Sentenza N. 226 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
18/11/1976
Data deposito/pubblicazione
18/11/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/11/1976
OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA
REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO
VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof.
ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 (Delega al Governo per
l’emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo,
ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare,
secondaria e artistica dello Stato) e dell’articolo unico, primo comma,
n. 3, della legge 19 maggio 1975, n. 167 (Proroga del termine per
l’emanazione di alcuni decreti con valore di legge ordinaria di cui
alla legge 30 luglio 1973, n. 477) promosso con l’ordinanza emessa il
10 aprile 1976 dalla Corte dei conti – Sezione di controllo – nel
giudizio sull’ammissibilità al visto ed alla registrazione del d.P.R.
31 ottobre 1975, iscritta al n. 426 del registro ordinanze 1976 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 7
luglio 1976.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 1976 il Giudice relatore
Vezio Crisafulli;
udito il vice Avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
Con ordinanza, emessa il 10 aprile 1976, nel corso del giudizio
sull’ammissione al visto ed alla registrazione del d.P.R. 31 ottobre
1975, relativo allo stato giuridico ed alla disciplina del trattamento
economico del personale ispettivo, direttivo, insegnante e non
insegnante di ruolo delle istituzioni scolastiche e culturali italiane
funzionanti all’estero, la Corte dei conti – Sezione di controllo – ha
sollevato, in riferimento all’art. 81, terzo e quarto comma, o,
alternativamente, all’articolo 76 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4, ultimo comma, della legge 30
luglio 1973, n. 477 (Delega al Governo per l’emanazione di norme sullo
stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non
docente della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello
Stato) e dell’articolo unico, primo comma, n. 3, della legge 19 maggio
1975, n. 167, contenente la proroga dei termini per l’emanazione di
alcuni decreti delegati di cui alla predetta legge n. 477 del 1973 e
contenente altresì l’ulteriore specificazione che la delega medesima
si riferisce anche al personale addetto alle iniziative scolastiche, di
assistenza scolastica e di formazione e perfezionamento professionale a
favore dei lavoratori emigrati nonché al personale docente di ruolo
assegnato alle istituzioni scolastiche ed universitarie straniere, con
riguardo sia allo stato giuridico che al trattamento economico di tutte
le categorie di personale indicate.
Si rileva nell’ordinanza che le norme deleganti non contengono
l’indicazione dei mezzi finanziari occorrenti a coprire la spesa
conseguente all’attuazione del decreto delegato, e neppure i principi e
criteri direttivi per l’individuazione di tali mezzi, come sarebbe
invece prescritto – ad avviso della Sezione di controllo – dalle
invocate disposizioni costituzionali. La carenza di copertura
finanziaria nella radice del potere normativo delegato – osserva ancora
la Corte dei conti – non può ritenersi sanata dall’art. 32 del d.P.R.
31 ottobre 1975, secondo cui l’onere derivante dal provvedimento per il
1976 è posto a carico del capitolo n. 6856 del bilancio del Ministero
del Tesoro, di cui si autorizza la riduzione.
2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocato generale dello Stato,
con atto depositato il 24 luglio 1976, sostenendo preliminarmente il
difetto di legittimazione della Corte dei conti – Sezione di controllo
a sollevare questioni di legittimità costituzionale.
Tale organo, in primo luogo, non potrebbe considerarsi
giurisdizionale sotto un profilo soggettivo, perché, a differenza di
altri uffici della Corte dei conti, non esercita se non funzioni di
controllo e mai funzioni giurisdizionali in senso stretto; i suoi
membri, d’altra parte, non sarebbero chiamati a far parte
contemporaneamente anche delle Sezioni giurisdizionali della Corte.
La funzione di controllo della Corte, inoltre, non sarebbe
qualificabile neppure oggettivamente giurisdizionale già alla luce
dello stesso T.U. 12 luglio 1934, n. 1214, che, all’art. 13, indica le
funzioni giurisdizionali con il termine “giudica” mentre per tutte le
altre usa la locuzione “fa il riscontro”.
Analogamente, all’art. 3 distingue “decisioni” da “deliberazioni”,
riguardando le prime la materia giurisdizionale, le seconde il
controllo.
La remissione di questioni di legittimità costituzionale da parte
della Sezione di controllo della Corte dei conti contrasterebbe, poi,
con il principio della tempestività dell’azione amministrativa, si
risolverebbe in un controllo sull’attività del Parlamento del tutto
estraneo ai compiti istituzionali della Corte dei conti,
vanificherebbe, praticamente, l’istituto della registrazione con
riserva e neppure si concilierebbe con la non ricorribilità in
Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso i provvedimenti di
controllo in questione.
Nel merito l’Avvocatura dello Stato osserva che non può
considerarsi attendibile il rilievo secondo cui deve essere sempre il
legislatore delegante ad indicare i mezzi finanziari per far fronte
alla spesa che dovrà derivare dalla legge delegata, e pertanto
conclude per l’infondatezza della questione.
3. – Alla pubblica udienza la difesa dello Stato ha insistito per
l’accoglimento delle proprie tesi e conclusioni.
1. – Come riferito in narrativa e più compiutamente si dirà
appresso, con l’ordinanza in epigrafe, la Corte dei conti, Sezione di
controllo, alla quale era stato sottoposto per il visto e conseguente
registrazione il d.P.R. 31 ottobre 1975, emesso in base alla delega
contenuta nell’art. 4 della legge 30 luglio 1973, n. 477, prorogata
dall’articolo unico della successiva legge 19 maggio 1975, n. 167, in
tema di stato giuridico e trattamento economico del personale delle
scuole italiane all’estero e di quello addetto ad iniziative
assistenziali e parascolastiche in favore di lavoratori emigrati,
sospesa ogni determinazione al riguardo, sollevava questione di
legittimità costituzionale del predetto art. 4, ultimo comma, della
citata legge n. 477 e dell’articolo unico, n. 3, della legge n. 167 del
1975, per contrasto con l’art. 81, terzo e quarto comma, o –
alternativamente – con l’art. 76 Cost.
2. – Al problema pregiudiziale della legittimazione della Sezione
di controllo della Corte dei conti a proporre questioni di legittimità
costituzionale ai sensi dell’art. 1 della legge cost. 9 febbraio 1948,
n. 1, e dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve darsi
risposta affermativa, anche coerentemente con i criteri in precedenza
enunciati ed applicati da questa Corte quanto ai requisiti necessari e
sufficienti affinché le questioni medesime possano considerarsi
promananti da un “giudice” nel corso di un “giudizio” (art. 1 legge
cost. cit.).
In presenza delle espressioni testuali adoperate in quest’ultima
disposizione e della terminologia, letteralmente più restrittiva,
della legge n. 87, la Corte, in tema di ammissibilità di questioni
sollevate in sede di volontaria giurisdizione, fin dalla sent. n. 4 del
1956 (seguita e confermata da numerose altre adottate in prosieguo di
tempo) ebbe a dare di quelle disposizioni una interpretazione
estensiva, rispondente alla ratio che informa il vigente sistema di
sindacato di legittimità costituzionale in via incidentale e
consistente, essenzialmente, nella duplice esigenza: a) che tale
sindacato non abbia ad esplicarsi in astratto, ma in relazione a
concrete situazioni di fatto, alle quali siano da applicare norme di
dubbia costituzionalità; b) che i giudici, soggetti come sono
esclusivamente alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.), che ad essi
è vietato disapplicare, non siano costretti ad emettere decisioni
fondandosi su leggi della cui conformità alla Costituzione abbiano
motivo di dubitare, ma debbano, in tal caso, provocare una pronuncia di
questa Corte, sospendendo frattanto il procedimento, quale che ne sia
la natura. Giacché “il preminente interesse pubblico della certezza
del diritto (che i dubbi di costituzionalità insidierebbero), insieme
con l’altro della osservanza della Costituzione, vieta che dalla
distinzione tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie del
resto dai contorni sovente incerti e contestati) si traggano
conseguenze così gravi” (sent. n. 129 del 1957).
A sua volta, con più largo riferimento ad altre ipotesi di
procedimenti, diversi da quelli di volontaria giurisdizione, pendenti
dinanzi ad un giudice, la sent. n. 83 del 1966, ebbe ad affermare che,
ad aversi giudizio a quo, è sufficiente che ricorra o il requisito
soggettivo, consistente nello svolgersi del procedimento “alla presenza
o sotto la direzione del titolare di un ufficio giurisdizionale”, o il
requisito oggettivo dell’esercizio “di funzioni giudicanti per
l’obiettiva applicazione della legge”, da parte di organi “pur estranei
alla organizzazione della giurisdizione ed istituzionalmente adibiti a
compiti di diversa natura”, che di quelle siano investiti anche in via
eccezionale, e siano all’uopo “posti in posizione super partes”.
È alla stregua dei criteri testé rammentati, che la
legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale è
stata riconosciuta, ad esempio, al giudice dell’esecuzione immobiliare
esattoriale (di cui si trattava nella specie decisa con la cit. sent.
n. 83 del 1966); al giudice dell’esecuzione penale; al giudice di
sorveglianza; al tribunale, nel corso del procedimento per il ricovero
dell’alienato; alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura; ai Commissari regionali per la liquidazione degli usi
civici; agli Intendenti di finanza; alla Commissione dei ricorsi in
materia di brevetti; ai Consigli comunali in sede di contenzioso
elettorale; ai Comandanti di porto; ai Consigli di prefettura e alle
Giunte provinciali amministrative nell’esercizio di funzioni
giurisdizionali, nonché – in una prima fase – alle Commissioni per i
tributi erariali e locali, e via dicendo. A volte, taluno dei predetti
giudici speciali è stato poi colpito da pronuncia di
incostituzionalità, perché, proprio in quanto giudice, sprovvisto
delle necessarie garanzie di indipendenza e di terzietà; altre volte,
la proponibilità della questione è stata negata anche ad autorità
istituzionalmente giurisdizionali, quando ad esse non spettavano poteri
decisori.
Per quanto più particolarmente concerne la Corte dei conti, le
sentenze nn. 165 del 1963, 121 del 1966, 142 e 143 del 1968 ne hanno
affermato la legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità
nel corso del giudizio di parificazione (così dei rendiconti regionali
come del rendiconto generale dello Stato) pur essendo detto giudizio
regolato dal T.U. 12 luglio 1934, n. 1214, nel cap. IV, e non già nel
capitolo successivo, che è quello concernente le “attribuzioni
giurisdizionali” della Corte, e in ordine ad esso l’art. 40 del
medesimo testo unico limitandosi a richiamare “le formalità della sua
giurisdizione contenziosa”: con l’avvertenza, peraltro, che, in questa
sede, la Corte dei conti “non applica le leggi sostanziali di spesa
riflettentisi nei capitoli del bilancio, e neppure applica la legge di
approvazione del bilancio”, avendole “già applicate in corso di
esercizio, operando il riscontro di legittimità sui singoli atti
soggetti al suo controllo” (onde la inammissibilità per irrilevanza di
questioni relative sia alle prime che alla seconda: sent. n. 142 del
1968, cit.).
3. – Ed infatti, procedendo al controllo sugli atti del Governo, la
Corte dei conti applica le norme di legge da cui questi sono
disciplinati, ammettendoli al visto e registrazione, soltanto se ad
esse conformi: di tal che, essendo strettamente vincolata dalle leggi
in vigore, potrebb’essere costretta, in pratica, a rifiutare il visto
quando l’atto contrasti con norme pur di dubbia costituzionalità, o
viceversa ad apporlo anche ove sia stato adottato sulla base e nel
rispetto di norme, che siano, a loro volta, di dubbia
costituzionalità. Nell’una e nell’altra ipotesi, la situazione è,
dunque, analoga a quella in cui si trova un qualsiasi giudice
(ordinario o speciale), allorché procede a raffrontare i fatti e gli
atti dei quali deve giudicare alle leggi che li concernono.
Né fa differenza al riguardo la circostanza che gli atti
sottoposti a controllo siano, come nella specie, decreti legislativi
delegati, essendo anche questi subordinati alle leggi di delega, che,
prefissandone l’oggetto, il tempo ed i principi e criteri direttivi, ne
stanno rispettivamente a fondamento e rappresentano perciò il
parametro immediato del controllo operato dalla Corte dei conti; mentre
diverso è il caso dei decreti-legge, che alla stessa vengono trasmessi
per il visto, per i quali mancano – di regola – norme di legge
ordinaria interposte, suscettibili di dar luogo a questioni di
costituzionalità.
Anche se il procedimento svolgentesi davanti alla Sezione di
controllo non è un giudizio in senso tecnico-processuale, è certo
tuttavia che, ai limitati fini dell’art. 1 della legge cost. n. 1 del
1948 e dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953, la funzione in quella
sede svolta dalla Corte dei conti è, sotto molteplici aspetti, analoga
alla funzione giurisdizionale, piuttosto che assimilabile a quella
amministrativa, risolvendosi nel valutare la conformità degli atti che
ne formano oggetto alle norme del diritto oggettivo, ad esclusione di
qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico.
Il controllo effettuato dalla Corte dei conti è un controllo esterno,
rigorosamente neutrale e disinteressato, volto unicamente a garantire
la legalità degli atti ad essa sottoposti, e cioè preordinato a
tutela del diritto oggettivo, che si differenzia pertanto nettamente
dai controlli c.d. amministrativi, svolgentisi nell’interno della
pubblica Amministrazione; ed è altresì diverso anche da altri
controlli, che pur presentano le caratteristiche da ultimo rilevate, in
ragione della natura e della posizione dell’organo cui è affidato.
Composta di magistrati, dotati delle più ampie garanzie di
indipendenza (art. 100, secondo comma, Cost.), che, analogamente ai
magistrati dell’ordine giudiziario, si distinguono tra loro “solo per
diversità di funzioni” (art. 10 legge 21 marzo 1953, n. 161);
annoverata, accanto alla magistratura ordinaria ed al Consiglio di
Stato, tra le “supreme magistrature” (art. 135 Cost.);
istituzionalmente investita di funzioni giurisdizionali a norma
dell’art. 103, secondo comma, Cost., la Corte dei conti è, infatti,
l’unico organo di controllo che, nel nostro ordinamento, goda di una
diretta garanzia in sede costituzionale. Ed è appunto muovendo
dall’esplicito riconoscimento di questa particolare posizione della
Corte dei conti e della natura delle sue attribuzioni di controllo, che
una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione ha
avuto occasione di affermare la non assoggettabilità degli atti da
essa adottati nell’esercizio di quelle attribuzioni ad alcun sindacato.
Deve soggiungersi che non mancano nel procedimento in oggetto
elementi, formali e sostanziali, riconducibili alla figura del
contraddittorio. Intanto, un contrasto di valutazioni sussiste tra
l’autorità che ebbe ad emanare l’atto ed il magistrato che assolve la
funzione di controllo nella fase istruttoria; sicché ove il
consigliere delegato non ritenga di apporre il visto, provoca il
deferimento della pronuncia alla Sezione di controllo. Di tale
deferimento, a norma dell’art. 24 del testo unico, cosi come sostituito
dall’art. 1 della legge 21 marzo 1953, n. 161, e delle disposizioni
regolamentari, che ne integrano e svolgono i precetti, dettate
dall’ordinanza del Presidente della stessa Corte dei conti 28 novembre
1956, n. 151, viene data alle amministrazioni interessate, come pure a
quella del Tesoro per quanto la riguarda, comunicazione scritta almeno
otto giorni prima della seduta fissata per la discussione, con avviso
che possono presentare deduzioni e farsi rappresentare davanti alla
Sezione da funzionari aventi un determinato grado. In tal modo è
garantita la possibilità che gli interessi ed il punto di vista
dell’amministrazione, nelle sue varie articolazioni, siano fatti valere
nel corso del procedimento. Infine, la deliberazione della Sezione
dev’essere “sobriamente motivata”, depositata in segreteria non oltre
il trentesimo giorno successivo a quello in cui è stata adottata e
comunicata in copia “senza indugio” alle amministrazioni interessate ed
a quella del Tesoro (art. 5, ordinanza cit.), e rimane inoltre a
disposizione di chiunque voglia prenderne visione.
Circostanze, tutte queste, che concorrono a rafforzare la soluzione
positiva che deve darsi al problema pregiudiziale della legittimazione
della Sezione di controllo a proporre a questa Corte questioni di
legittimità costituzionale.
D’altronde, sul piano sostanziale, il riconoscimento di tale
legittimazione si giustifica anche con l’esigenza di ammettere al
sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella fattispecie
in esame, più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa
sottoposte.
4. – Con le considerazioni che precedono, i principali argomenti
addotti in senso opposto dalla difesa dello Stato hanno già ricevuto
esplicita od implicita risposta.
Dei rimanenti non è pertinente il richiamo all’art. 111 Cost.,
secondo comma, che ammette “sempre” il ricorso in cassazione “contro le
sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli
organi giurisdizionali ordinari o speciali”, dal momento che, alla
stregua delle conclusioni sopra raggiunte, il procedimento svolgentesi
davanti alla Sezione di controllo non ha natura propriamente
giurisdizionale, pur essendo analogo ad un giudizio, nel senso ed entro
i limiti di cui si è detto sopra, al punto 3.
Considerazioni in gran parte analoghe valgono a far superare
l’ulteriore argomento che si vorrebbe ricavare dalla inapplicabilità
alle deliberazioni della Sezione di controllo dell’istituto del
giudicato, non senza aggiungere che tali deliberazioni, siano positive
che negative, hanno certamente contenuto decisorio e non sono
modificabili da parte della stessa Sezione né sindacabili in altra
estranea sede.
Secondo l’Avvocatura, poi, con il riconoscere alla Sezione di
controllo la possibilità di adire questa Corte, si inciderebbe
gravemente sul potere governativo di disporre la registrazione con
riserva nonché sulla tempestività dell’azione amministrativa, ed in
particolare, nelle ipotesi di controllo su decreti legislativi
delegati, sul termine per l’esercizio della delega prefissato dal
Parlamento.
Quanto alla registrazione con riserva, a prescindere dal rilievo
che tale istituto incontra già nel testo unico del 1934 alcune
specifiche eccezioni (art. 25, ultimo comma) e dalla constatazione che,
dopo l’avvento della Repubblica, esso ha trovato limitata applicazione,
va precisato che il Governo rimane libero di farvi ricorso, oltre che
(ovviamente) in tutti i casi in cui non sorgano questioni di
legittimità costituzionale delle norme che la Corte dei conti deve
applicare, anche, essendosi verificata una tale evenienza, dopo
conclusosi il processo costituzionale incidentale, nei limiti di volta
in volta derivanti dal contenuto della decisione adottata dalla Corte
costituzionale e dai principi costituzionali disciplinanti gli effetti
delle sue pronunce.
Quanto ai ritardi che dall’essersi adita questa Corte possono
derivare all’azione amministrativa, è da osservare che, nessun termine
essendo prestabilito né alla Corte dei conti per deliberare
all’ammissione o meno al visto e registrazione né alle amministrazioni
interessate per trasmettere ad essa i propri atti e per controdedurre
agli eventuali rilievi mossi nella fase istruttoria del procedimento di
controllo, ritardi purtroppo si verificano e spesso si sono verificati
in passato, indipendentemente dalla sollevabilità di questioni di
costituzionalità: che potrebbe, dunque, al più, aggravare un
inconveniente già riscontrabile nella prassi. A siffatte
preoccupazioni, che peraltro non incidono sul problema giuridico della
legittimazione della Sezione di controllo, può tuttavia replicarsi che
l’eventuale giudizio di questa Corte può aver luogo con la massima
sollecitudine, avvalendosi il Presidente della facoltà di ridurre i
termini fino alla metà (art. 9, legge cost. n. 1 del 1953), oltre che
dandosi alla trattazione della causa la precedenza nella fissazione dei
ruoli. Rilievi, questi, che naturalmente si estendono alla particolare
ipotesi di questioni concernenti leggi di delegazione, alle quali la
Corte dei conti debba raffrontare decreti legislativi sottoposti al suo
controllo.
