Sentenza N. 343 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
22/07/1999
Data deposito/pubblicazione
22/07/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/07/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
legge 27 dicembre 1989, n. 417 (esattamente: del d.-l. 6 novembre
1989, n. 357, recante “Norme in materia di reclutamento del personale
della scuola”, convertito, con modificazioni, nella legge 27 dicembre
1989, n. 417), promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1996 dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti
proposti da Maria Grazia Tose’ contro il Ministero della pubblica
istruzione ed altro, iscritta al n. 524 del registro ordinanze 1997 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima
serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di costituzione di Maria Grazia Tose’ nonché l’atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 21 aprile 1998 il giudice relatore
Cesare Mirabelli;
Uditi l’avvocato Carlo Rienzi per Maria Grazia Tose’ e l’avvocato
dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
chiedeva l’annullamento di due decreti con i quali la Sovrintendenza
scolastica interregionale per l’Abruzzo e il Molise aveva annullato
le prove d’esame sostenute dalla ricorrente per conseguire
l’abilitazione all’insegnamento delle discipline letterarie in una
sessione riservata al personale che aveva prestato servizio nelle
scuole statali, ed aveva disposto la esclusione della stessa
insegnante dal concorso, per soli titoli, di accesso ai ruoli del
personale docente, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
con ordinanza emessa il 3 giugno 1996 (pervenuta il 10 luglio 1997),
ha sollevato, in riferimento agliartt. 3, primo comma, e 97, primo
comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
degli artt. 2 e 11 della legge 27 dicembre 1989, n. 417 (esattamente:
del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito, con modificazioni,
nella legge 27 dicembre 1989, n. 417), nella parte in cui escludono
dalla sessione riservata degli esami di abilitazione i docenti di
religione.
Le disposizioni denunciate, inserite nel contesto delle norme in
materia di reclutamento del personale della scuola, dettate con il
d.-l. n. 357 del 1989, prevedono l’accesso ai ruoli del personale
docente mediante concorsi per soli titoli, ai quali possono
partecipare coloro che hanno prestato (per almeno trecentosessanta
giorni, anche non continuativi, nel triennio precedente) servizio,
negli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado, per
insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo, svolti sulla base del
titolo di studio richiesto per l’accesso ai ruoli, nonché per
insegnamenti relativi a classi di concorso (art. 2, comma 10, lett.
b)). Le stesse disposizioni prevedono, inoltre, che i docenti non
abilitati, in possesso dei requisiti di servizio prima richiamati,
possono partecipare ad una sessione riservata per il conseguimento
dell’abilitazione all’insegnamento (art. 11, comma 3, dello stesso
d.-l. n. 357 del 1989).
Nel caso sottoposto al giudizio del Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, la ricorrente era in possesso della laurea in
filosofia, titolo di studio richiesto per la classe di concorso
“materie letterarie”, per la quale aveva presentato domanda di
partecipazione alla sessione riservata degli esami di abilitazione,
ma le sarebbe mancato il requisito del servizio di insegnamento per
classi di concorso, giacché l’insegnamento della religione, prestato
dalla ricorrente, non è compreso tra le classi stabilite dalle
tabelle annesse al decreto ministeriale 3 settembre 1982.
Il giudice rimettente ritiene che la esclusione degli insegnanti di
religione dagli esami di abilitazione per discipline diverse da
quella insegnata, ma per le quali siano in possesso del titolo di
studio richiesto, determini una ingiustificata disparità di
trattamento rispetto agli altri docenti i quali, purché in possesso
del titolo di studio, verrebbero ammessi a sostenere gli esami di
abilitazione anche in discipline diverse, pur se comprese in classi
di concorso diverse da quella per la quale hanno prestato il servizio
di insegnamento.
Il giudice rimettente sottolinea che le norme sullo stato giuridico
del personale insegnante non di ruolo, stabilite dalla legge 19 marzo
1955, n. 160, si applicano anche agli insegnanti di religione, i
quali espletano, come gli insegnanti di altre discipline, tutte le
attività connesse con la funzione docente, definita dall’art. 395
del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di
istruzione (approvato con il decreto legislativo 16 aprile 1994, n.
297).
Lo stesso giudice, ritenendo non necessaria la corrispondenza, ai
fini della partecipazione ai concorsi previsti dalle disposizioni
denunciate, tra le materie insegnate ed inserite in classi di
concorso e quella per la quale si chiede l’abilitazione, considera
irragionevole ed ingiustificata una diversa disciplina delle
situazioni messe a
raffronto e dubita che le norme denunciate violino i principi di
eguaglianza e di imparzialità della pubblica amministrazione.
2. – Si è costituita dinanzi alla Corte la parte ricorrente nel
giudizio principale, depositando successivamente una memoria per
sostenere la fondatezza della questione di legittimità
costituzionale.
La parte privata ritiene che le norme denunciate impedirebbero, a
chi ha prestato servizio quale insegnante di religione nel periodo e
per la durata richiesti, sia di sostenere gli esami per il
conseguimento dell’abilitazione nella sessione riservata sia di
essere ammesso al concorso per soli titoli; ciò esclusivamente per
la mancata corrispondenza tra il servizio prestato ed una classe di
concorso prevista dalle relative tabelle. Ne deriverebbe una
disparità di trattamento, giacché l’insegnamento, quale che sia la
disciplina, rientra nella funzione docente. Inoltre l’insegnante di
religione avrebbe gli stessi diritti e doveri degli altri docenti,
sicché costituirebbe una irragionevole discriminazione escluderli
dalla possibilità di conseguire una abilitazione nella sessione
riservata a chi ha prestato servizio di insegnamento per il tempo
prescritto. Difatti per partecipare a questo esame si prescinderebbe
dal servizio svolto nella materia compresa nella classe di concorso
cui si intende partecipare, essendo considerato utile anche
l’insegnamento impartito in una materia diversa, purché compresa in
altre classi di concorso.
3. – È intervenuto nel giudizio dinanzi alla Corte il Presidente
del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile o, in subordine, infondata.
In una memoria depositata in prossimità dell’udienza l’Avvocatura
descrive la evoluzione della disciplina concordataria relativa
all’insegnamento della religione cattolica e sottolinea che
l’incarico di questo insegnamento costituisce un atto complesso, che
si formalizza con la nomina del capo di istituto, ma che richiede la
proposta nominativa da parte dell’autorità diocesana che attesta
l’idoneità.
Pur essendo stata riconosciuta agli insegnanti di religione parità
di posizione con i docenti non di ruolo incaricati a tempo
indeterminato, la loro assunzione sarebbe estranea al sistema dei
concorsi e delle graduatorie previsto per tutti gli altri insegnanti.
Essi costituirebbero una categoria a parte, istituzionalmente
sottratta, per le caratteristiche del loro rapporto di servizio, alle
problematiche del precariato nelle scuole statali e delle
disposizioni intese a sanare posizioni di precariato con modalità
agevolate di conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento o di
immissione in ruolo.
L’insegnamento in questione, inoltre, si collegherebbe al regime
concordatario, sicché il legislatore non avrebbe potuto, senza
nemmeno avvalersi dello strumento pattizio, ascrivere a classe di
concorso l’insegnamento della religione cattolica o considerare utile
e valutabile di per sé il servizio prestato per quell’insegnamento,
sia ai fini del conseguimento dell’abilitazione in una sessione
riservata sia ai fini della partecipazione ai concorsi a cattedre per
soli titoli.
In riferimento al principio di eguaglianza (art. 3 della
Costituzione), non costituirebbe una discriminazione riservare lo
speciale sistema dei concorsi di accesso ai ruoli statali a chi
presta servizio per discipline che corrispondono a quei ruoli e non
includere gli insegnanti di religione, la cui condizione ha caratteri
di accentuata atipicità.
Quanto al principio di buon andamento ed organizzazione dei
pubblici uffici (art. 97 della Costituzione), ad avviso
dell’Avvocatura l’amministrazione scolastica potrebbe legittimamente
preferire la utilizzazione, per la sistemazione definitiva nei propri
ruoli, della specifica esperienza professionale e didattica degli
insegnanti partecipi di un rapporto interamente svolto entro la sfera
dell’autorità scolastica statale.
in materia di reclutamento del personale della scuola (dettate con il
d.-l. 6 novembre 1989, n. 357), le quali richiedono, tra i requisiti
per essere ammessi ai concorsi, per soli titoli, di accesso ai ruoli
del personale docente e per partecipare ad una sessione riservata di
esami di abilitazione all’insegnamento, un servizio prestato negli
istituti e scuole statali per insegnamenti corrispondenti a posti di
ruolo, svolti sulla base del titolo di studio richiesto per l’accesso
ai ruoli, nonché per insegnamenti relativi a classi di concorso.
Ad avviso del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, gli
artt. 2 (comma 10, lett. b)), e 11 (comma 3) del d.-l. n. 357 del
1989, che dettano queste norme, non consentirebbero agli insegnanti
di religione – i quali abbiano prestato servizio per la durata e nel
periodo previsti e siano in possesso del titolo di studio richiesto
per l’insegnamento per il quale intendono conseguire l’abilitazione o
accedere ai ruoli – di partecipare alle sessioni di abilitazione ed
ai concorsi riservati, giacché l’insegnamento da essi prestato non
è compreso tra quelli relativi a classi di concorso. Da ciò
deriverebbe la violazione dei principi di eguaglianza e di buon
andamento della pubblica amministrazione (art. 3, primo comma, e art.
97, primo comma, della Costituzione), in quanto non sarebbe
giustificata la diversità di trattamento di questa categoria di
insegnanti, il cui stato giuridico è equiparato a quello degli altri
insegnanti non di ruolo, i quali invece verrebbero ammessi a
partecipare ai concorsi per titoli ed a sostenere gli esami di
abilitazione nella sessione riservata, anche per insegnamenti diversi
da quelli per i quali hanno prestato servizio, purché in possesso
del titolo di studio richiesto.
2. – La questione non è fondata.
Le norme in materia di reclutamento del personale della scuola –
emanate, come afferma il preambolo del d.-l. n. 357 del 1989, per la
ritenuta esigenza di provvedere, con la dovuta tempestività, alla
copertura dei posti vacanti con personale di ruolo, in modo da
assicurare l’ordinato svolgimento dell’anno scolastico 1989-1990 –
prevedono modalità semplificate di accesso ai ruoli del personale
docente, mediante concorsi per soli titoli, riservati a chi sia in
possesso di un duplice requisito: abbia in precedenza superato prove
di concorso o di esame, anche ai soli fini abilitativi, ed abbia
maturato una consistente esperienza didattica, acquisita con
l’insegnamento, svolto sulla base del titolo di studio richiesto per
l’accesso ai ruoli, corrispondente a posti di ruolo o relativo a
classi di concorso (art. 2, comma 10, lett. b)).
La sessione per il conseguimento dell’abilitazione
all’insegnamento, riservata ai docenti che abbiano prestato tale
servizio, è considerata utile anche per acquisire uno dei requisiti
necessari per l’ammissione al concorso per soli titoli di accesso ai
ruoli (art. 11, comma 3).
Il meccanismo preordinato dal legislatore si basa sullo stretto
collegamento tra titolo di studio posseduto, servizio di insegnamento
prestato e superamento di prove di esame, sempre nel contesto del
medesimo ambito disciplinare.
L’insegnamento non costituisce una generica e comune esperienza
didattica da far valere in ogni settore disciplinare, ma uno
specifico elemento di qualificazione professionale per impartire
l’insegnamento corrispondente al posto di ruolo cui si intende
accedere. Difatti, nello stesso contesto normativo, il legislatore ha
disposto che il servizio riferito ad un insegnamento diverso da
quello inerente al concorso non sia valutato quale titolo (art. 2,
comma 17, del d.-l. n. 357 del 1989).
Parte della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che la
specifica esperienza didattica del candidato costituisca un elemento
di qualificazione professionale da verificare in sede di esame e che
verrebbe elusa la stessa ragione della sessione riservata, qualora
l’insegnamento prestato dal candidato e sul quale in sede di esame
devono vertere le prove avesse caratteristiche e contenuti diversi da
quelli degli insegnamenti relativi alla specifica classe di
abilitazione alla quale si intende essere ammessi.
L’apertura interpretativa, effettuata da altra parte della
giurisprudenza amministrativa orientata a non precludere l’ammissione
alla sessione riservata degli esami di abilitazione anche se
l’insegnamento sia stato prestato per una classe di concorso diversa
da quella per la quale si sia chiesto di partecipare, ha tuttavia
riguardo a classi di concorso affini, per le quali lo stesso titolo
di studio, in base al quale si è prestato il servizio, dà accesso
ad entrambe le classi considerate, sicché l’insegnamento basato su
quel titolo consente di maturare una esperienza didattica specifica,
ma comune alle classi stesse. Ciò che, appunto, giustifica
l’adozione di una verifica semplificata della professionalità, in
sessioni riservate di esame o di concorso.
A questa situazione non è assimilabile quella degli insegnanti di
religione, il cui servizio è prestato sulla base di specifici
profili di qualificazione professionale (determinati con l’intesa tra
autorità scolastica e Conferenza episcopale italiana, cui ha dato
esecuzione il d.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751), i quali, di per sé,
non costituiscono titolo di accesso ad altri insegnamenti.
Risulta così esclusa la discriminazione ipotizzata dall’ordinanza
di rimessione o la irragionevolezza, prospettata anche per
argomentare la lesione del principio di buon andamento della pubblica
amministrazione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 2 e 11 del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357 (Norme in
materia di reclutamento del personale della scuola), convertito, con
modificazioni, nella legge 27 dicembre 1989, n. 417, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mirabelli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola