irpeg tra quelli tenuti a subire la ritenuta
d’imposta”; e ciò, si legge nel ricorso, anche per una ragione
ulteriore: “poiché la norma del quarto comma dell’art. 26
preesisteva alla modifica introdotta dal T.U., non poteva prevedere
ipotesi di non soggettività allora inesistenti completamente, ma
solo ipotesi di esenzione dall’Irpeg tutte disciplinate dal d.P.R.
n. 601 del 1973”, coerentemente con le disposizioni della legge di
delega per la riforma tributaria n. 825 del 1971, che, opinando
diversamente, nel senso poi disposto dalla disposizione censurata,
risulterebbe, ad avviso della regione, violata, unitamente
all’art. 76 della Costituzione.
La ritenuta a titolo d’imposta di cui si tratta appare alla
ricorrente ancor più irragionevole in quanto si consideri che i
fondi di tesoreria, nel sistema di tesoreria unica di cui alla legge
n. 720 del 1984, “non sono depositi bancari”. Le somme generatrici
degli interessi colpiti dalla ritenuta “concernono risorse che
affluiscono alla regione nell’ambito del sistema di tesoreria unica
…, risorse che sono della regione e che nulla hanno a che vedere
con il presupposto dell’Irpeg”.
2. – Nel giudizio davanti a questa Corte, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito il Presidente
del Consiglio dei ministri per chiedere la declaratoria di
inammissibilità o il rigetto del ricorso della regione Piemonte.
Secondo l’Avvocatura, il ricorso sarebbe anzitutto inammissibile
in quanto la regione agirebbe “come contribuente”, lamentando una
lesione di competenze di cui in realtà non dispone. La regione “non
ha competenza alcuna in materia di imposizione sul reddito”, né
“può pensarsi che l’obbligazione di imposta ossia il prelievo a
carico di disponibilità finanziarie regionali limiti l’autonomia
garantita dall’art. 119 Cost.”. Si tratterebbe di un effetto di mero
fatto del tutto irrilevante: diversamente, rileva la difesa erariale,
“si dovrebbe ritenere che può portarsi sul piano costituzionale ogni
rapporto nel quale la regione possa configurarsi come debitore”.
nel merito, si osserva che “la ritenuta di imposta è una imposizione
reale distinta dalla imposizione personale sul reddito, sì che non
vi è contraddizione tra non soggezione all’Irpeg e soggezione alla
ritenuta”. L’art. 26 del d.P.R. n. 600, aggiunge l’Avvocatura,
prevede “che alla ritenuta sono tenuti tutti i soggetti (anche lo
Stato)” e “solo perché si è aperto sul punto un esteso contenzioso
è apparso opportuno emanare una norma interpretativa che è
veramente tale”.
3. – Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la regione
Veneto ha sollevato in via principale, in riferimento agli artt. 3,
53, 76, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dello stesso art. 14 della legge
18 febbraio 1999, n. 28.
Nell’atto introduttivo del presente giudizio, la difesa della
regione Veneto svolge le medesime deduzioni contenute nel ricorso
della regione Piemonte, testé illustrate.
4. – Nel giudizio davanti a questa Corte, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito il Presidente
del Consiglio dei ministri per chiedere la declaratoria di
inammissibilità o il rigetto del ricorso della regione Veneto, sulla
scorta degli stessi argomenti già addotti avverso il ricorso della
regione Piemonte.
5. – Con ricorso regolarmente notificato e depositato, anche la
regione Lombardia ha sollevato in via principale, in riferimento agli
artt. 53, 76, 101, secondo comma, 114, 115 e 119 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge
18 febbraio 1999, n. 28.
Nei confronti della disciplina impugnata, il ricorso della
regione Lombardia prospetta censure in larga misura coincidenti con
quelle, già esaminate, contenute nei ricorsi delle regioni Piemonte
e Veneto.
La ricorrente lamenta innanzi tutto la violazione del combinato
disposto degli artt. 114, 115, 119, 53 e 76 della Costituzione, così
come attuati dall’art. 88 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ed in
relazione ai principi della legislazione tributaria e ai principi
affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di leggi
interpretative.
Sotto quest’ultimo profilo, la difesa della regione, richiamando
alcune decisioni costituzionali, censura l’uso distorto – e lesivo
dei principi di ragionevolezza e affidamento – dello strumento della
legge interpretativa da parte del legislatore statale, escludendo la
riconducibilità (del contenuto) della legge denunciata ad uno dei
possibili significati della legge interpretata. A questo proposito,
si osserva che l’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, oggetto della
denunciata legge interpretativa, nella parte in cui dispone che le
ritenute sono applicate a titolo di imposta nei confronti dei
soggetti esenti da Irpeg “ed in ogni altro caso”, va interpretato
alla luce della legge di delega, la quale, “nel prevedere la ritenuta
(a titolo d’acconto o d’imposta) sui redditi di capitale corrisposti
esclusivamente a soggetti Irpeg o a soggetti esenti, aveva dimostrato
la chiara intenzione di non assoggettare al prelievo alla fonte i
soggetti esclusi dal tributo”.
La regione Lombardia censura la previsione legislativa che
assoggetta le regioni alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta,
sottolineando altresì che, “in base ai principi propri della
legislazione tributaria, la posizione di “contribuente sostituito
postula necessariamente la soggettività ai fini dell’imposta: se ne
deduce che, in difetto, la ritenuta non può essere applicata”.
La disciplina impugnata sarebbe d’altro canto in contrasto con
l’art. 119 della Costituzione, giacché l’esclusione dall’Irpeg della
regione deriverebbe dalla sua natura di ente politico e sarebbe
pertanto “direttamente collegata” con il suo grado di autonomia
finanziaria costituzionalmente garantita.
La difesa della regione osserva poi che l’art. 26 del d.P.R.
n. 600 del 1973, oggetto di interpretazione autentica, “deve dettare
esclusivamente disposizioni in ordine all’applicazione dell’imposta,
non potendo attrarre a tassazione ciò che la disciplina istitutiva
esclude”; anche perché, si legge nel ricorso, il d.P.R. n. 600 del
1973 “è stato emanato in attuazione di una delega relativa al solo
accertamento e non anche alla potestà impositiva”: attraverso una
disposizione in materia di riscossione – conclude su questo punto la
regione, censurando la “intrinseca contraddittorietà” della
disposizione impugnata – si determina “una sostanziale reviviscenza
della soggettività tributaria esclusa da una norma di diritto
sostanziale”.
Sulla scorta di ampi richiami di giurisprudenza costituzionale,
la difesa della regione si duole poi della lesione dell’art. 101,
secondo comma, della Costituzione. L’impugnata disciplina sarebbe
infatti “finalizzata a bloccare le numerose richieste di rimborso
avanzate dagli enti locali a seguito della intervenuta esclusione
degli stessi dall’applicazione dell’imposta sui redditi delle persone
giuridiche e ad incidere, di conseguenza, sui giudizi in corso”. Ad
avviso della ricorrente, l’orientamento della prevalente
giurisprudenza tributaria, nonché la discrepanza tra la risoluzione
ministeriale dell’8 gennaio 1993 n. 8/645 e quella, successiva, del
28 dicembre 1993, n. 5/19846 “inducono a ritenere che l’introduzione
nel nostro ordinamento dell’art. 14 della legge n. 28 del 1999 sia
stata chiaramente finalizzata ad interferire sui giudizi instaurati
dagli enti contemplati dall’art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986 per il
rimborso delle ritenute applicate a loro carico ai sensi dell’art. 26
del d.P.R. n. 600 del 1973”.
6. – Anche in questo giudizio, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito il Presidente
del Consiglio dei ministri per chiedere la declaratoria di
inammissibilità o il rigetto del ricorso della regione Lombardia,
sulla scorta dei medesimi argomenti, già illustrati, addotti avverso
i primi due ricorsi.
7. – In prossimità dell’udienza, la regione Piemonte ha
depositato una memoria illustrativa per insistere nelle censure
prospettate in sede del ricorso e per argomentarne più diffusamente
i motivi.
In particolare, quanto alla natura del contestato prelievo, la
regione sottolinea che la ritenuta, d’acconto o a titolo d’imposta,
“rappresenta una obbligazione di carattere strumentale, comunque
riconducibile a un soggetto passivo (in senso sostanziale) di un
rapporto giuridico d’imposta”.
In merito all’asserita lesione della propria autonomia
finanziaria, la ricorrente replica alle obiezioni dell’Avvocatura
precisando che tale lesione deriverebbe soprattutto dal carattere
retroattivo della disposizione impugnata, illegittimamente incidente
sulla consistenza delle risorse finanziarie della regione.
8. – In prossimità dell’udienza, anche la regione Veneto ha
depositato una memoria illustrativa per insistere nelle censure
prospettate in sede di ricorso, adducendo argomenti analoghi a quelli
proposti dalla difesa della regione Piemonte.
9. – Non diversamente dalle prime due ricorrenti, la regione
Lombardia ha sviluppato in una memoria illustrativa le deduzioni
formulate nel ricorso ed ha svolto argomentazioni ulteriori, anche
per replicare alle eccezioni e alle difese dell’Avvocatura.
In particolare, la regione Lombardia osserva che, in base alla
normativa sul sistema di tesoreria (art. 2 della legge n. 720 del
1984; art. 40 della legge n. 119 del 1981; art. 2, commi 1 e 4, del
d.m. 11 aprile 1981; art. 7 del decreto legislativo n. 279 del 1997;
art. 66 della legge n. 388 del 2000), le assegnazioni, i contributi e
quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato dovuti alle regioni
affluiscono in conti infruttiferi ad esse intestati presso le
tesorerie dello Stato, mentre solo le entrate proprie delle regioni,
nella misura individuata dalla legislazione statale, sono
suscettibili di produrre interessi: “nel caso di specie”, afferma la
difesa della Regione, “si tratta … di somme “proprie delle regioni
depositate in conti fruttiferi presso le tesorerie regionali e
pertanto sottoposte ad una disciplina diversa rispetto a quelle
depositate presso la tesoreria dello Stato”. Nel caso di specie,
continua la ricorrente, “non si contesta il carattere infruttifero
dei conti intestati presso la tesoreria dello Stato, bensì la
previsione, con efficacia retroattiva, dell’applicabilità della
ritenuta Irpeg sugli interessi prodotti da somme “proprie della
regione, soggetto escluso dall’imposta, somme che per disposto della
legislazione statale sono state depositate presso la tesoreria
regionale su conti correnti fruttiferi”.
Nella memoria, la regione Lombardia richiama diffusamente la più
recente giurisprudenza costituzionale, per insistere nelle censure
prospettate in riferimento all’art. 76 della Costituzione (sentenze
n. 292 e n. 425 del 2000) e sotto il profilo dell’uso distorto del
potere di interpretazione autentica (sentenza n. 525 del 2000).
10. – Nell’imminenza della data fissata per l’udienza,
l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato tre memorie
illustrative, di contenuto analogo, per argomentare ulteriormente
l’infondatezza delle questioni sollevate in via principale dalle
regioni ricorrenti.
Negando l’incisione, ad opera dell’impugnata disposizione
interpretativa, delle attribuzioni regionali, la difesa erariale
esclude innanzi tutto una significativa decurtazione dei mezzi
finanziari delle ricorrenti, “attesa la ordinaria “marginalità delle
“operazioni interessate dalla ritenuta nel quadro complessivo della
finanza regionale”, tanto più, aggiunge l’Avvocatura, che “le
giacenze di tesoreria della regione non generano frutti suscettibili
della ritenuta di imposta de qua”.
Sulla natura della contestata ritenuta, l’Avvocatura osserva che
essa “esaurisce, con carattere di realità il prelievo tributario
sulle specifiche rendite finanziarie considerate … con
l’applicazione di un’aliquota proporzionale … inferiore (27)
rispetto a quella prevista per l’Irpeg (37)”. Si configurerebbe
pertanto “una imposizione … diversa e distinta rispetto alla
imposizione personale propria dell’Irpeg, la quale colpisce il
reddito complessivo netto delle società e degli altri enti che vi
sono assoggettati”, espressione di una non irragionevole scelta
discrezionale del legislatore tributario.
Sulla scorta della affermata distinzione tra le due ipotesi di
prelievo, la difesa erariale esclude anche la violazione del
principio di eguaglianza, prospettata dalle regioni Piemonte e Veneto
in considerazione dell’impossibilità di recuperare la ritenuta
subita in sede di dichiarazione annuale.
L’Avvocatura esclude altresì la violazione dell’art. 53 della
Costituzione: “la ritenuta … afferisce unicamente ad alcuni redditi
di capitale percetti (anche) dall’ente regionale – i quali
indubbiamente costituiscono di per sé indici ragionevoli di
ricchezza – … e non ad un ipotetico reddito di impresa: sicché è
irrilevante la considerazione che, per definizione legislativa, la
regione non compia le attività di cui all’art. 51 del T.u.i.r.
n. 917 del 1986”.
In sede di replica alle censure prospettate dalla regione
Lombardia, la difesa erariale, richiamando la giurisprudenza di
Cassazione, afferma la riconducibilità della disposizione
interpretativa impugnata al novero dei significati ascrivibili alla
disposizione interpretata, per sottolineare il corretto uso dello
strumento della legge di interpretazione autentica in funzione di
superamento di incertezze interpretative emerse in sede applicativa.
La difesa erariale esclude infine la violazione dell’art. 76
della Costituzione, rilevando che la disposizione impugnata è stata
introdotta con legge ordinaria e non già con legge delegata.
sollevato in via principale, in riferimento agli articoli 3, 53, 76,
97, 117, 118 e 119 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28
(Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento
dell’amministrazione finanziaria e di revisione generale del
catasto), recante – a tenore della rubrica – “Interpretazione
autentica della disciplina concernente le ritenute sugli interessi e
sui redditi di capitale”, il quale prevede che l’art. 26, quarto
comma, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
(Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi), “riguardante l’applicazione della ritenuta a titolo
d’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e
titoli similari e sui conti correnti, deve intendersi nel senso che
tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti – tra i
quali, le regioni – esclusi dall’imposta sul reddito delle persone
giuridiche”.
Con un terzo ricorso, la regione Lombardia ha sollevato in via
principale questione di legittimità costituzionale del medesimo
art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, in riferimento agli
artt. 53, 76, 101, secondo comma, 114, 115 e 119 della Costituzione.
La disposizione interpretativa impugnata ha ad oggetto l’art. 26,
quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600
(Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi), che disciplina le ritenute sugli interessi e sui redditi di
capitale, disponendo che esse “sono applicate a titolo di imposta nei
confronti dei soggetti esenti dall’imposta sul reddito delle persone
giuridiche ed in ogni altro caso”. L’impugnato art. 14 della legge
18 febbraio 1999, n. 28, recante “Interpretazione autentica della
disciplina concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di
capitale”, stabilisce, come si è poc’anzi ricordato, che l’art. 26,
quarto comma, terzo periodo, “deve intendersi nel senso che tale
ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi
dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche”.
In gran parte coincidenti, le molteplici censure prospettate con
i tre ricorsi possono essere raggruppate e riformulate nei termini
seguenti.
In riferimento agli artt. 3 (parametro evocato solo dalle regioni
Piemonte e Veneto), sotto il profilo del principio di ragionevolezza,
e 101, secondo comma (parametro evocato solo dalla regione
Lombardia), della Costituzione, l’impugnato art. 14 della legge n. 28
del 1999 sarebbe illegittimo in quanto disposizione legislativa
frutto di un uso distorto e arbitrario dello strumento della legge
interpretativa, non riconducibile ad uno dei possibili significati
della legge interpretata: “la preoccupazione di acquisire
disponibilità finanziarie, accompagnata dal metodo concretamente
prescelto … ha portato alla manipolazione artificiosa del sistema
creato con l’art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986” (ricorsi
del Piemonte e del Veneto); la disposizione impugnata sarebbe
“finalizzata a bloccare le numerose richieste di rimborso avanzate
dagli enti locali a seguito della intervenuta esclusione degli stessi
dall’applicazione dell’imposta sui redditi delle persone giuridiche e
ad incidere, di conseguenza, sui giudizi in corso” (ricorso della
Lombardia).
In riferimento agli artt. 3, sotto il duplice profilo del
principio di eguaglianza e ragionevolezza, e 53 della Costituzione,
la disciplina denunciata sarebbe costituzionalmente illegittima
giacché l’art. 88, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), dispone –
in seguito alla modifica introdotta, con effetto dal 1° gennaio 1991,
dall’art. 4, comma 3, del d.-l. n. 310 del 1990, convertito nella
legge n. 403 del 1990 – che le regioni non sono soggette all’imposta
sul reddito delle persone giuridiche. Ad avviso delle ricorrenti,
sarebbe “contraddittorio” ed in contrasto con il principio di
capacità contributiva “prevedere, ad un tempo, la non
assoggettabilità a tributo di un dato soggetto e l’obbligo, per
questo, di sottoporsi ad una ritenuta d’imposta”, senza, tra l’altro,
che sia contemplata la possibilità di recuperare tale ritenuta in
sede di dichiarazione annuale; in altri termini, l’art. 53 della
Costituzione ed i principi di eguaglianza e ragionevolezza
risulterebbero violati “poiché la ritenuta a titolo d’imposta cade
su somme depositate in conto corrente che non sono correlate al
presupposto in base al quale un soggetto è colpito dall’Irpeg:
infatti, la Regione non compie – per definizione, – ex art. 88, comma
1, del d.P.R. n. 917 del 1986 – le attività di cui all’art. 51 del
medesimo decreto presidenziale e, nondimeno, è tenuta a subire un
prelievo che si traduce in un esborso sine titulo” (ricorsi del
Piemonte e del Veneto).
L’art. 14 della legge n. 28 del 1999 violerebbe poi l’autonomia
finanziaria e lo status costituzionale delle ricorrenti, come
definito dagli artt. 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione. Nei
ricorsi del Piemonte e del Veneto, che invocano solo gli
artt. 117-119 Cost., si afferma che “là dove il legislatore ha
surrettiziamente assoggettato ad Irpeg, attraverso una ritenuta a
titolo d’imposta, la regione, dopo averla esclusa dall’area di
operatività del tributo … ha disposto un prelievo coatto a carico
di disponibilità regionali costitutive dell’autonomia finanziaria
dell’ente”; d’altro canto, lamenta la difesa della Lombardia, che
invoca solo gli artt. 114, 115 e 119, l’esclusione dall’Irpeg della
regione deriverebbe dalla sua natura di ente politico e sarebbe
pertanto “direttamente collegata” con il suo grado di autonomia
finanziaria costituzionalmente garantita.
In riferimento all’art. 76 della Costituzione, l’art. 14 della
legge n. 28 del 1999 risulterebbe incostituzionale giacché l’art. 26
del d.P.R. n. 600 del 1973, oggetto della denunciata disposizione
interpretativa, nella parte in cui dispone che le ritenute sono
applicate a titolo di imposta nei confronti dei soggetti esenti da
Irpeg “ed in ogni altro caso”, va interpretato alla luce della legge
di delega, la quale, “nel prevedere la ritenuta (a titolo d’acconto o
d’imposta) sui redditi di capitale corrisposti esclusivamente a
soggetti Irpeg o a soggetti esenti, aveva dimostrato la chiara
intenzione di non assoggettare al prelievo alla fonte i soggetti
esclusi dal tributo”; l’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, oggetto
di interpretazione autentica, potrebbe pertanto “dettare
esclusivamente disposizioni in ordine all’applicazione dell’imposta,
non potendo attrarre a tassazione ciò che la disciplina istitutiva
[la delega] esclude”.
In riferimento all’art. 97 della Costituzione, l’impugnata
disciplina sarebbe infine costituzionalmente illegittima in
considerazione dell’impatto sfavorevole che la disciplina impugnata
avrebbe, come si legge nel ricorso del Piemonte e della Lombardia,
“sul piano dell’attività amministrativa e finanziaria”.
2. – Con i ricorsi in epigrafe, le regioni Piemonte, Veneto e
Lombardia impugnano le medesime disposizioni legislative invocando
parametri costituzionali in gran parte coincidenti e lamentandone la
violazione sotto profili omogenei. I relativi giudizi possono
pertanto essere riuniti e decisi con un’unica sentenza.
3. – Occorre anzitutto scrutinare la questione di legittimità
costituzionale sollevata in riferimento ai parametri costituzionali
inclusi nel titolo V della parte II della Costituzione.
L’art. 14 della legge n. 28 del 1999, ad avviso delle regioni
Piemonte e Veneto, violerebbe l’autonomia finanziaria e lo status
costituzionale delle ricorrenti, come definito dagli artt. 114, 115,
117, 118 e 119 della Costituzione: “là dove il legislatore ha
surrettiziamente assoggettato ad Irpeg, attraverso una ritenuta a
titolo d’imposta, la regione, dopo averla esclusa dall’area di
operatività del tributo… ha disposto un prelievo coatto a carico
di disponibilità regionali costitutive dell’autonomia finanziaria
dell’ente”; d’altro canto – si sostiene nel ricorso della regione
Lombardia, che invoca gli artt. 114, 115 e 119 della Costituzione –
l’esclusione dall’Irpeg della regione deriverebbe dalla sua natura di
ente politico e sarebbe pertanto “direttamente collegata” con il suo
grado di autonomia finanziaria costituzionalmente garantita.
La questione è inammissibile.
La costante giurisprudenza di questa Corte in tema di autonomia
finanziaria regionale ha, ancora di recente, ribadito che la
Costituzione non garantisce alle regioni una determinata quantità di
risorse, ma solo il diritto a disporre di risorse finanziarie che
risultino complessivamente non inadeguate rispetto ai compiti loro
attribuiti (sentenza n. 507 del 2000).
La Costituzione, in altri termini, non definisce né garantisce
l’autonomia finanziaria delle regioni in termini quantitativi, a meno
che non si determini quella “grave alterazione” del necessario
rapporto di complessiva corrispondenza che – nel rispetto delle
compatibilità con i vincoli generali derivanti dalle preminenti
esigenze della finanza pubblica nel suo insieme – deve sussistere fra
bisogni regionali e oneri finanziari per farvi fronte, affinché alle
regioni stesse non sia impedito il normale espletamento delle loro
funzioni (sentenza n. 123 del 1992; v. anche la sentenza n. 370 del
1993).
L’autonomia finanziaria delle regioni postula piuttosto che esse
abbiano la effettiva disponibilità delle risorse loro attribuite ed
il potere di manovra dei mezzi finanziari (sentenza n. 171 del 1999).
Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, la censura
concernente l’asserita lesione dell’autonomia finanziaria e dello
status costituzionale delle regioni – le Regioni Piemonte e Veneto
lamentano che il legislatore avrebbe “disposto un prelievo coatto a
carico di disponibilità regionali costitutive dell’autonomia
finanziaria dell’ente”, mentre la Lombardia asserisce che
l’esclusione dall’Irpeg della regione deriverebbe dalla sua natura di
ente politico e sarebbe pertanto “direttamente collegata” con il suo
grado di autonomia finanziaria costituzionalmente garantita – si
appalesa priva di motivazione, non avendo le regioni neppure spiegato
perché, a loro avviso, il prelievo in questione ridondi in lesione
dell’autonomia finanziaria impedendo l’espletamento delle loro
funzioni (v. sentenze n. 103 del 2001, n. 171 del 1999, n. 244 del
1997, n. 25 del 1996).
4. – Anche in riferimento agli artt. 3, sotto il profilo del
principio di ragionevolezza, e 101, secondo comma, della
Costituzione, la questione di legittimità costituzionale
dell’impugnata disposizione interpretativa deve essere dichiarata
inammissibile, giacché una ipotetica lesione di tali principi non
può di per sé tradursi in una menomazione di competenze regionali.
5. – In riferimento agli artt. 3, sotto il duplice profilo del
principio di eguaglianza e ragionevolezza, e 53 della Costituzione,
la disciplina denunciata sarebbe poi, ad avviso delle ricorrenti,
costituzionalmente illegittima giacché l’art. 88, comma 1, del testo
unico delle imposte sui redditi esclude le regioni dall’imposta sul
reddito delle persone giuridiche, ciò che renderebbe
“contraddittorio” ed in contrasto con il principio di capacità
contributiva prevedere, come si legge nei ricorsi del Piemonte e del
Veneto, “ad un tempo, la non assoggettabilità a tributo di un dato
soggetto e l’obbligo, per questo, di sottoporsi ad una ritenuta
d’imposta”.
La questione è inammissibile.
Deve infatti essere accolta l’eccezione sollevata dall’Avvocatura
dello Stato, ad avviso della quale la regione agirebbe in questo
frangente “come contribuente”, lamentando una lesione di competenze
di cui in realtà non dispone, e dovendosi escludere “che
l’obbligazione di imposta ossia il prelievo a carico di
disponibilità finanziarie regionali limiti l’autonomia garantita
dall’art. 119 Cost.”. Poiché si tratterebbe – come sostiene la
difesa erariale – di un effetto di mero fatto in sé irrilevante;
diversamente, ogni rapporto nel quale la regione possa configurarsi
come debitore rileverebbe sul piano costituzionale.
6. – In riferimento all’art. 76 della Costituzione, la questione
è parimenti inammissibile, dovendosi anche in questo caso accogliere
l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello
Stato.
Ad avviso delle ricorrenti, l’art. 14 della legge n. 28 del 1999
risulterebbe incostituzionale giacché l’art. 26 del d.P.R. n. 600
del 1973, oggetto della denunciata disposizione interpretativa, nella
parte in cui dispone che le ritenute sono applicate a titolo di
imposta nei confronti dei soggetti esenti da Irpeg “ed in ogni altro
caso”, va interpretato alla luce della legge di delega, la quale,
“nel prevedere la ritenuta (a titolo d’acconto o d’imposta) sui
redditi di capitale corrisposti esclusivamente a soggetti Irpeg o a
soggetti esenti, aveva dimostrato la chiara intenzione di non
assoggettare al prelievo alla fonte i soggetti esclusi dal tributo”.
Condivisibile è l’eccezione della difesa erariale, che esclude
la violazione dell’art. 76 della Costituzione, rilevando che la
disposizione impugnata è stata introdotta con legge ordinaria e non
già con legge delegata.
7. – Anche in riferimento all’art. 97 della Costituzione, la
questione è inammissibile.
La doglianza avanzata dalle regioni Piemonte e Veneto, in base
alla quale l’impugnata disciplina sarebbe costituzionalmente
illegittima in considerazione dell’impatto sfavorevole che la stessa
avrebbe “sul piano dell’attività amministrativa e finanziaria”, per
altro formulata in termini meramente assertivi, non evidenzia alcuna
menomazione di attribuzioni regionali.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
Dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28
(Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento
dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del
catasto), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53, 76, 97, 117,
118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso
in epigrafe;
Dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28
(Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento
dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del
catasto), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53, 76, 97, 117,
118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso in
epigrafe;
Dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28
(Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento
dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del
catasto), sollevata, in riferimento agli artt. 53, 76, 101, secondo
comma, 114, 115 e 119 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con
il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2001.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Contri
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 26 giugno 2001.
Il direttore della cancelleria: Di Paola