5. – Nel merito, sono denunciate le disposizioni dell’ultimo comma
dell’art. 4 della legge 30 luglio 1973, n. 477, e del n. 3
dell’articolo unico della legge 19 maggio 1975, n. 167.
La prima di dette leggi, nel delegare al Governo “l’emanazione di
norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente
e non docente, della scuola materna, elementare, secondaria e artistica
dello Stato”, si riferisce, tra l’altro, espressamente, nel menzionato
ultimo comma dell’art. 4, anche al personale medesimo delle scuole ed
istituzioni scolastiche italiane funzionanti all’estero; la seconda,
nel prorogare i termini per l’esercizio di tale delega, specifica
ulteriormente, nel predetto n. 3 del suo articolo unico, che la delega
medesima si riferisce altresì al personale addetto alle iniziative
scolastiche, di assistenza scolastica e di formazione e perfezionamento
professionale a favore dei lavoratori emigrati nonché al personale
docente di ruolo assegnato alle istituzioni scolastiche ed
universitarie straniere, comprendendo in ogni caso sia quanto concerne
lo stato giuridico, sia quanto riguarda il trattamento economico (ed è
questo il punto essenziale ai fini del decidere) di tutte le categorie
di personale testé indicate.
Ora, poiché l’attuazione della delega, cosi prorogata ed in certo
senso autenticamente interpretata dallo stesso legislatore delegante,
comporta indubbiamente nuovi oneri finanziari, alla cui copertura
provvede, infatti, l’art. 32 del d.P.R. 31 ottobre 1975 (del quale è
stata frattanto sospesa la registrazione), in mancanza però di
qualsiasi previsione a tale specifico riguardo così nella legge n. 477
come nella successiva legge n. 167 del 1975, le censure proposte dalla
Sezione di controllo investono le anzidette disposizioni, che
violerebbero l’art. 81, terzo e quarto comma. Cost., per avere omesso
di disporre in merito alla copertura della spesa, o – alternativamente
– l’art. 76 Cost., non avendo nemmeno predeterminato i principi e
criteri direttivi ai quali il Governo destinatario della delega avrebbe
dovuto attenersi per provvedervi, invece, esso stesso.
La questione è fondata. Il principio risultante dal combinato
disposto del terzo e quarto comma dell’art. 81 consiste, infatti,
nell’imporre al legislatore l’obbligo di darsi carico delle conseguenze
finanziarie delle sue leggi, provvedendo al reperimento dei mezzi
necessari per farvi fronte. Di regola, perciò, tale obbligo grava sul
Parlamento, istituzionalmente preposto all’esercizio della funzione
legislativa; così come grava invece sul Governo, allorché, ricorrendo
i presupposti di cui all’art. 77 Cost., si faccia esso stesso
legislatore, sostituendosi in via di urgenza alle Camere nella forma
del decreto-legge. Ma quest’ultima ipotesi differisce profondamente da
quella della decretazione delegata, dove è soltanto in forza della
previa legge delegante ed in ottemperanza alle disposizioni in questa
contenute che il Governo assume l’esercizio della funzione legislativa.
In tale ipotesi, dev’essere. dunque, il legislatore delegante a
disporre in ordine alla copertura della spesa.
Di guisa che deve riconoscersi che le disposizioni delle due leggi
di delega denunciate dall’ordinanza ed in precedenza più volte
menzionate, avendo omesso di provvedere al riguardo, hanno violato le
ricordate norme dell’art. 81.
Non rileva, poi, ai fini del presente giudizio, accertare se,
qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento
della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per
finanziare le spese che l’attuazione della stessa comporta, sia
sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato,
beninteso con prefissione di principi e criteri direttivi, come vuole
l’art. 76, dal momento che, nella specie, di una delega siffatta non vi
è traccia alcuna.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 4, ultimo
comma, della legge n. 477 del 30 luglio 1973 e dell’articolo unico, n.
3, della legge n. 167 del 19 maggio 1975, sollevata dalla Corte dei
conti – Sezione di controllo – con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – LEONETTO
AMADEI – GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO
VOLTERRA – GUIDO ASTUTI – MICHELE
ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO –
LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere