Sentenza N. 265 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1976
Data deposito/pubblicazione
29/12/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/12/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
comma, e 500 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza
emessa il 21 novembre 1975 dal tribunale di Sanremo, nel procedimento
penale a carico di Luigi Mistri, iscritta al n. 633 del registro
ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 58 del 3 marzo 1976.
Udito nella camera di consiglio del 25 novembre 1976 il Giudice
relatore Enzo Capalazza.
Nel corso di un procedimento iniziato al fine di ottenere la
restituzione in termine per la dichiarazione di appello avverso una
sentenza di condanna pronunciata in contumacia, il tribunale di Sanremo
ha posto in dubbio, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della
Costituzione, la legittimità costituzionale: a) dell’art. 199, terzo
comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede, per
la dichiarazione di impugnazione dell’imputato contumace, il medesimo
termine di tre giorni stabilito per l’impugnazione dell’imputato
presente al dibattimento; b) dello stesso art. 199, terzo comma, in
relazione al successivo art. 500, nella parte in cui non distingue tra
notificazioni a mani proprie e notificazioni in altro modo; c)
dell’art. 500, nella parte in cui non prescrive l’obbligo di avvertire
che, contro la sentenza notificata, può essere, a pena di decadenza,
proposta impugnazione entro tre giorni dalla notificazione.
Ad avviso del giudice a quo, la prefissione dello stesso termine
per la dichiarazione di impugnazione tanto nell’ipotesi che l’imputato
sia presente al dibattimento, quanto in quella che l’imputato sia
contumace si risolverebbe nella violazione dell’effettivo esercizio del
diritto di difesa.
Infatti, l’imputato presente alla lettura del dispositivo della
sentenza può senza indugio conferire con il difensore ed effettuate la
dichiarazione di impugnazione in cancelleria. Al contrario, l’imputato
contumace, ricevendo la comunicazione dell’estratto, deve munirsi di un
difensore e recarsi nell’ufficio giudiziario. Se poi l’atto è
consegnato a persona convivente, questa che può non sapere nulla del
processo, non di rado è indotta ad attendere il ritorno del
destinatario. E ciò, secondo l’ordinanza, sarebbe di grave
pregiudizio, anche perché nell’atto notificato non è espressamente
detto che contro la decisione è ammesso il gravame entro tre giorni, e
che ciò è a pena di decadenza.
Non vi è stata costituzione della parte, né intervento della
Presidenza del Consiglio dei ministri.
1. – Sono stati denunziati a questa Corte, per violazione dell’art.
24, secondo comma, della Costituzione, gli artt. 199, terzo comma, e
500 del codice di procedura penale, assumendosi che sarebbero menomate
le garanzie difensive del contumace, perché sottoposto alla stessa
disciplina e tenuto all’osservanza degli stessi termini dell’imputato
presente al dibattimento.
2. – Le questioni vanno risolte alla stregua dell’indirizzo seguito
nei precedenti della Corte, secondo i quali il diritto di difesa non
postula identiche modalità per il suo esercizio, potendo esso venire
diversamente regolato ed adeguato alle particolari e varie esigenze dei
singoli procedimenti, purché non ne siano compromesisi lo scopo e la
funzione (si vedano le sentenze n. 46 del 1967, n. 16 del 1970 e n. 159
del 1972).
Non si tratta qui di un irreperibile, la cui posizione è
minutamente disciplinata per legge (si vedano le sentenze n. 54 e n.
136 del 1971), né di un assente che non abbia dato notizia del suo
nuovo recapito e che, perciò, viene equiparato all’irreperibile (si
veda la motivazione della già citata sentenza n. 159 del 1972, par.
5).
Ciò premesso, mentre, da un lato, il contumace, che si presume
abbia voluto estraniarsi dal processo, dispone della difesa tecnica (di
fiducia o d’ufficio), abilitata, al par dell’imputato, a proporre
gravame (art. 151, terzo comma, cod. proc. pen.); dall’altro, qualora
il provvedimento non sia più impugnabile, ma la situazione impeditiva
si sia verificata per caso fortuito o per forza maggiore, è previsto
il rimedio della restituzione nel termine scaduto, ex art. 183 bis del
codice di procedura penale. E a ciò, appunto, era diretta
l’iniziativa del contumace – esplicatasi sino alla Cassazione – che il
giudice a quo, a seguito di rimessione per competenza, ha indirizzato
su altra via, censurando non già, eventualmente, l’art. 183 bis nella
sua corrente restrittiva accezione giurisprudenziale, bensì gli artt.
199, terzo comma, e 500 cod. proc. pen.
3. – L’accennato indirizzo non vulnera le esigenze dell’interesse
difensivo e, nel contempo, impedisce possibili artificiose remore alla
definizione del processo, senza vulnerare il precetto dell’art. 24,
secondo comma, della Costituzione.
4. – La Corte non ritiene esatta la censura relativa alla
parificazione, ai fini del gravame, tra imputato presente e imputato
contumace (neppure per quanto attiene alla notificazione, in mani
proprie o in altro modo, dell’atto impugnabile), perché, secondo l’id
quod plerumque accidit, la diversa posizione del contumace è da
ascrivere a una sua scelta. Né può essere accolta qui la pretesa,
prospettata in via correttiva, che sia prescritto l’obbligo di
avvertire il contumace che, contro l’atto notificato, è proponibile
l’impugnazione entro tre giorni, a pena di decadenza. A prescindere che
un tale avviso non è richiesto neanche per l’imputato presente, il
quale ben può essere o restare, pur dopo la pronunzia, personalmente
ignaro dell’esistenza e della brevità del termine, non varrebbe
addurre l’analogia con l’art. 507, secondo comma, cod.proc. pen.,
attesa la particolarità del procedimento per decreto, più volte
rilevata da questa Corte (vedansi le sentenze n. 170 del 1963, n. 27
del 1966 e n. 119 del 1969 e l’ordinanza n. 125 del 1973).
Il rimedio agli inconvenienti indicati nell’ordinanza è affidato
solo al prudente apprezzamento del legislatore.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 199, terzo comma, e 500 del codice di procedura penale,
sollevate con l’ordinanza in epigrafe dal tribunale di Sanremo, in
riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 dicembre 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere