Sentenza N. 298 del 1986
Corte Costituzionale
Data generale
31/12/1986
Data deposito/pubblicazione
31/12/1986
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/12/1986
Presidente: prof. Antonio LA PERGOLA;
Giudici: prof. Virgilio ANDRIOLI, prof. Giuseppe FERRARI, dott.
Francesco SAJA, prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott.
Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,
prof. Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO.
regionali della Toscana e dell’Abruzzo notificati rispettivamente il
28 agosto 1981, il 19 marzo 1982 e il 18 gennaio 1984, depositati in
cancelleria l’11 settembre 1981, il 29 marzo 1982 e il 30 gennaio
1984 ed iscritti al n. 35 del registro 1981, al n. 3 del Registro
1982 e al n. 1 del registro 1984 per conflitti di attribuzione sorti
a seguito:
a) del decreto del Presidente della Repubblica n. 2377,
notificato il 2 luglio 1981, con il quale è stato accolto il ricorso
straordinario dei signori Antonio e Francesco Intonti contro il piano
regolatore generale del comune di Orbetello;
b) del decreto del Presidente della Repubblica emesso il 31
luglio 1981, notificato il 19 gennaio 1982 con il quale è stato
accolto il ricorso straordinario proposto dai signori Giovanni e
Luigi Pomante per l’annullamento della delibera del Consiglio
regionale Abruzzo n. 226/9 del 13 marzo 1975;
c) del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1983,
notificato il 28 novembre 1983, con il quale è stato accolto il
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da
Italo Lo Cascio e Farri Magda in
Lo Cascio;
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 25 novembre 1986 il giudice
relatore Antonio Baldassare;
Uditi l’avvocato Alberto Predieri per le Regioni ricorrenti e
l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del
Consiglio dei Ministri;
Abruzzo contestano che lo Stato, con la decisione e l’eventuale
accoglimento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
avverso atti amministrativi regionali, invada le competenze
amministrative attribuite alle Regioni stesse dall’art. 118 Cost. e
pertanto sollevano presso questa Corte conflitto di attribuzione.
1.1. – In data 28 agosto 1981 la regione Toscana ha presentato
ricorso per conflitto di attribuzione in relazione al decreto del
Presidente della Repubblica, notificato il 2 luglio 1981, con cui si
accoglieva il ricorso straordinario al Capo dello Stato, presentato
da Antonio e Francesco Intonti, contro la delibera della Giunta
regionale della Toscana n. 9693 del 16 novembre 1977, concernente
l’approvazione del P.R.G. del comune di Orbetello. Nel ricorso la
Regione, rappresentata e difesa dell’avv. prof. Alberto Predieri, ha
lamentato l’invasione delle proprie competenze amministrative, come
configurate dall’art. 118 Cost. e, in connessione con questo, dagli
artt. 4 e 81 del d.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977 relativo al
trasferimento alle Regioni di funzioni statali.
1.2. – Identico ricorso ha presentato la regione Abruzzo,
anch’essa rappresentata a difesa dall’avv. prof. Alberto Predieri, a
seguito dell’emanazione del d.P.R. 31 luglio 1981, che accoglieva il
ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto da Giovanni e
Luigi Pomante avverso la delibera della Giunta regionale abruzzese n.
226/9 del 13 marzo 1975, approvativa del P.R.G. del comune di Roseto
degli Abruzzi. Contro tale d.P.R., che soltanto il 19 gennaio 1982 è
stato notificato alla Regione, quest’ultima, in data 19 marzo 1982,
ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione, con cui si
presentava, tra l’altro, istanza di sospensione del provvedimento
impugnato, successivamente rinunziata (ord. n. 120/1983 di questa
Corte). Nel merito la regione Abtruzzo ha dedotto le medesime ragioni
prospettate nel ricorso di cui al punto precedente.
1.3. – In data 18 gennaio 1984 la regione Toscana, rappresentata e
difesa dall’avv. prof. Alberto Predieri, ha proposto un altro ricorso
dall’identico contenuto dei precedenti in relazione al d.P.R. del 4
maggio 1983, notificato il 28 novembre 1983, che accoglieva il
ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto da Italo Lo Cascio
e Magda Farri Lo Cascio contro la stessa delibera della giunta
regionale Toscana approvativa del P.R.G. del comune di Orbetello già
menzionata al punto 1.1.
1.4. – Rispetto a tutti e tre i ricorsi si è costituito in
giudizio lo Stato, attraverso il Presidente del Consiglio dei
Ministri pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. generale dello
Stato Giorgio Azzariti. Questi, oltre a negare nel merito la pretesa
invasione delle competenze amministrative costituzionalmente
spettanti alle Regioni, ha sollevato preliminarmente, nei soli
confronti del ricorso presentato dalla regione Abruzzo, un’eccezione
di tardività del ricorso medesimo.
1.5. – Poiché i ricorsi hanno identico contenuto ed identico
oggetto, i relativi giudizi vengono riuniti per essere discussi e
decisi congiuntamente.
2. – Partendo dalla presupposizione, peraltro da tempo pacifica in
giurisprudenza e in dottrina, che la decisione del ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica sia un atto
amministrativo, e non giurisdizionale, e argomentando che non può
neppure esser configurata come atto di controllo, a pena di un
evidente contrasto con l’art. 125 Cost., le Regioni ricorrenti
pongono a base del loro ricorso la convinzione che si sia di fronte
ad un atto rientrante nell’amministrazione attiva dello Stato, che,
se formalmente è imputabile al Presidente della Repubblica, contiene
tuttavia una decisione propria del Governo centrale, individuato ora
nel Ministro competente ora nell’intero Consiglio dei Ministri. Come
tale, sostegno le Regioni ricorrenti, quando ha ad oggetto atti
regionali, la decisione governativa sul ricorso straordinario invade
illegittimamente le competenze amministrative costituzionalmente
attribuite alle Regioni, essenzialmente per quattro ordini di
ragioni:
a) essendo un atto di amministrazione attiva, l’ambito di
competenza del ricorso straordinario dev’esser individuato in base
alle comuni norme che distribuiscono le funzioni pubbliche fra lo
Stato e le Regioni, identificabili in particolare nell’art. 118 Cost.
e negli articoli 4 e 81 (trattandosi di urbanistica) del d.P.R. n.
616/1977;
b) gli atti amministrativi regionali non possono rientrare tra i
possibili oggetti del ricorso straordinario in quanto non v’è
traccia alcuna di un potere in qualche modo assimilabile alla
decisione di tale ricorso nelle materie attribuite alle Regioni dagli
artt. 117 e 118 Cost., né nelle competenze relative all’urbanistica
ex art. 81 d.P.R. n. 616/1977 e neppure nell’art. 4 di questo stesso
decreto, laddove si dice che nelle materie trasferite o delegate alle
Regioni lo Stato conserva soltanto le funzioni attinenti ai rapporti
internazionali e con la C.E.E., alla difesa nazionale e alla pubblica
sicurezza, nonché quelle di indirizzo e coordinamento (nelle quali
non può certo rientrare l’atto in questione, essendo questo un atto
puntuale, specifico e non diretto a formulare direttive per la
garanzia di esigenze unitarie);
c) pur se non è più collegabile alla sua originaria natura di
istituto di “giustizia ritenuta del sovrano”, il
ricorso straordinario è nondimeno “consustanzialmente strutturato
come ricorso presentato al vertice della gerarchia”
e, come tale, non può essere ammesso laddove non possono darsi
relazioni comportanti una qualche gerarchia, come nei rapporti tra
Stato e Regioni;
d) essendo attualmente disciplinato dal capo III del Decreto
Legislativo delegato n. 1199 del 24 novembre 1971 e dovendosi
interpretare quest’ultimo in armonia con la relativa legge di delega
(precisamente con l’art. 4 L. 18 marzo 1968 n. 249, come modificato
dall’art. 6 L. 28 ottobre 1970 n. 775), la quale fa riferimento
soltanto a procedimenti e atti amministrativi dello Stato, il ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica può avere ad oggetto
esclusivamente gli atti amministrativi statali, non già quelli
regionali.
Sulla scorta di tali argomenti le Regioni ricorrenti chiedono, in
via principale, che il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica sia considerato atto invasivo delle competenze
amministrative costituzionalmente attribuite alle Regioni tutte le
volte che lo si intenda estendere agli atti amministrativi regionali.
Prospettano, inoltre, condizionatamente all’eventualità che dovesse
ritenersi ammissibile tale estensione, il dubbio che le disposizioni
comprese nel capo III del decreto Legislativo delegato n. 1199/1971
possano esser considerate costituzionalmente illegittime sia per
violazione dell’art. 118 Cost., alla luce delle considerazioni già
fatte, sia per violazione dell’art. 76 Cost., in quanto viziate per
eccesso di delega rispetto a una legge che intendeva conferire al
Governo l’esercizio di un potere legislativo limitato ai procedimenti
amministrativi statali.
3. – Nei suoi atti di costituzione, pur non contestando
minimamente la natura del ricorso straordinario come atto formalmente
amministrativo, la Avvocatura dello Stato ne giustifica l’estensione
agli atti regionali in quanto competenza propriamente statale
espressiva di un potere onnicomprensivo che, al pari
dell’annullamento governativo d’ufficio di cui all’art. 6 della legge
comunale e provinciale, appare diretto a tutelare, non già specifici
settori amministrativi, ma il carattere unitario del complessivo
ordinamento dell’Amministrazione Pubblica, statale quanto regionale.
Per dimostrare il proprio assunto l’Avvocatura dello Stato
contrappone alle Regioni ricorrenti quattro ordini di motivi
esattamente contrari a quelli proposti dalle parti avverse:
a) la competenza a decidere ricorsi straordinari su atti
amministrativi regionali non può essere dedotta dalle disposizioni
che, in relazione a determinare materie, attribuiscono competenze di
amministrazione attiva alle Regioni, poiché il potere di decidere
ricorsi straordinari è così poco configurabile come potere
implicito alle competenze di amministrazione attiva che per
l’attribuzione al Presidente della regione Siciliana di un potere del
genere si è resa necessaria una specifica norma costituzionale (art.
23 St. Sic.);
b) se fine comune di tutti i ricorsi amministrativi è quello
dell’eliminazione dei torti subiti dai ricorrenti, occorre però dire
che, mentre nei ricorsi ordinari questo fine di giustizia è
strumentale al perseguimento dello specifico fine pubblico affidato
alla cura delle singole amministrazioni, nel ricorso straordinario,
invece, il fine di giustizia è quello perseguito in via esclusiva,
tanto che la relativa decisione, pur se è atto formalmente e
soggettivamente amministrativo, in nulla differisce, nella sostanza,
dagli atti giurisdizionali: pertanto, per questa sua specifica
“funzione giustiziale”, la quale appare tanto pregnante da
influenzarne potentemente la configurazione legislativa
(giurisdizionalizzazione del procedimento, alternatività al ricorso
giurisdizionale, ecc.), il ricorso straordinario è un rimedio
rientrante nel sistema di tutela dei diritti e degli interessi
legittimi previsto dall’art. 113 Cost., che, se trovasse una
preclusione di fronte agli atti amministrativi regionali, oltre a
ledere inderogabili esigenze unitarie, sarebbe causa di gravi
disarmonie del sistema, se non di violazione della Costituzione;
c) non si può invocare la mancanza di un rapporto gerarchico
fra Stato e Regione come motivo preclusivo del ricorso straordinario
verso gli atti amministrativi regionali, poiché proprio l’assenza di
ogni forma di gerarchia fra l’autorità emanante l’atto oggetto di
impugnazione e l’autorità decidente è uno dei caratteri peculaiari
del ricorso straordinario, che lo distingue anzi per questo aspetto
da altri ricorsi amministrativi;
d) non può ammettersi alcun dubbio sulla conformità del d.P.R.
n. 1199/1971, capo III, rispetto alla corrispondente legge di delega,
poiché questa fa espressamente riferimento a “tutti i singoli
procedimenti amministrativi nei vari settori” e fra tali procedimenti
rientra sicuramente anche quello relativo al ricorso straordinario.
Sulla base di questo argomento, l’Avvocatura dello Stato conclude
sia per il rigetto del ricorso, si per l’infondatezza del dubbio di
legittimità costituzionale prospettato dalle parti ricorrenti, tanto
più che la relativa questione sarebbe pure irrilevante, in ragione
del fatto che l’applicabilità del ricorso straordinario agli atti
amministrativi regionali, lungi dall’esser stata introdotta dal
d.P.R. n. 1199/1971 (che ha solo innovato il procedimento), era “già
pacificamente ammessa sulla base della normativa e, secondo alcuni,
della consuetudine costituzionale precedente”.
4. – Le regioni Toscana e Abruzzo hanno presentato il 12 novembre
1986 una memoria, nella quale, oltre a ribadire i motivi già dedotti
nei ricorsi, replicano in particolare che:
a) è inconferente ogni argomento dell’Avvocatura dello Stato,
come ad esempio quello desunto della
previsione dell’art. 23 St. Sic., che sembra presupporre che le
Regioni rivendichino per sé il potere di decidere ricorsi
straordinari avverso i propri atti amministrativi, mentre il vero
fulcro del ricorso è la diversa idea che, in base alla Costituzione,
il potere di decidere ricorsi straordinari, di sicurezza spettanza
dello Stato, abbia un ambito di competenza limitato agli atti
amministrativi statali, e non possa perciò estendersi a quelli
regionali;
b) a prescindere dall’insostenibile e ambigua definizione del
ricorso in questione come atto amministrativo diretto a fini di
giustizia o “giustiziale”, supporre che il ricorso straordinario
partecipi del sistema di tutela dei diritti e degli interessi
legittimi facente capo all’art. 113 Cost. comporta, contro l’ormai
pacifica opinione generale, che esso abbia natura sostanzialmente, se
non anche formalmente, giurisdizionale;
c) sembra contraddittorio, come fa l’Avvocatura dello Stato,
definire nei termini ora ricordati e criticati il ricorso
straordinario e, nello stesso tempo, applicare ad esso i criteri
enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione al potere
di annullamento di ufficio ex art. 6 L. com. e prov., cioè a un atto
di amministrazione attiva e, anzi, di alta amministrazione;
d) non sembra potersi minimamente, al fine di respingere il
dubbio di costituzionalità sul d.P.R. n. 1199/1971, che il ricorso
straordinario contro atti regionali sarebbe legittimato da altre
leggi, dalla prassi e dalla giurisprundenza, al punto da far parte di
un “diritto vivente” intangibile da parte della Corte costituzionale.
5. – Alla pubblica udienza del 25 novembre 1986, dopo che il
giudice Antonio Baldassare ha svolto la relazione, l’avv. Alberto
Predieri ha insistito per l’accoglimento del ricorso e l’avvocato
dello Stato Giorgio Azzariti ha rinnovato la richiesta del rigetto,
rinunziando tuttavia all’eccezione di tardività relativa al ricorso
della regione Abruzzo.
un’unica decisione per l’identità dell’oggetto, le regioni Toscana e
Abruzzo lamentano che lo Stato, estendendo agli atti amministrativi
regionali il proprio potere di decisione dei ricorsi straordinari al
Presidente della Repubblica, invade le competenze amministrative
riservate alle Regioni dall’art. 118 Cost., in relazione con gli
artt. 4 e 81 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, concernente il
trasferimento e la delega alle Regioni di funzioni amministrative
dello Stato.
A motivo delle loro richieste le predette Regioni pongono la
convinzione che il ricorso straordinario sia una atto rientrante
nell’amministrazione attiva statale e, come tale, non potrebbe
riguardare gli atti regionali, considerato che di esso non v’è
traccia alcuna in nessuna delle disposizioni che definiscono le
competenze amministrative dello Stato nelle materie attribuite alle
Regioni ovvero in quelle trasferite o delegate alle stesse.
2. – I ricorsi sono infondati.
Come questa Corte ha più volte affermato (sentenze n. 31/1975, n.
148/1982), il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è
un istituto singolare, anomalo, che unisce a spiccati caratteri
amministrativi un procedimento contenzioso sui generis finalizzato
alla risoluzione non giurisdizionale di un conflitto concernente la
legittimità di atti amministrativi definitivi.
L’attuale disciplina legislativa, contenuta nel capo III (artt. 8
e 15) del d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 (Semplificazione dei
procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), ha conservato la
natura del tutto atipica che quest’istituto ha assunto sin dall’epoca
della monarchia costituzionale. Essa, infatti, ne conferma il
carattere di rimedio straordinario contro eventuali illegittimità di
atti amministrativi definitivi, che i singoli interessati possono
attivare con modica spesa, senza il bisogno dell’assistenza
tecnico-legale e con il beneficio di termini di presentazione del
ricorso particolarmente ampi (artt. 8 e 9). La sua procedura prevede
che l’istruttoria sia svolta dai Ministeri competenti o, in mancanza
di questi, dalla Presidenza del Consiglio (art. 11), i quali, quando
si tratta di atti amministrativi emanati da enti diversi dello Stato,
possono avvalersi, e di fatto risulta che ciò non avvenga, della
più piena collaborazione di questi ultimi. La decisione è adottata
nella forma tipica degli atti governativi, il decreto del Presidente
della Repubblica, su proposta del Ministro competente (che poi
controfirma l’atto), previo conforme parere del Consiglio di Stato
(solo nel caso in cui il Ministro intenda proporre una pronunzia
difforme rispetto a quest’ultimo parere, il d.P.R. è adottato su
deliberazione del Consiglio dei Ministri, che deve essere sorretta da
un’adeguata motivazione circa la diversa interpretazione del diritto
seguita) (art. 14). Il d.P.R., al pari di ogni atto del Governo è
poi sottoposto al visto della Corte dei conti.
Il carattere amministrativo del procedimento risulta tuttavia
temperato dall’esigenza derivante dal fatto che si è pur sempre in
presenza di un meccanismo di risoluzione di una controversia avente
ad oggetto il riconoscimento di diritti o di interessi legittimi e,
soprattutto, in considerazione di una caratteristica peculiare
dell’istituto: la sua alternatività, peraltro attenuata nel tempo,
rispetto al ricorso giurisdizionale. Beninteso, siffatti caratteri
non sono tali da far tramutare il ricorso straordinario in un
procedimento formalmente e/o sostanzialmente giurisdizionale e,
quindi, in una dichiarazione del diritto diretta a far stato fra le
parti e pronunziata da un organo istituzionalmente imparziale.
Prova ne sia che, tanto per ricordare gli elementi più
importanti, la complessività disciplina legislativa del procedimento
manca di alcune fondamentali caratteristiche delle attività
giurisdizionali, quali, ad esempio, la bilateralità del
contraddittorio, una qualsiasi garanzia di difesa tecnica,
l’imparzialità istituzionale dell’organo decidente.
Nondimeno, in considerazione delle predette esigenze, la
legislazione e la giurisprudenza, compresa quella di questa Corte, si
sono sforzate di stabilire sostanziali parallelismi e sicuri raccordi
con l’attività giuridizionale. I principali fra questi sono, oltre
al carattere contenzioso del procedimento, la facoltà dei privati –
cui questa Corte con sentenza n. 148/1982 ha equiparato gli enti
pubblici non statali autori dell’atto impugnato – di chiedere in
limine litis la trasportazione della controversia nella sede
giurisdizionale e quella di impugnare presso il giudice
amministrativo la decisione del ricorso per vizi di forma o di
procedimento, nonché l’estensione allo stesso ricorso straordinario
del rimendio della revocazione e dell’azione giudiziaria di fronte al
giudice ordinario.
Se la previsione di tali garanzie, come ha riconosciuto questa
Corte (sentenza n. 78/1986), rende il ricorso straordinario non
incompatibile con l’art. 113 Cost., non può tuttavia comportare
l’effetto di integrarlo, come sostiene l’Avvocatura dello Stato, nel
sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi verso gli atti della Pubblica Amministrazione facente capo
allo stesso art. 113. Tantomeno ciò appare sostenibile ove si voglia
alludere a una pretesa costituzionalizzazione del ricorso
straordinario, considerato che attualmente è nella piena libertà
del legislatore ordinario stabilire una disciplina positiva
sostanzialmente diversa da quella vigente oppure conservare intatta
quella attuale o, finanche, decretare l’abolizione dell’istituto
stesso. In realtà, il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica, come da tempo riconoscono senza contrasto alcuno
giurisprudenza e dottrina, è un procedimento amministrativo di
secondo grado, attivabile su ricorso dei singoli interessati, di
carattere spiccatamente contenzioso ed avente ad oggetto atti
amministrativi definitivi: si tratta, dunque, di un atto
amministrativo, le cui singolari peculiarità non possono comunque
indurre l’interprete a configurarlo come una sorta di ircocervo
giuridico.
3. – Sulla base dei caratteri appena descritti risulta chiaramente
come il ricorso straordinario, se non può essere minimamente
assimilato ad atti di tipo giurisdizionale o “paragiurisdizionale”,
non può tuttavia essere definito neppure come atto di
amministrazione attiva.
È, certo, vero che la decisione del ricorso è giuridicamente
imputabile ad un organo politico-amministrativo, mentre l’intervento
del Consiglio di Stato è pur sempre costituito da un parere, che,
anche se rappresenta normalmente il contenuto della decisione, è
comunque, dal punto di vista giuridico, espressione di una funzione
consultiva obbligatoria, ma non vincolante. Ed è altrettanto vero
che questo carattere appare addirittura accentuato nel caso, in
verità di rarissima evenienza, in cui gli organi di governo
intendano discostarsi dal parere del Consiglio di Stato e adottino in
conseguenza un’apposita deliberazione del Consiglio dei Ministri,
vale a dire una decisione dell’organo supremo di direzione
politico-amministrativa. Tuttavia, tanto nella sua forma più comune
quanto sotto specie di autotutela (com’è nel caso dell’annullamento
d’ufficio del governo a norma dell’art. 6 1. com. e prov.),
l’amministrazione attiva è caratterizzata nella sua essenza dal
perseguimento degli specifici fini e dalla soddisfazione dei
particolari interessi che la legge attribuisce alle singole
amministrazioni pubbliche.
In parole diverse, per far riferimento al caso di specie, altro è
curare nel modo migliore gli assetti urbanistici, altro è dirimere i
conflitti insorgenti nella materia urbanistica: nel primo caso si è
di fronte a un’attività della Pubblica Amministrazione di natura
discrezionale diretta allo specifico fine predeterminato dalla legge,
nel secondo ricorre invece un’attività di pura e semplice
applicazione del diritto oggettivo o, comunque, un’attività diretta
a soddisfare un interesse generale diverso da quelli attribuiti alle
singole amministrazioni. E che quest’ultimo sia il caso in questione
è dimostrato tanto dal fatto che gli organi decidenti, pur essendo
istituzionalmente i massimi organi di direzione
politico-amministrativa, sono tenuti nella specie a motivare sul
punto di diritto, quanto dal fatto che la sezione (o la commissione
speciale) del Consiglio di Stato investita del parere possa rimettere
la questione alla Adunanza Generale onde evitare “contrasti
giurisprudenziali” (potere, quest’ultimo, che è parallelo a quello
del Presidente del Consiglio di Stato di deferire alla stessa
Adunanza la risoluzione di questioni di massima particolarmente
importanti) (art. 12 d.P.R. n. 1199/1971). Del resto è proprio
questo profilo che giustifica e rende razionale il particolare
sistema di gravami relativo al ricorso straordinario, prima
accennato.
In ragione dell’aspetto ora considerato il ricorso straordinario
si distingue nettamente dai ricorsi amministrativi
ordinari e da altre espressioni di amministrazione attiva in forma
contenziosa. Si tratta di una distinzione che non è
vanificata neppure nel caso in cui il Consiglio dei Ministri adotti
un’autonoma decisione sul ricorso straordinario in
difformità dal parere del Consiglio di Stato. Quest’ultima, infatti,
va letta come una clausola di salvaguardia che il
Governo, nella sua più comprensiva collegialità, cioè come
Consiglio dei Ministri, può attivare quando, a suo giudizio,
sia prospettata una decisione del caso concreto che possa arrecare
pregiudizio al buon andamento della Pubblica
Amministrazione o all’indirizzo politico. Si tratta di una clausola
contro il cui possibile esercizio abusivo valgono
peraltro i ricordati mezzi di impugnazione e la cui previsione
normativa se da un lato preclude ogni possibilità di
configurare il ricorso straordinario come atto formalmente o
sostanzialmente giurisdizionale, dall’altro lato si
armonizza perfettamente con le forme di garanzia rappresentate dai
principi costituzionali vigenti sulle attività amministrative,
attività fra le quali indubbiamente rientra, seppure in una
posizione del tutto peculiare, il ricorso straordinario al Presidente
della Repubblica.
Va comunque sottolineato, conclusivamente, che, non rientrando il
ricorso straordinario tra le forme di amministrazione attiva, è del
tutto vano, oltreché inconferente, cercare il fondamentale normativo
del relativo potere di decisione avverso gli atti amministrativi
regionali nelle disposizioni di legge che ripartiscono i compiti di
amministrazione attiva fra lo Stato e la Regione, segnatamente
nell’art. 118 Cost. in connessione con l’art. 117 Cost. e con gli
artt. 4 e 81 del d.P.R. n. 616/1977. Così come sarebbe vano e
inconferente, del resto, cercarne il fondamento nell’art. 125 Cost.,
considerato che il ricorso straordinario non può esser configurato
come un atto di controllo, mancando, nel caso, ogni possibilità di
concepire in generale un rapporto di vigilanza o di supervisione tra
l’autorità investita della decisione del ricorso e le autorità di
volta in volta emananti l’atto amministrativo dedotto nella
controversia.
4. – L’originaria e antica linfa che faceva vivere il ricorso
straordinario come una sorta di prerogativa di grazia concessa al
monarca, in quanto capo e personificazione vivente dell’apparato
governativo-amministrativo, se non scorre più come un tempo in un
istituto che ha totalmente perduto la lontana configurazione di
strumento equitativo, non ha tuttavia cessato di fluire del tutto.
L'”eccezionalità” un tempo rivestita da una forma di intervento
extra juris ordinem, si è tradotta oggi nell’assoluta atipicità di
un procedimento amministrativo di secondo grado, imputato al più
elevato organo dell’amministrazione pubblica (il Governo), che,
intervenendo quando la funzione amministrativa attiva ha già
esaurito il suo corso e si è concretizzata in provvedimenti
definitivi, assicura la risoluzione non giurisdizionale di una
controversia in sede amministrativa del tutto straordinaria.
La permanenza attuale di una ragione giustificativa di tale
istituto non sta, dunque, nella sua improbabile natura di appello al
sovrano o al vertice amministrativo. Sta piuttosto nel fatto che il
ricorso straordinario costituisce, per la Pubblica Amministrazione,
un mezzo ulteriore di garanzia della legalità e dell’imparzialità
della propria azione – che, insieme al buon andamento, sono pur
sempre i valori costituzionali supremi cui deve ispirarsi l’attività
amministrativa – e, per i cittadini, come ha già detto questa Corte
(sentenza n. 78/1966), uno strumento aggiuntivo, rispetto a quelli
ordinari, di tutela dei propri diritti soggettivi e interessi
legittimi, la cui adeguata protezione rappresenta un valore
altrettanto primario e, in un certo senso, speculare rispetto a
quelli precedentemente ricordati.
Sotto tale profilo, appaiono effettivamente collaterali gli
argomenti relativi al supposto collegamento diretto del ricorso
straordinario con il carattere sostanziamente unitario della Pubblica
Amministrazione, di cui il Governo è in ultima istanza garante e
tutore. Mentre determinanti sembrano piuttosto, ai fini
dell’affermazione della compatibilità dell’istituto in questione con
l’autonomia amministrativa costituzionalmente attribuita alle
Regioni, tanto le garanzie che assistono la decisione del ricorso
stesso quanto i mezzi assicurati alle Regioni medesime per tutelare
la propria autonomia amministrativa di fronte ad un procedimento
statale come quello del ricorso straordinario. Tra le prime assume
particolare rilievo il ruolo svolto dal parere del Consiglio di
Stato, più precisamente dall’intervento sostanziale di un organo,
nella specifica funzione considerata, legittima notoriamente la
propria azione in funzione di garanzia della legalità complessiva
dell’azione amministrativa e dell’interesse pubblico generale, non
già di quelli settoriali (fossero anche quelli strettamente
governativi o dell’apparato statale contrapposti a quelli delle
Regioni e degli enti locali). Fra le altre garanzie, cioè fra quelle
previste a tutela dell’autonomia amministrativa regionale, rilevano
invece i numerosi strumenti legislativi e giurisprundenziali che, in
definitiva, hanno pienamente legittimato il ricorso straordinario
sotto tale profilo garantendo una sostanziale volontarietà
dell’accettazione di tale rimedio, non solo da parte degli
interessati, ma anche da parte dei controinteressati, compresa
l’autorità non statale che abbia emanato l’atto impugnato (per
tacere della possibilità giuridica, per questi ultimi, di porre
riparo agli ventuali vizi di legittimità mediante i già ricordati
mezzi di impugnazione).
Più in particolare, sotto l’aspetto da ultimo considerato,
occorre ricordare che questa Corte, nel dichiarare la competenza
dello Stato ad essere titolare delle attività istruttorie relative
ai ricorsi straordinari (sentenza n. 31/1975), ha espressamente
ammesso la possibilità, quando se ne dia il caso, della più piena
collaborazione alle predette attività da parte delle Regioni
interessate.
Del resto, ad essere realistici, quando ad essere impugnato è un
atto amministrativo regionale, l’unica via che si
apre al ministero competente per compiere l’istruttoria è quella di
sollecitarla all’amministrazione regionale che ha
emanato l’atto, chiedendo a questa la documentazione necessaria, le
notizie rilevanti e le deduzioni del caso. Inoltre, va
pur detto che nei suoi più recenti pareri lo stesso Consiglio di
Stato ha ammesso la possibilità per le Regioni di accedere
direttamente alla funzione consultiva del Consiglio medesimo
chiedendo pareri spontaneamente e senza
l’intermediazione altrui. In terzo luogo, come si è già ricordato,
ancora questa Corte, nel dichiarare l’illegittimità
costituzionale dell’art. 10 del d.P.R. n. 1199/1971 nella parte in
cui ometteva di considerare gli enti pubblici non statali
fra i titolari della facoltà di trasposizione del ricorso
straordinario nella sede giurisdizionale (sentenza n. 148/1/982), ha
equiparato ai controinteressati, sotto questo profilo, anche le
Regioni che hanno emanato l’atto impugnato. In quarto
luogo, l’art. 10 del d.P.R. n. 1199/1971, in conformità del resto
con una precedente pronunzia di questa Corte (sentenza n. 1/1964), ha
previsto che i controinteressati, e quindi anche la Regione che abbia
emanato l’atto impugnato, possano attivare i comuni mezzi di gravame
(seppure per i soli errores in procedendo) contro la decisione del
ricorso straordinario. Infine, l’art. 13 del d.P.R. n. 1199/1971 fa
comunque salvi anche in caso di accoglimento del ricorso
straordinario gli ulteriori provvedimenti, compresa la mera modifica
dell’atto impugnato, che le amministrazioni pubbliche competenti,
statali o regionali che siano, intendano adottare.
Da tutto ciò risulta che – in parte per via legislativa, in parte
per via pretoria – si è venuto creando un sistema positivo che, pur
se conserva la titolarità della decisione del ricorso straordinario
allo Stato e, in particolare, al Governo, lascia tuttavia alla
Regione, quando oggetto dello stesso ricorso siano atti
amministrativi regionali, la piena padronanza degli interessi e degli
strumenti di tutela collegati all’autonomia amministrativa che l’art.
118 Cost. le garantisce. Pertanto, la sfera di attribuzione
costituzionalmente assegnata alle Regioni non può ritenersi lesa
dalla spettanza allo Stato del potere di decisione dei ricorsi
straordinari al Presidente della Repubblica avverso atti
amministrativi regionali.
5. – Nel corso del giudizio per conflitto di attribuzione tutte e
tre le Regioni ricorrenti hanno prospettato il dubbio che, una volta
che il capo III (artt. 8 e 15) del d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199
(Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi
amministrativi) fosse interpretato come è stato appena fatto, vale a
dire nel senso di considerare ammissibile l’estensione del ricorso
straordinario agli atti amministrativi regionali, questo stesso
gruppo di disposizioni potrebbe esser ritenuto incostituzionale per
violazione sia dell’art. 118 Cost., sia delle norme che vincolano il
legislatore delegato al rispetto della materia e dei principi
determinati dalla delega stessa (art. 76 Cost.). Quest’ultimo vizio,
in particolare, risulterebbe evidente, a giudizio delle Regioni
ricorrenti, dal confronto del predetto capo III del d.P.R. n.
1199/1971 con l’art. 4 della legge 18 marzo 1968 n. 249 (Delega al
Governo per il riordinamento dell’amministrazione dello Stato, per il
decentramento delle funzioni e per il riassetto delle carriere e
delle retribuzioni dei dipendenti statali), come modificato dall’art.
6 della legge 28 ottobre 1970 n. 775: mentre il decreto delegato
estenderebbe il procedimento per il ricorso straordinario anche agli
atti amministrativi regionali, la legge delega, come appare
evidentemente pur dal suo titolo, si riferirebbe invece soltanto a
procedimeni statali.
5.1. – Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (e.g.
sent. n. 68/1961, ord. n. 73/1965, sent. n. 195/1972, sent. n.
122/1976), è ben possibile sollevare una questione di
costituzionalità nel corso di un giudizio per conflitto di
attribuzione, sempreché il sospetto di illegittimità costituzionale
non riguardi l’oggetto stesso del conflitto, ma concerna una
questione logicamente pregiudiziale rispetto a quella di cui si
sostanzia il conflitto stesso. Se così non fosse, si produrebbe
peraltro una sostanziale vanificazione del termine previsto per la
proposizione dei ricorsi nei giudizi di legittimità costituzionale
in via di azione (art. 32, secondo comma, L. n. 87 del 1953). Sulla
base di tale premessa, mentre non c’è dubbio alcuno che dei due
profili sollevati quello relativo al presunto eccesso di delega del
capo III del d.P.R. 1199/1971 rispetto all’art. 6 L. 775/1970 dia
corpo a una questione distinta da quella attinente al conflitto di
attribuzione e astrattamente pregiudiziale rispetto allo stesso, al
contrario il profilo relativo alla pretesa violazione dell’art. 118
Cost. costituisce l’oggetto stesso ed esclusivo del conflitto
medesimo. Si tratta, dunque, in quest’ultimo caso, di una questione
di interpretazione risolvibile nell’ambito del processo logico di
definizione delle competenze oggetto del conflitto. Come tale, la
questione di costituzionalità del capo III del d.P.R. n. 1199/1971
in relazione all’art. 118 Cost. è inammissibile.
5.2. – Quanto alla questione di costituzionalità sollevata,
sempre con riguardo al capo III del d.P.R. n. 1199/1971, in relazione
all’art. 76 Cost., va disattesa l’eccezione formulata dall’Avvocatura
dello Stato relativa a una pretesa irrilevanza della stessa. Il fatto
che l’estensione del ricorso straordinario agli atti amministrativi
regionali non è una innovazione introdotta dalle norme contestate,
ma, come sostiene l’Avvocatura dello Stato, era già “pacificamente
ammessa sulla base della normativa e, secondo alcuni, della
consuetudine costituzionale precedente” non renderebbe inutile
un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità.
L’eccezione non tiene conto, infatti, che qualunque fosse stata la
preesistente base normativa, questa è stata novata nella fonte dalle
norme ora contestate e, in particolare, dall’art. 8 del d.P.R.
1199/1971, in quale contiene le disposizioni vigenti che stabiliscono
quali sono gli atti assoggettabili al ricorso straordinario.
Nondimeno la prospettata questione di costituzionalità deve
ritenersi manifestamente infondata. È ben vero che la legge di
delega fa chiaramente riferimento, a cominciare dal titolo, a
procedimenti amministrativi di spettanza dello Stato, e non già
delle Regioni. Ma quest’elemento, come ammettono espressamente le
stesse Regioni ricorrenti nella loro memoria, non è minimamente in
contestazione nelle cause: è, anzi il solo presupposto comune delle
due posizioni in conflitto. Ciò che è in contestazione è invece
l’estensione del potere di decisione dei ricorsi straordinari e, in
particolare, l’applicazione di tale potere decisorio agli atti
amministrativi regionali.
A dire il vero, nell’art. 4 L. n. 249/1968, come modificato
dall’art. 6 L. n. 775/1970 o, in generale nella complessiva
legge di delega non si rinviene alcun elemento – né le Regioni
ricorrenti ne indicano qualcuno – che possa far sorgere
il minimo dubbio circa l’esistenza di una volontà del legislatore
delegante diretta a escludere gli atti amministrativi regionali dai
possibili oggetti del ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica.
LA CORTE COSTITUZIONALE
nei riuniti giudizi per conflitto di attribuzione, di cui in
epigrafe:
dichiara che spetta allo Stato la decisione del ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica avverso atti
amministrativi regionali;
dichiara altresì:
a) l’inammissibilità della questione di costituzionalità,
sollevata nel corso dei presenti giudizi dalle Regioni ricorrenti,
concernente gli articoli 8 e 15 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199
in relazione all’art. 118 Cost.;
b) la manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità, sollevata nel corso dei presenti giudizi dalle
Regioni ricorrenti, concernente gli articoli 8 e 15 del d.P.R. 24
novembre 1971, n. 1199 in relazione all’art. 76 Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1986.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il redattore: BALDASSARRE
Depositata in cancelleria il 31 dicembre 1986.
Il direttore della cancelleria: VITALE