Sentenza N. 356 del 1985
Corte Costituzionale
Data generale
21/12/1985
Data deposito/pubblicazione
21/12/1985
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/12/1985
REALE – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA –
Prof. GIOVANNI CONSO – Prof. ETTORE GALLO – Dott. ALDO CORASANITI –
Prof. GIUSEPPE BORZELLINO – Dott. FRANCESCO GRECO – Prof. RENATO
DELL’ANDRO, Giudici,
secondo cpv., 5, 6, 7, 9, 11, primo, secondo, quarto e quinto comma,
13, primo comma, 16, primo e secondo comma, 17 e 19, secondo comma,
della legge 4 giugno 1984, n. 194, recante “Interventi a sostegno
dell’agricoltura”, promossi con ricorsi dei Presidenti delle Giunte
provinciali di Trento e Bolzano, e dei Presidenti delle Giunte delle
Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, notificati rispettivamente il 5 e
il 4 luglio 1984, depositati in cancelleria il 12 successivo ed
iscritti ai nn. 20, 21, 23 e 24 del registro ricorsi 1984.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 1985 il Giudice relatore
Antonio La Pergola;
uditi l’avvocato Giuseppe Guarino per le Province di Trento e
Bolzano, gli avvocati Umberto Pototschning e Gualtiero Rueca per le
Regioni Lombardia ed Emilia- Romagna e l’avvocato dello Stato Giorgio
Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.1 – Con ricorso notificato il 5 luglio 1984, la Provincia
autonoma di Trento ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli artt. 16, primo e secondo comma, e 19, secondo
comma, della legge 4 giugno 1984, n. 194, concernente “Interventi a
sostegno dell’agricoltura” (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 153
del 5 giugno 1984), in riferimento agli artt. 8, n. 21, 16 e 78 dello
Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n.
670) e relative norme d’attuazione.
In particolare, la Provincia deduce:
a) l’art. 16, primo comma, stabilisce che, “in relazione al piano
finanziario di cui all’art. 17 della legge 27 dicembre 1977, n. 984, e
a definizione dei rapporti finanziari con le Regioni a Statuto speciale
e le Province autonome di Trento e Bolzano, a valere sullo stanziamento
di lire 1.520 miliardi destinato all’attuazione nell’anno 1984 degli
interventi previsti nella citata legge n. 984/77, la complessiva somma
di lire 289.852 milioni è assegnata alle Regioni a Statuto speciale e
alle Province autonome”. Alla Provincia ricorrente è assegnata la
somma di lire 18.101 milioni.
La riferita disciplina è stata emanata a seguito della sentenza
della Corte n. 340 del 1983, con la quale venne dichiarata
l’incostituzionalità della legge n. 984 del 1977 per la parte
concernente la Regione Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di
Trento e Bolzano.
Ciò premesso, la ricorrente rileva, anzitutto, che, essendo
previsto, per il finanziamento degli interventi di cui alla legge n.
984/77, uno stanziamento complessivo a carico del bilancio dello Stato
per il 1984 di lire 1.520 miliardi, applicando a tale importo il
parametro popolazione/territorio prescritto dall’art. 78 dello Statuto
– pari a 1,425% – sarebbe spettata alla Provincia un’assegnazione di
lire 21.660 milioni, superiore quindi di 3.559 milioni a quella dianzi
indicata di lire 18. 101 milioni.
L’avvenuta defalcazione della quota spettante alla ricorrente (sia
che dipenda dall’utilizzazione di un parametro inferiore a quello
stabilito nello Statuto, sia, invece, dall’applicazione del parametro
(corretto) non all’intero stanziamento – 1.520 miliardi – ma a quello
ridotto previsto per i soli interventi da attuarsi tramite le Regioni –
pari a 1.235,569 miliardi -), ha comunque determinato la violazione dei
criteri per la determinazione della quota spettante alla Provincia
stabiliti dal già citato art. 78 dello Statuto: anche, infatti, nel
caso in cui fosse esatta la seconda ipotesi (come la ricorrente ritiene
più probabile) ugualmente risulterebbe violato l’art. 78, là dove
stabilisce che la quota di spettanza delle Province autonome deve
essere calcolata tenendo conto anche degli stanziamenti previsti dalla
legge per gli interventi effettuati direttamente dallo Stato “nella
restante parte del territorio nazionale negli stessi settori di
competenza delle Province autonome”.
L’art. 16, primo comma, violerebbe, inoltre, sempre ad avviso della
ricorrente, gli artt. 8 n. 21 e 16 dello Statuto, che riservano alla
Provincia le competenze nelle materie oggetto degli interventi della
legge censurata, e di nuovo l’art. 78 dello Statuto sotto l’ulteriore
profilo del mancato rispetto della procedura ivi prevista a garanzia
delle attribuzioni della Provincia, cioè il previo accordo fra il
Governo e il Presidente della Giunta provinciale.
b) L’art. 16, secondo comma, della legge impugnata stabilisce che
la Provincia ricorrente dovrà provvedere “con legge all’utilizzazione
della somma di cui al comma precedente, sulla base degli indirizzi di
propri piani agricoli, sui quali va preventivamente sentito il CIPAA”.
Sostiene la ricorrente che detta norma, nel prescrivere l’assenso
preventivo del CIPAA sul piano provinciale, impone alla Provincia una
procedura tramite la quale il Governo possa esercitare una funzione di
indirizzo e coordinamento, così violando la sfera di competenza
esclusiva della Provincia stessa nella materia in esame, garantita dai
citati artt. 8 e 16 dello Statuto: è ampiamente richiamata al riguardo
la sentenza della Corte n. 340 del 1983, che dichiarò
l’incostituzionalità della legge n. 984 del 1977 e le cui
argomentazioni (specie là dove si legge che, quando opera la
guarentigia dello Statuto speciale, le esigenze unitarie legittimano
l’esercizio dell’indirizzo e del coordinamento solo in presenza di un
interesse che deve nettamente configurarsi come insuscettibile di
frazionamento o localizzazione territoriale) debbono necessariamente
valere, ad avviso della difesa della Provincia, a far dichiarare
l’incostituzionalità anche della normativa in esame.
Va poi considerato, conclude la ricorrente, che l’esigenza di
armonizzare gli obiettivi della programmazione regionale con quella
nazionale trova già soddisfazione in altre norme legislative che
prevedono gli strumenti idonei a tale scopo: l’art. 16 della legge 27
febbraio 1967, n. 48 (integrato dall’art. 34 legge 5 agosto 1978, n.
468) stabilisce infatti che il Governo può far valere l’interesse
nazionale dell’unitarietà e coerenza degli obiettivi perseguiti
attraverso la spesa pubblica in sede di controllo della legge regionale
ex art. 127 Cost..
c) L’art. 19, secondo comma, infine, che sostituisce l’art. 5 della
legge 9 maggio 1975, n. 153, stabilisce che le Regioni, ivi comprese
quelle a Statuto speciale, nonché le Province autonome di Trento e
Bolzano, potranno apportare all’occorrenza variazioni alla destinazione
dei fondi loro assegnati, nell’ambito delle finalità indicate dalla
presente legge”. Il vincolo che in tal modo la norma pretende di
imporre alla Provincia sarebbe, ad avviso di questa, palesemente
incostituzionale, riguardando una materia riservata alla competenza
esclusiva della Provincia stessa. Peraltro, la ricorrente ha già
dato, in base all’art. 2, secondo comma, della legge citata n. 153/75,
autonoma e completa attuazione alle direttive CEE nn. 159, 160 e 161
del 1972 con la legge provinciale 26 novembre 1976, n. 39, stabilendo
anche la destinazione dei fondi in questione. Risultano, quindi,
violate non solo la potestà legislativa ed amministrativa della
Provincia (artt. 8 n. 21 e 16 dello Statuto), ma anche la autonomia
finanziaria provinciale (art. 78 Statuto), in quanto spetta alla
Provincia programmare gli interventi ed utilizzare le proprie risorse
finanziarie nella materia in questione senza vincoli a specifiche
destinazioni, secondo il principio generale sancito dall’art. 21 della
legge 19 maggio 1976, n. 335, che tanto più vale per la Provincia
ricorrente, cui la Corte ha riconosciuto (sent. n. 162/82) un’autonomia
finanziaria anche più estesa di quella propria delle Regioni a Statuto
ordinario.
1.2 – Con ricorso notificato il 5 luglio 1984, anche la Provincia
autonoma di Bolzano ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli artt. 16, primo e secondo comma, e 19, secondo
comma, della legge n. 194 del 1984. Le argomentazioni contenute nel
ricorso sono sostanzialmente identiche a quelle svolte dalla Provincia
di Trento. Va soltanto rilevato che la ricorrente denuncia la
violazione, oltre che degli artt. 8 n. 21, 16 e 78 dello Statuto, anche
degli artt. 3, terzo comma; 8 nn. 7, 8, 15 e 16; e 79 dello Statuto
stesso, ma senza addurre motivazioni ulteriori.
1.3 – Si è costituito in entrambi i giudizi, con unico atto di
intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri, per tramite
dell’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che i ricorsi siano
rigettati.
a) In primo luogo, l’Avvocatura eccepisce l’infondatezza della
censura relativa alla determinazione delle somme assegnate alle
Province dall’art. 16, primo comma, impugnato: che tale determinazione
sia avvenuta applicando il parametro stabilito ai sensi dell’art. 78
dello Statuto non già all’intero importo del fondo, bensì a quello
minore depurato della quota riservata al finanziamento degli interventi
di competenza statale è perfettamente legittimo secondo l’Avvocatura,
in quanto, trattandosi della ripartizione tra Regioni e Province
autonome di un fondo istituito con specifica destinazione, solo tenendo
conto esclusivamente del complesso delle somme destinate a finanziare
l’esercizio delle funzioni regionali poteva essere garantita la parità
di trattamento tra Regioni e Province autonome.
D’altronde, osserva l’Avvocatura, l’art. 78 dello Statuto, là dove
afferma che “sarà tenuto conto anche delle spese per interventi
generali dello Stato disposti nella restante parte del territorio
nazionale negli stessi settori di competenza delle Province” si
riferisce chiaramente a quegli interventi statali che interessano tutto
il restante territorio nazionale con la sola eccezione del territorio
delle due Province, in relazione a specifiche competenze statutarie di
queste. Tale non è il caso delle funzioni statali previste dalle
lettere c) e g) dell’art. 3 della legge n. 984 del 1977, per il
finanziamento delle quali l’art. 17, settimo comma, della stessa legge
prevede stanziamenti, da iscriversi negli stati di previsione delle
Amministrazioni dello Stato, di una quota del fondo complessivo
stabilito per il finanziamento degli interventi pubblici previsti da
quella legge: trattasi, infatti, ad avviso della resistente, di
interventi che interessano l’intero territorio nazionale, compreso
quello delle Province di Trento e Bolzano.
Pure infondata è, prosegue l’Avvocatura, la censura concernente il
mancato previo accordo tra il Governo e il Presidente della Giunta
provinciale. La norma invocata – l’art. 78 dello Statuto – non sarebbe,
infatti, applicabile al caso di specie, trattandosi di un fondo
destinato non a finanziare le spese necessarie ad adempiere le funzioni
normali delle Province, ma a provvedere a scopi determinati in settori
indicati dalla legge, come previsto dall’art. 119 Cost. e dall’art. 9
della legge n. 281 del 1970, citato dall’art. 17, settimo comma, della
legge n. 984 del 1977. La fattispecie è quindi disciplinata non
dall’art. 78 dello Statuto, ma dall’art. 79, che si limita ad affermare
l’applicabilità alle Province autonome dell’art. 119, secondo comma,
Cost..
b) Anche la censura relativa alla previsione (art. 16, secondo
comma) dell’assenso preventivo del CIPAA è, ad avviso dell’Avvocatura,
infondata, essendo la norma stata dettata proprio al fine di adeguare
la normativa della legge n. 984/77 ai principi affermati con la
sentenza n. 340 del 1983. È stata così eliminata la capillare e
penetrante interferenza della normativa statale nella sfera di
autonomia delle due Province autonome e il parere del CIPAA,
obbligatorio ma non necessariamente espresso, non costituisce forma di
indirizzo e coordinamento ed è comunque giustificato dalle esigenze
unitarie della programmazione (sentenza n. 20 del 1970).
c) Per quanto concerne, infine, la censura relativa all’art. 19,
secondo comma, legge n. 194/84, l’Avvocatura ne eccepisce innanzitutto
l’inammissibilità, in quanto la modifica introdotta all’art. 5 della
legge n. 153 del 1975 non restringe, ma anzi amplia la sfera di
autonomia delle ricorrenti, alle quali è attribuita la facoltà, prima
non prevista, di modificare la destinazione dei fondi, sia pure nei
limiti delle finalità indicate dalla legge. La censura sarebbe
comunque infondata nel merito, in quanto la partecipazione con le altre
Regioni alla distribuzione di fondi istituti con una determinata
finalità comporta automaticamente il vincolo di destinazione sulla
quota del fondo assegnato alla singola Regione o Provincia autonoma.
2.1 – Con ricorsi notificati il 3 luglio 1984, le Regioni Lombardia
ed Emilia-Romagna hanno sollevato, con identiche argomentazioni,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, primo e secondo
capoverso, 5, 6, 7, 9, 11, primo, secondo, quarto e quinto comma, 13,
primo comma, e 17 della legge 4 giugno 1984, n. 194, in riferimento
agli artt. 117, 118, 119 e 136 Cost., nonché a una serie di
disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
In particolare, le Regioni deducono:
a) L’art. 3 aggiunge tre commi all’art. 2 della legge 18 dicembre
1983, n. 700 (“Norme per il risanamento, la ristrutturazione e lo
sviluppo del settore bieticolo-saccarifero”): i primi due commi
aggiunti, prevedendo l’istituzione di un “programma di ricerca,
sperimentazione e divulgazione nel settore bieticolo-saccarifero” per
la cui attuazione è autorizzata la spesa di un miliardo da iscrivere
nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’Agricoltura,
lederebbero le competenze regionali, in quanto da un lato il programma
previsto esula dalle competenze statali indicate nell’art. 71, lett. a)
e c), del d.P.R. n. 616/77 e dall’altro la “divulgazione” è un compito
che spetta alle Regioni, ai sensi dell’art. 66, primo e secondo comma,
lett. a), del medesimo d.P.R..
b) L’art. 5 autorizza una nuova spesa di 275 miliardi “per le
finalità di cui all’art. 1 della legge 1 luglio 1977, n. 403” e
prevede che la spesa sia iscritta nello stato di previsione del
Ministero dell’Agricoltura e sia ripartita con decreto del Ministro
dell’Agricoltura: tale disciplina, innovativa rispetto a quella dettata
dalla citata legge n. 403/77, che prevedeva invece che le risorse
confluissero nel fondo per il finanziamento di programmi regionali di
sviluppo (e quindi senza vincolo rigido di destinazione) e che al
riparto delle stesse provvedesse il CIPE, sarebbe lesiva dell’autonomia
programmatoria e di spesa della Regione, in quanto segna il passaggio
da un finanziamento globale e correlato a un processo di programmazione
ad uno rigidamente settoriale, svincolato dalla programmazione e
interamente governato dall’amministrazione centrale.
c) L’art. 6 prevede la concessione di un concorso nel pagamento
degli interessi a favore dei “consorzi nazionali di cooperative
agricole” e delle “cooperative agricole di rilevanza nazionale” sui
mutui contratti “per il consolidamento e lo sviluppo dei consorzi e
delle cooperative medesime”; la determinazione delle condizioni e delle
modalità per l’attuazione degli interventi è demandata a un decreto
del Ministro del Tesoro di concerto con quello dell’Agricoltura.
La materia cui si riferisce l’intervento in questione è, ad avviso
delle ricorrenti, interamente ricompresa nella competenza delle Regioni
(artt. 66, primo e secondo comma, lett. b) e c), e 109 d.P.R. n.
616/77), mentre la competenza statale concernente “le associazioni e le
unioni nazionali dei produttori in materia di agricoltura e foreste”
(art. 71, primo comma, lett. h), del d.P.R. n. 616/77) riguarderebbe
soltanto l’ordinamento di tali associazioni ed unioni e non le
attività delle imprese agricole e gli interventi di incentivazione
delle stesse.
D’altra parte, la categoria delle “cooperative agricole di
rilevanza nazionale” è inesistente e non trova alcun fondamento nella
legislazione: pur prevedendo, infatti, l’art. 5 della legge n. 403 del
1977 la concessione da parte dello Stato di contributi a favore di
cooperative e loro consorzi, detta norma non contempla genericamente
una categoria siffatta quale destinataria dei contributi e, inoltre,
gli interventi avvenivano con modalità determinate d’intesa tra il
Ministero e le Regioni interessate.
d) L’art. 7 autorizza la spesa di 50 miliardi per l’attuazione di
interventi “a sostegno della cooperazione agricola di rilevanza
nazionale”; gli interventi sono quelli previsti dall’art. 5, lett. a),
c) e d), della legge n. 403 del 1977. Anche tale disposizione viola, ad
avviso delle ricorrenti, le competenze regionali sancite negli artt.
66, primo e secondo comma, lett. c), 67, primo comma, 35, 41, secondo
comma, e 109 del d.P.R. n. 616/77.
Né varrebbe a sorreggere tali interventi la competenza statale in
tema di associazioni ed unioni nazionali dei produttori in materia di
agricoltura e foreste (art. 71, lett. h), del d.P.R. citato), che, come
già detto sub c), riguarda soltanto l’ordinamento di tali associazioni
e al più le loro attività di “secondo grado”.
Ugualmente, proseguono le ricorrenti, non potrebbe farsi
riferimento alla competenza statale in materia di impianti “di
interesse nazionale” per la raccolta, la conservazione, la lavorazione,
la trasformazione e la vendita di prodotti, di cui all’art. 67, primo e
secondo comma, d.P.R. n. 616: da un lato infatti tale competenza
riguarda appunto i soli impianti “di interesse nazionale”, e cioè
quelli dell’A.I.M.A., mentre l’art. 5 lett. a) della legge n. 403/77 si
riferisce ad impianti realizzati e gestiti da cooperative e loro
consorzi, “aventi dimensione nazionale” (e non “di interesse
nazionale”) o “interregionale”, laddove l’art. 67, secondo comma,
d.P.R. n. 616 attribuisce anche tali ultimi impianti alla competenza
regionale; dall’altro, mentre l’art. 67, terzo comma, citato, impone
che gli interventi statali avvengano “nel quadro della programmazione
nazionale” e “sentite le Regioni interessate in relazione alla loro
ubicazione”, la norma impugnata prevede solo un’intesa con le Regioni
per la determinazione delle modalità degli interventi.
Inoltre, sarebbero del tutto fuori delle competenze statali le
previsioni (art. 5, lett. c) e d), della legge n. 403 del 1977,
richiamato dall’art. 7 impugnato) di contributi “per le attività
intese a promuovere e sostenere la cooperazione con iniziative di
interesse nazionale” e di contributi sulle spese di gestione per
operazioni di raccolta, conservazione, lavorazione, commercializzazione
di prodotti, nonché di concorsi negli interessi su prestiti destinati
alla conduzione aziendale e alle anticipazioni ai soci conferenti:
sarebbero violate non solo la competenza regionale in tema di sostegno
alla cooperazione agricola, di formazione e qualificazione
professionale degli operatori agricoli e di assistenza aziendale e
interaziendale nel settore agricolo e forestale (art. 66, secondo
comma, lett. a) e c), d.P.R. n. 616/77), ma anche più in generale la
competenza in tema di formazione professionale (art. 35 d.P.R. citato),
e il divieto di stanziare somme a favore di soggetti pubblici e privati
per finalità inerenti all’attività di istruzione professionale da
parte dello Stato, salvo che per attività di studio, ricerca e
sperimentazione (art. 41, secondo comma, d.P.R. citato).
e) L’art. 9 autorizza una spesa di 35 miliardi da iscrivere nello
stato di previsione della spesa del Ministero dell’Agricoltura, “per la
realizzazione di interventi”, fra l’altro “a sostegno della lotta
contro gli incendi boschivi” e “per l’attuazione di un programma di
forestazione industriale produttiva di rilevanza nazionale da
realizzarsi su suoli demaniali”.
Entrambe dette destinazioni di spesa lederebbero le competenze
regionali. Nel primo caso, infatti, facendo la norma riferimento in
modo assai generico alla “lotta contro gli incendi boschivi”, verrebbe
ad incidere sicuramente nella sfera di spettanza regionale delineata
dall’art. 69, terzo comma, del d.P.R. n. 616.
Per quanto riguarda, poi, il “programma di forestazione industriale
produttiva”, il legislatore avrebbe sostanzialmente riprodotto la
disciplina di cui all’art. 20, terzo comma, della legge n. 130 del
1983, già dichiarata illegittima con la sentenza n. 307/83, con
violazione, quindi, nel caso specifico anche dell’art. 136 Cost..
Il fatto, poi, che la legge precisi che il programma è “di
rilevanza nazionale” e “da realizzarsi su suoli demaniali” non
varrebbe, ad avviso delle ricorrenti, a sanare l’illegittimità della
norma.
Da un lato, infatti, le norme di trasferimento delle funzioni
(artt. 66, primo comma, 69 e 71 d.P.R. n. 616) non prevedono alcuna
riserva statale per interventi “di rilevanza nazionale” nella materia,
né la disposizione impugnata inquadra il programma previsto fra gli
interventi di competenza nazionale di cui agli artt. 3, lett. c), e 10
della legge n. 984 del 1977; dall’altro, il riferimento a “suoli
demaniali” è irrilevante, in quanto la competenza regionale prescinde
dalla proprietà dei suoli e, inoltre, esistono suoli demaniali di
proprietà delle Regioni: in particolare, le foreste dello Stato sono
state trasferite al patrimonio indisponibile delle Regioni (artt. 11
della legge n. 281/70 e 68 d.P.R. n. 616) e lo Stato ha conservato la
proprietà di una piccola parte dei terreni e delle aree boschive, da
destinare, peraltro, a “scopi scientifici, sperimentali e didattici di
interesse nazionale”.
f) L’art. 11, primo e secondo comma, autorizza una spesa di 30
miliardi “per l’erogazione di contributi a favore delle associazioni
provinciali degli allevatori per la tenuta dei libri genealogici e i
controlli funzionari del bestiame, nonché per l’acquisto di
attrezzature”; al riparto delle somme provvede il CIPE.
La disposizione, ove sia da intendersi nel senso che il riparto
delle somme avvenga a favore direttamente delle associazioni e non fra
le Regioni, sarebbe illegittima, violando, per quanto riguarda la
tenuta dei libri genealogici e i controlli funzionali sul bestiame,
l’art. 77, lett. c), del d.P.R. n. 616, e, quanto all'”acquisto di
attrezzature”, gli artt. 66, primo e secondo comma, lett. b), c), d),
e); e 67, primo comma, dello stesso d.P.R..
g) L’art. 11, quarto e quinto comma, prevede la concessione di un
contributo straordinario nella misura massima di 2 miliardi a favore
dell’Associazione nazionale dei consorzi di difesa “per la
realizzazione di un progetto di automazione del trattamento dei dati
statistici e contabili relativi alle calamità naturali e avversità
atmosferiche e alla gestione dei consorzi di difesa di cui all’art. 10
della legge 15 ottobre 1981, n. 590”.
La norma, ad avviso delle ricorrenti, è lesiva della competenza
regionale sancita dall’art. 70 del d.P.R. n. 616 e ribadita dalla legge
n. 590 del 1981: attraverso l’espediente del finanziamento
all’Associazione essa realizza un illegittimo ripristino di
attribuzioni statali, in violazione del divieto di cui all’art. 126,
terzo comma, del d.P.R. n. 616.
h) L’art. 13 autorizza una spesa di 10 miliardi “al fine di
provvedere, anche in relazione ai maggiori oneri per la revisione dei
prezzi, al completamento di impianti di particolare interesse pubblico
per la raccolta, conservazione, lavorazione, trasformazione e vendita
dei prodotti agricoli e zootecnici, ai sensi dell’art. 10 della legge
27 ottobre 1966, n. 910”.
La materia, come già sostenuto dalle ricorrenti a proposito degli
artt. 5 e 7 impugnati, è di competenza regionale, tanto più che nel
caso ora all’esame la legge fa riferimento ad impianti “di particolare
interesse pubblico” e non “di interesse nazionale”.
Né varrebbe invocare l’esigenza di “completamento” degli impianti:
col trasferimento delle competenze alle Regioni sono passate ad esse
anche le attribuzioni relative agli affari pendenti (salvo casi
particolari: art. 125 d.P.R. n. 616), e quindi tanto più quelle
relative a nuovi interventi, sia pur intesi a “completare” gli
impianti.
i) L’art. 17, infine, prevede: un’indennità ai produttori che si
impegnano ad abbandonare la produzione lattiera, prevista dall’art. 4,
primo comma, lett. a) del Regolamento CEE n. 857/84 (primo comma);
premi alla nascita di vitelli previsti dall’art. 4 del Regolamento CEE
n. 464/75 e successive modificazioni (secondo comma); aiuti al
magazzinaggio privato di vini da tavola e di mosti di uve, previsti
dagli artt. 7 e 8 del Regolamento CEE n. 337/79 e successive
modificazioni (terzo comma).
Per quanto riguarda il secondo e terzo comma, le Regioni sostengono
che, se la generica previsione di stanziamenti significasse
l’assunzione da parte dello Stato di compiti di amministrazione, di
istruttoria o di erogazione, attualmente spettanti alle Regioni, la
norma sarebbe lesiva della competenza regionale, che si estende alle
funzioni relative all’applicazione dei regolamenti CEE (art. 6, primo
comma, d.P.R. n. 616).
Quanto, infine all’indennità prevista nel primo comma della norma
in esame, le ricorrenti rilevano che essa non è oggetto ancora di una
precisa normativa, essendo prevista dal citato Regolamento CEE n.
857/84 in termini generali e come semplice facoltà. Tuttavia, le
scelte dei singoli Stati membri spetterebbero alle Regioni, trattandosi
di interventi sulla produzione e non sul mercato (artt. 66, primo e
secondo comma, lett. e) e 6, primo comma, del d.P.R. n. 616),
naturalmente nell’ambito di disposizioni di principio della legge
statale.
Viceversa, la norma impugnata sembra compiere direttamente e
surrettiziamente le scelte in questione, e, comunque, non prevede il
ruolo delle Regioni nella formazione di dette scelte e nella loro
esecuzione.
2.2 – Si è costituito in entrambi i giudizi, con identico atto di
intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite
l’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi.
L’Avvocatura eccepisce, secondo l’ordine delle censure, quanto
segue:
a) Il programma previsto dall’art. 3 rientra nella competenza
riservata allo Stato dall’art. 71, lett. a) e c), del d.P.R. n. 616,
riferendosi alle attività di ricerca e di informazione connesse alla
programmazione nazionale della produzione agricola ed industriale ed
alla ricerca e sperimentazione scientifica di interesse nazionale.
La rilevanza nazionale del programma è confermata dal richiamo al
piano agricolo nazionale di cui alla legge n. 984 del 1977 e al piano
bieticolo e saccarifero. L’attinenza al settore bieticolo e saccarifero
escluderebbe, infine, che le funzioni rientrino interamente nella
materia dell’agricoltura, e non anche in quella dell’industria di
trasformazione.
b) Le finalità alle quali è destinata la spesa prevista nell’art.
5 censurato sono le stesse già indicate nella legge n. 403 del 1977;
né la semplificazione della procedura di riparto della somma può
determinare alcuna lesione di competenze regionali.
c) La determinazione dei destinatari degli interventi previsti
dagli artt. 6 e 7 impugnati (consorzi nazionali di cooperative agricole
e cooperative agricole di rilevanza nazionale) escluderebbe qualsiasi
lesione della competenza regionale, come delimitata dagli artt. 66,
secondo comma, lett. c) e 71, lett. h), del d.P.R. n. 616: la formula
legislativa “associazioni ed unioni nazionali dei produttori” è, ad
avviso dell’Avvocatura, comprensiva tanto dei consorzi nazionali di
cooperative agricole quanto delle cooperative agricole di rilevanza
nazionale, già previsti dall’art. 5, lett. b), della legge n. 403 del
1977.
d) Per quanto riguarda l’art. 9, gli interventi a sostegno della
lotta contro gli incendi boschivi non incidono sulle competenze
trasferite alle Regioni con l’art. 69, terzo comma, del d.P.R. n. 616,
trattandosi di interventi di integrazione e di sostegno degli
interventi regionali, riservati allo Stato dallo stesso articolo ora
citato e dall’art. 71, lett. f), dello stesso d.P.R., nonché dall’art.
10, terzo comma, della legge n. 984 del 1977. Circa il programma di
forestazione industriale produttiva, l’Avvocatura nega che la norma
riproduca l’art. 20, terzo comma, della legge n. 130 del 1983,
dichiarato incostituzionale: essa, anzi, eliminerebbe i vizi della
precedente normativa, precisando che deve trattarsi di un programma di
rilevanza nazionale e da realizzarsi su suoli demaniali e cioè di
interventi che trascendono l’interesse e la competenza delle singole
Regioni.
e) Le censure relative all’art. 11 sono infondate, prosegue
l’Avvocatura, in quanto, circa il primo comma, trattasi di materia
conservata alla titolarità dello Stato e delegata alle Regioni
dall’art. 77, lett. c), del d.P.R. n. 616; quanto, poi, al quarto e
quinto comma, la natura soggettiva dell’associazione nazionale
destinataria dei contributi e la natura oggettiva del progetto
finanziario – chiaramente strumentale rispetto alle funzioni attribuite
dall’art. 11 della legge n. 590 del 1981 all’organismo di
rappresentanza a livello nazionale dei consorzi di difesa – escludono
la lamentata invasione di competenze regionali.
f) L’art. 13 censurato ha chiara natura integrativa dell’art. 10,
primo comma, della legge n. 910 del 1966: trattasi quindi di intervento
riservato allo Stato dall’art. 67, terzo comma, del d.P.R. n. 616, non
sussistendo, peraltro, differenza tra impianti di particolare interesse
pubblico e impianti di interesse nazionale, in quanto il quinto comma
del citato art. 10 della legge n. 910/66 ha esteso la disciplina ivi
prevista agli impianti che una legge precedente (n. 454 del 1961, art.
21) aveva definito di interesse nazionale.
g) Nessuna violazione di competenze è ravvisabile, infine,
nell’art. 17, che nulla dispone circa i procedimenti da seguire e le
competenze da esercitare per l’erogazione dei benefici da esso
contemplati.
3. – In prossimità dell’udienza pubblica, relativamente a tutti i
presenti giudizi, hanno depositato memorie aggiuntive le difese delle
Province autonome e delle Regioni ricorrenti, ribadendo, in replica
alle deduzioni dell’Avvocatura dello Stato, le conclusioni adottate. A
sua volta l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria aggiuntiva
relativamente ai soli giudizi introdotti con i ricorsi delle Province
autonome, insistendo nella richiesta declaratoria di infondatezza delle
questioni proposte.
4. – All’udienza pubblica dell’8 ottobre 1985, il Giudice La
Pergola ha svolto la relazione e la difesa delle ricorrenti e
l’avvocato dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri
hanno ribadito le deduzioni e conclusioni già adottate.
1. – Com’è spiegato in narrativa, le Province autonome di Trento e
Bolzano e le Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, hanno impugnato varie
disposizioni della legge 4 giugno 1984, n. 194, “Interventi a sostegno
dell’agricoltura”. Le ricorrenti lamentano la violazione della sfera
di competenza loro garantita, nel primo caso dallo Statuto speciale di
autonomia del Trentino-Alto Adige (e relative norme di attuazione), nel
secondo, dagli artt. 117, 118, 119 e 136 Cost., nonché da talune
previsioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
I giudizi così promossi aderiscono tutti alla normativa contenuta
nella legge suddetta e sollevano questioni identiche o connesse. La
Corte ritiene, quindi, di poterli riunire e definire congiuntamente,
esaminando prima le questioni concernenti l’asserita offesa allo
Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, poi le altre.
2. – Le Province di Bolzano e Trento censurano gli artt. 16, primo
e secondo comma, e 19, secondo comma, della legge n. 194 del 1984.
L’una e l’altra ricorrente deducono la violazione degli artt. 8, n. 21,
16 e 78 dello Statuto speciale; la Provincia di Bolzano invoca altre
disposizioni statutarie (art. 8, nn. 7, 8, 15 e 16, e art. 79) senza,
tuttavia, ulteriori deduzioni a sostegno dell’impugnativa. Dalle due
ricorrenti si prospetta l’indebita interferenza della legge statale in
un settore, quello dell’agricoltura, presidiato dall’attribuzione alla
Provincia di competenze primarie, sia legislative, sia amministrative,
nonché dalla specifica guarentigia della sua autonomia finanziaria.
2.1 – Vanno anzitutto considerate le questioni che concernono
l’art. 16 della legge n. 194. Il primo comma di tale articolo statuisce
che “in relazione al piano finanziario di cui all’art. 17 della legge
27 dicembre 1977, n. 984, e a definizione dei rapporti finanziari con
le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e
Bolzano, a valere sullo stanziamento di lire 1.520 miliardi destinato
all’attuazione nell’anno 1984 degli interventi previsti nella citata
legge n. 984/77, alle Regioni e alle Province autonome è assegnata la
complessiva somma di lire 289.852 milioni”. Quanto al detto
stanziamento, le due Province si dolgono di averne ricevuto una quota
inferiore a quella che, in forza dell’art. 78 dello Statuto, sarebbe a
ciascuna di esse dovuta. Non importa, si soggiunge dalle ricorrenti,
se la determinazione della quota sia nella specie venuta a divergere
dallo schema dell’art. 78 dello Statuto, perché si è adottato altro
parametro, inferiore a quelli indicati (popolazione e territorio), o
perché si è esclusa dal totale, che è andato suddiviso fra Regioni e
Province, la somma riservata, nello stesso stanziamento, agli
interventi di competenza dello Stato (cfr. art. 3 lett. c), f), g),
legge n. 984/77). La previsione normativa risulterebbe in ogni caso
lesiva del precetto posto nell’art. 78 dello Statuto a garanzia
dell’autonomia provinciale: e ciò anche sotto il riflesso, che la
quota è stata determinata senza il prescritto accordo fra il Governo e
il Presidente della Giunta provinciale.
L’Avvocatura Generale ha dal canto suo, negli scritti difensivi e
all’udienza pubblica, in varia guisa dedotto che le previsioni
dell’art. 78 non trovano applicazione nel caso in esame. Questo
preliminare profilo dell’indagine esige un cenno di chiarimento.
2.2 – La norma che si assume violata devolve a ciascuna Provincia
una quota del gettito, relativo al territorio regionale, dei tributi in
essa contemplati: e cioè, l’imposta generale sull’entrata e le imposte
sugli affari non indicati nei precedenti articoli (cfr. artt. 70, 75,
76, 77 Statuto), al netto delle quote attribuite dalle leggi vigenti
alle Province e agli altri enti. Si tratta, quindi, di una quota
fissata non direttamente in Statuto, come accade a proposito degli
altri tributi richiamati nello stesso art. 78, ma “annualmente
d’accordo fra il Governo ed il Presidente della Giunta provinciale”.
L’art. 78 stabilisce altresì secondo quali criteri la quota va
determinata. Importa al riguardo la seguente statuizione: “Sarà tenuto
conto – in base ai parametri della popolazione e del territorio – anche
delle spese per gli interventi generali disposti dallo Stato nella
restante parte del territorio nazionale negli stessi settori di
competenza delle Province”. Ora, l’autonomia provinciale è certo
tutelata, nel senso che la materia è sottratta all’intervento
unilaterale degli organi centrali e rimessa all’intesa fra Stato e
Provincia. Va però precisato che la garanzia di cui fruisce la
Provincia opera esclusivamente nei modi e limiti stabiliti dalla fonte
statutaria. La norma invocata in giudizio non individua l’ammontare del
gettito erariale riservato all’ente autonomo, e per ciò stesso non
prescrive nemmeno che a quest’ultimo sia attribuita, nel riparto di
ogni singolo stanziamento disposto dallo Stato, la quota risultante
dall’automatica applicazione dei parametri in essa stabiliti.
Dev’essere l’accordo, appunto, a determinare come i due indici della
popolazione e del territorio sono presi in considerazione, in rapporto
all’intero flusso delle spese disposte per gli interventi di ordine
generale e all’arco di tempo, un anno, cui l’art. 78 fa espresso
riferimento. Tale conclusione si impone anche quando, come assumono le
ricorrenti, la spesa qui stanziata dallo Stato possa annoverarsi fra
quelle di cui andrebbe tenuto conto, sempre ai sensi dell’invocato
disposto statutario, in sede d’intesa. Nel caso in esame, la Provincia
lamenta che l’art. 78 è stato offeso per effetto della puntuale
previsione della spesa, che figura nell’art. 16 della legge n. 194. La
questione non è dedotta, come esigerebbe la norma di raffronto, con
riguardo alla determinazione della quota annuale e complessiva del
tributo. Basta questo per ritenere che, nei termini in cui è proposta,
essa non ha fondamento.
2.3 – Oggetto d’impugnazione è anche il secondo comma dell’art. 16
della legge n. 194/84, così testualmente concepito: “Le Regioni a
Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono
con legge all’utilizzazione delle somme di cui al comma precedente,
sulla base degli indirizzi di propri piani agricoli, sui quali va
sentito il CIPAA”. Le somme sono ancora quelle destinate a finanziare
gli interventi previsti nella citata legge n. 984/77. Di questa legge
la sentenza n. 340 del 1983 ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale, per la parte in cui la disciplina in essa prevista
concerne la Regione Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di
Trento e Bolzano. La Corte ha in quella decisione ritenuto che i
dettagliati precetti della legge da ultimo richiamata concretassero un
illegittimo esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento,
comprimendo senza altri titoli giustificativi la sfera garantita alle
ricorrenti nel settore dell’agricoltura. Le Province di Trento e
Bolzano deducono che dal medesimo vizio è affetta la disposizione ora
all’esame della Corte. La censura va però disattesa. Ammesso pure
che, riguardo all’impiego delle somme assegnate a Regioni e Province
autonome, sia stato configurato un vero e proprio indirizzo e
coordinamento statale, non si tratta certo di alcuna capillare e
penetrante interferenza nell’ambito della Provincia, né di una
disciplina comunque incompatibile, alla stregua della sentenza n.
340/83, con il rispetto dello Statuto speciale. Nel presente caso le
ricorrenti, possono, infatti, utilizzare secondo indirizzi e piani
propri le somme erogate dallo Stato. È solo previsto che, prima di
adottare i provvedimenti di loro competenza, esse sentano il CIPAA
(cfr. artt. 2 e 3 legge n. 984/77); ma a quest’organo spetta, in ordine
al piano agricolo dell’ente autonomo, di esprimere, in sostanza,
null’altro che un parere, obbligatorio ma non vincolante, che si
presume acquisito come favorevole se le “eventuali osservazioni”
formulate “non siano comunicate” (alla Provincia o Regione interessata)
“entro venti giorni dalla richiesta”. In conclusione, l’autonomia
programmatoria e di spesa della Provincia è fatta salva.
2.4 – Va infine esaminata la questione che ha per oggetto il
secondo comma dell’art. 19 della legge, emanato in sostituzione
dell’art. 5 della legge 9 maggio 1975, n. 153. Quest’ultima legge è
volta ad attuare direttive del Consiglio della Comunità Europea (cfr.
art. 2); il testo originario dell’art. 5, ivi contenuto, recitava: “Gli
stanziamenti ripartiti fra le Regioni ed attribuiti alle medesime in
conformità degli articoli precedenti” – (cfr. soprattutto art. 4 della
stessa legge n. 153) – “devono figurare nei bilanci regionali in
appositi capitoli delle entrate e delle spese con destinazione
vincolata agli scopi previsti dagli articoli stessi”. La disposizione
impugnata nel giudizio attuale prevede che le Regioni, nonché le
Province di Trento e Bolzano, possano “apportare, all’occorrenza,
variazioni alla destinazione dei fondi loro assegnati, nell’ambito
delle finalità indicate dalla (stessa) legge”. Il vincolo posto
all’impiego dei fondi è contestato dalle due Province sull’assunto
che, anche in base al testo ora vigente, ne risulti un’illegittima
limitazione della sfera di attribuzioni loro spettante, nel programmare
gli interventi ed utilizzare le proprie risorse, in materia di
agricoltura. Soccorrerebbe in tal senso il disposto dell’art. 21 della
legge 19 maggio 1976, n. 335 (“Principi fondamentali e norme di
coordinamento in materia di bilancio e contabilità delle Regioni”),
secondo cui “tutte le somme assegnate a qualsiasi titolo dallo Stato
alla Regione confluiscono nel bilancio regionale senza vincolo a
specifiche destinazioni”. Il principio così formulato vale, si deduce,
a maggior ragione nei confronti delle ricorrenti, le quali godono,
anche sul versante della spesa, di autonomia differenziata.
La difesa del Presidente del Consiglio eccepisce che la questione
è inammissibile, prima ancora che infondata, in quanto, rispetto al
regime previgente, quello attualmente censurato amplia le possibilità
di scelta delle Regioni e delle Province autonome. L’eccezione di
inammissibilità non può essere accolta. A tacer d’altro,
l’impugnativa in esame è proposta proprio per contestare radicalmente
il potere dello Stato di fissare la destinazione di somme, che si
assume vadano attribuite alla Provincia senza alcun vincolo, comunque
configurato. Passando al merito, tuttavia, la Corte ritiene di non
dover condividere la tesi avanzata nel ricorso. Ci troviamo di fronte
a spese, che lo Stato ha stanziato nel perseguire finalità da cui la
Provincia non può, per parte sua, discostarsi. La legge statale è
stata, infatti, emanata in adempimento di direttive della CEE; il
vincolo gravante sull’utilizzazione del fondo può, allora, ben operare
nelle materie riservate alla competenza, anche primaria, delle
ricorrenti, perché scaturisce necessariamente dalle esigenze connesse
con l’osservanza dell’art. 11 Cost.. Del resto, la norma impugnata ha
modificato la soluzione in precedenza adottata appunto per abilitare
Regioni e Province a variare le singole destinazioni di spesa, fermo
restando il solo ed inevitabile onere di non deflettere dalle finalità
che l’intera legge n. 153 del 1975 si prefigge, in attuazione delle
direttive comunitarie.
3. – Le questioni promosse con i ricorsi delle Regioni
Emilia-Romagna e Lombardia investono altre norme della legge n. 194/84:
gli artt. 3, primo e secondo comma, 5, 6, 7, 9, 11, primo, secondo,
quarto e quinto comma, 13 e 17. È prospettata la violazione degli
artt. 117, 118, 119 Cost. nonché, come sarà meglio spiegato, di una
serie di articoli del d.P.R. n. 616/77, che starebbero a base delle
competenze regionali. Il contenuto delle norme impugnate è vario e le
relative censure vanno esaminate distintamente.
3.1 – Occorre subito avvertire che talune delle questioni sono
inammissibili. Questo, in primo luogo, è il caso dell’impugnativa che
grava sull’art. 5 della legge. Tale disposizione autorizza una nuova
spesa di lire 275.000.000.000 “per le finalità di cui all’art. 1 della
legge n. 403/77”, la quale faceva confluire le risorse nel fondo per i
finanziamenti dei programmi regionali di sviluppo senza vincolo rigido
di destinazione, demandando la ripartizione delle stesse al CIPE. La
normativa censurata in questa sede vulnererebbe l’autonomia
programmatoria e di spesa della Regione, segnando il passaggio da un
finanziamento generale ed inquadrato nel sistema della programmazione
ad un intervento rigidamente settoriale e governato dalla sola
amministrazione centrale. Ora, il problema posto alla Corte tocca
semplicemente le modalità di previsione della spesa e la distribuzione
delle somme stanziate. Non è dedotto in controversia – mentre avrebbe
dovuto esserlo, perché il merito della questione fosse dischiuso al
sindacato di questo Collegio – se ricada nella sfera non delle
attribuzioni statali, ma di quelle regionali, il perseguire le
finalità sottostanti alla spesa, a proposito delle quali la
disposizione censurata richiama la legge n. 403 del 1977.
3.2 – Inammissibile, come eccepisce l’Avvocatura, è altresì la
questione concernente le disposizioni dell’art. 17, in cui si
contemplano tre distinti stanziamenti di spesa: al primo comma,
un’indennità ai produttori, i quali si impegnano ad abbandonare la
produzione lattiera, (cfr. art. 4, primo comma, lett. a) del
Regolamento CEE n. 857/84 e successive modificazioni); al secondo
comma, un premio alla nascita dei vitelli (cfr. art. 4 del Regolamento
CEE n. 464/75 e successive modificazioni); al terzo comma, aiuti al
magazzinaggio privato di vini da tavola e di mosti di uve (cfr. artt. 7
e 8 del Regolamento CEE n. 337/79). Tali disposizioni sarebbero
illegittime, affermano le stesse ricorrenti, solo in quanto
implicassero l’adozione, da parte dello Stato, di misure o scelte, che
in ordine all’attuazione delle direttive comunitarie competono alle
Regioni (cfr. l’art. 6, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977). Ora,
con il testo normativo in esame sono soltanto stanziate le spese
occorrenti al pagamento delle indennità e dei premi, ovvero alla
corresponsione degli aiuti dovuti ai sensi della normativa comunitaria:
ma tale previsione non forma oggetto di censura; nulla è disposto
circa i procedimenti e le competenze che vengono in rilievo
nell’erogazione delle provvidenze contemplate. Da ciò discende
l’inammissibilità della questione.
3.3 – Le rimanenti censure vanno esaminate nel merito. Quella che
riguarda l’art. 3, primo e secondo comma, della legge è in sostanza
così prospettata: la norma impugnata autorizza la spesa di un
miliardo, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero
dell’Agricoltura e Foreste per l’anno 1984, destinata all’attuazione di
un programma di ricerca, sperimentazione e divulgazione nel settore
bieticolo-saccarifero. Il programma, sul quale vanno sentite le
Regioni, deve essere conforme agli obiettivi indicati dal piano
agricolo nazionale, qual è previsto nella legge n. 984 del 1977. Il
motivo di ricorso è duplice: per un verso, il programma al quale si
riferisce il finanziamento esulerebbe dalle competenze riservate allo
Stato a norma dell’art. 71, lett. a), del d.P.R. n. 616/77, le quali,
si deduce, concernono l’informazione e la ricerca connesse con la
programmazione nazionale, laddove questo nesso difetterebbe nella
specie; per altro verso, la divulgazione, che figura fra gli scopi del
finanziamento, ricadrebbe nella sfera di attribuzioni della Regione in
base al secondo comma, lett. a), dell’art. 66 del d.P.R. n. 616/77. La
questione non merita accoglimento. La previsione del programma in
parola è coperta dall’art. 71 del d.P.R. n. 616. Questa disposizione
riserva allo Stato le attività di ricerca ed informazione connesse
alla programmazione nazionale della produzione agricola e forestale
(lett. a) e la ricerca e sperimentazione scientifica di interesse
nazionale, sempre in materia di produzione agricola e forestale (lett.
c). Il legislatore non ha, d’altronde, mancato di disporre che il
programma anzidetto si conformi al piano agricolo nazionale adottato ai
sensi della legge n. 984/77, nonché al piano bieticolo e saccarifero.
Diversamente da come si assume nel ricorso, il finanziamento disposto
dalla legge censurata si inserisce nel quadro della programmazione ed
abbraccia materie di interesse nazionale nel settore produttivo qui
considerato. La divulgazione del programma rimane, poi, entro l’ambito
riservato allo Stato; essa ha chiaro carattere strumentale rispetto
alla ricerca e alla sperimentazione affidata alla cura degli organi
centrali, dal momento che serve alla conoscenza ed illustrazione del
programma finanziato e dei relativi risultati.
3.4 – L’art. 6 della legge è impugnato perché gli interventi ivi
previsti si riferirebbero a materie “interamente ricomprese” nella
competenza delle Regioni. Le disposizioni in esame prevedono la
concessione di un concorso nel pagamento degli interessi, a favore dei
“consorzi nazionali di cooperative agricole” e delle “cooperative
agricole di rilevanza nazionale”, sui mutui contratti “per il
coordinamento e lo sviluppo dei consorzi e delle cooperative medesime”.
I mutui anzidetti sono considerati operazioni di credito agrario di
miglioramento. La difesa delle ricorrenti oppone che il d.P.R. n.
616/77 ha trasferito alle Regioni le funzioni concernenti il
miglioramento fondiario (art. 66, secondo comma, lett. b),
l’incentivazione ed il sostegno della cooperazione e delle strutture
associative per la coltivazione, la lavorazione ed il commercio dei
prodotti agricoli (art. 66, secondo comma, lett. c), gli interventi di
agevolazione dell’accesso al credito (art. 109 d.P.R. n. 616) oltre
che, più in generale, le funzioni riguardanti “i soggetti singoli ed
associati” che operano in agricoltura, e gli interventi a favore
dell’impresa e della proprietà agraria singola ed associata (art. 66,
primo comma, d.P.R. n. 616). In particolare, il ricorso investe la
disposizione secondo cui il concorso nel pagamento degli interessi sui
mutui previsti nell’art. 6 può essere concesso anche a favore di una
categoria di cooperative agricole, quelle di rilevanza nazionale, che
sarebbe priva di fondamento nella (precedente) legislazione e
artificiosamente introdotta per attrarre nella sfera statale funzioni
invece assegnate alle Regioni, sotto il capo VIII del d.P.R. n. 616,
grazie soprattutto alla specifica previsione dell’art. 66, secondo
comma, lett. c). Va d’altra parte osservato che l’art. 71 del d.P.R. n.
616 annovera alla lett. h), fra le materie spettanti allo Stato, “le
associazioni ed unioni nazionali di produttori” nel settore agricolo.
Questa, per vero, è un’ampia formula di attribuzione, e secondo la
difesa del Presidente del Consiglio vale da sola a giustificare la
norma impugnata.
Ma è da precisare che la “rilevanza” delle cooperative agricole, a
favore delle quali è previsto il concorso nel pagamento degli
interessi, deve essere intesa nel senso di “dimensione” nazionale. Una
volta che la categoria dei beneficiari è così configurata, la sua
definizione esce indenne dai rilievi delle ricorrenti e risulta
coerente con gli orientamenti seguiti dal legislatore nel disegnare,
sotto il profilo che interessa ai fini della presente indagine, il
campo delle funzioni statali. Depongono in questo senso i dati del
sistema normativo, con cui le disposizioni invocate in giudizio vanno
coordinate dall’interprete. Risalendo alla normativa coeva al d.P.R. n.
616, s’incontra – va precisato – la legge 1 luglio del 1977, n. 403
(“Provvedimenti per il finanziamento dell’attività agricola delle
Regioni”), nella quale è previsto uno stanziamento per i contributi a
sostegno di talune iniziative delle cooperative e dei relativi consorzi
(cfr. art. 5, primo comma, lett. b), aventi, le une e gli altri,
“dimensione nazionale o interregionale”. La rilevanza che si annette
alla cooperazione è sempre qualificata dalla dimensione nazionale, o
comunque ultraregionale, del fenomeno: l’intervento statale non si
estende ad interessi localizzati nel solo ambito dell’ente autonomo. Il
che risulta confermato anche dall’art. 7 della stessa legge n. 194.
Quest’ultima norma autorizza una spesa di 50 miliardi (da iscrivere
nello stato di previsione del Ministero dell’Agricoltura e Foreste) per
gli interventi a sostegno della cooperazione agricola, anche qui, di
rilevanza nazionale; essa chiarisce però, che gli interventi da
attuare sono quelli previsti dall’art. 5 lett. a), c) e d) della citata
legge n. 403 del 1977. Risulta così che le attività agevolate, in
relazione alle cooperative, ai loro consorzi e agli organismi
associativi costituiti fra produttori agricoli, sono quelle dirette a
costituire, sviluppare e gestire impianti di raccolta, lavorazione,
trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, i quali
debbono, ancora una volta, rivestire “dimensione” nazionale od
interregionale. Vero è che l’impugnativa coinvolge la norma di
richiamo testé accennata, anzitutto il disposto dell’art. 7, in buona
sostanza per gli stessi motivi che le ricorrenti fan valere a proposito
dell’art. 6. Ma le considerazioni di seguito esposte dimostrano che
anche la censura dell’art. 7 non è fondata.
3.5 – La spesa autorizzata nell’art. 7 si riferisce, come or ora si
osservava, agli interventi statali già previsti dalla legge n. 403/77,
i quali vengono, dunque rifinanziati. A parte ciò, non è corretto
l’assunto delle ricorrenti, secondo cui la materia è loro “interamente
” rimessa. Le contestate destinazioni di spesa incidono su settori che,
alla stregua dello stesso d.P.R. n. 616, risultano sotto taluni aspetti
attribuiti allo Stato, sotto altri alla Regione (cfr., oltre l’art. 71
lett. h), l’art. 67, primo e terzo comma, che concernono gli impianti
in materia di prodotti agricoli). Ricorrendo gli estremi testé
descritti, va fatta qualche precisazione di ordine generale. La legge
statale non è lesiva delle attribuzioni trasferite alle Regioni,
quando contempla finalità acquisite alla competenza degli organi
centrali in base alla pregressa normativa e le persegue razionalmente
dal canto suo. Così accade nella specie: le forme di cooperazione
agricola agevolate, prima con la legge n. 403/77 e poi con quella che
contiene la norma in esame, travalicano, per via della loro dimensione,
il livello della singola Regione e ricadono oggettivamente – quanto al
vincolo posto all’utilizzazione delle somme erogate – nella sfera degli
apprezzamenti riservati agli organi centrali. Altro titolo
giustificativo dell’intervento statale, ad avviso della Corte, risiede
in ciò: deve essere previsto il riparto delle somme erogate tra le
Regioni, con il risultato che ciascuna di esse ne concreta l’impiego
nel proprio ambito, sempre, beninteso, secondo la destinazione fissata
con la previsione dello stanziamento. Questo criterio va enunciato a
salvaguardia del decentramento nel regime della spesa. Resta da
appurare se esso è soddisfatto ai fini del giudizio attuale. Ora, il
secondo comma dell’art. 7, rinvia, per quanto riguarda l’attuazione
degli interventi finanziati in base al primo comma, alle procedure e
modalità stabilite al secondo e terzo comma dell’art. 5 della legge n.
403/77. Le norme richiamate dispongono, a loro volta, che al riparto
delle somme stanziate provvede il Ministro per l’agricoltura e Foreste,
sentite la Commissione interregionale prevista dall’art. 13 della legge
16 maggio 1970, n. 281, e le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative sul piano regionale. Dal sistema della legge n. 403 si
ricava che i fondi stanziati sono ripartiti fra Regioni e Province
autonome, anche se ciò non è esplicitamente detto nelle disposizioni,
cui la norma censurata fa puntuale rinvio. Ecco un’altra e decisiva
ragione per escludere la fondatezza della questione.
3.6 – I rilievi testé svolti giovano all’esame delle residue
questioni. Le censure ancora da considerare cadono sugli artt. 9, 11,
primo, secondo, quarto e quinto comma, 13, primo comma, della legge n.
194, i quali prevedono stanziamenti di vario importo e ne stabiliscono
la destinazione. Occorre ritenere eccezion fatta per le previsioni del
quarto e quinto comma dell’art. 11 – che anche queste norme
prescrivano, sebbene non lo abbiano espressamente previsto, il riparto
delle somme stanziate tra le Regioni (e le Province autonome).
L’interpretazione va accolta per adeguare la normativa denunziata alle
esigenze del decentramento in tema di spesa, secondo il criterio che la
Corte ha sopra formulato. Detto ciò, resta assorbita la questione di
legittimità del primo e secondo comma dell’art. 11, proposta solo per
il motivo che si considera con questo punto della decisione: e cioè,
per il fatto che né l’una né l’altra delle denunziate disposizioni
stabiliscono se il contributo previsto (per la tenuta dei libri
genealogici, i controlli funzionali del bestiame e l’acquisto di
attrezzature), vada erogato, in conformità della procedura prevista
dal secondo comma, alle associazioni provinciali degli allevatori
direttamente, ovvero – come si chiede nel ricorso – per il tramite
delle Regioni (e delle Province autonome). Tolto il comune profilo
della mancata previsione del riparto del fondo fra le Regioni, alla
quale rimedia la soluzione interpretativa dianzi accolta, le altre
questioni all’esame della Corte non meritano accoglimento. Sovvengono
in proposito le osservazioni seguenti.
3.7 – L’art. 9 autorizza la spesa di 35 miliardi, da iscriversi
nello stato di previsione del Ministero dell’Agricoltura e Foreste. La
somma è destinata alla lotta contro gli incendi boschivi e
all’attuazione di un programma di forestazione produttiva di rilevanza
nazionale, su suoli demaniali e secondo le linee e gli obiettivi
indicati dal piano agricolo ai sensi della legge n. 984/77. Queste
previsioni confliggerebbero con l’art. 69, terzo comma, del d.P.R. n.
616, che trasferisce alle Regioni le funzioni di cui alla legge 1 marzo
1975, n. 47 (“Norme integrative per la difesa dei boschi dagli
incendi”) e demanda ad esse la costituzione di servizi antincendi
boschivi. Il fatto è, tuttavia, che lo stesso terzo comma dell’art. 69
lascia ferme le competenze dello Stato in ordine all’organizzazione e
gestione, d’intesa con le Regioni, di taluni servizi e modalità
nell’estinzione degli incendi, mentre in via generale è riservata allo
Stato la determinazione delle spese e dei mezzi di protezione ed i
servizi antincendi: sotto questo profilo, la contestata destinazione
della spesa è allora coperta dalle attribuzioni statali. Altrettanto
deve dirsi con riguardo al programma di forestazione. Le ricorrenti
denunziano qui il “palese” intento del legislatore di riprodurre le
disposizioni di altra legge (art. 20, terzo comma, n. 130/83) già
dichiarate illegittime (con la sentenza n. 307/83) per aver stanziato
spese dirette alla realizzazione di progetti di forestazione
industriale produttiva, che la Corte ha ritenuto competere alle Regioni
e non al Ministero dell’Agricoltura. L’asserita inosservanza della
pronunzia sopra richiamata implicherebbe che la norma impugnata vulnera
altresì il precetto dell’art. 136 Cost..
Ora, la sentenza n. 307/83 ha dichiarato l’illegittimità del
disposto della legge n. 130/83, in relazione ad un caso di specie, in
cui – com’è detto al n. 21 della parte motiva, in quella stessa
pronunzia – la norma oggetto del sindacato non prevedeva alcun
collegamento programmatico ed operativo a livello nazionale, che
potesse giustificare l’intervento dello Stato in base al perseguimento
di finalità ed interessi trascendenti la sfera della singola Regione.
Come deduce l’Avvocatura, la norma che si impugna in questa sede non è
inficiata da tale vizio. Essa dispone che il programma di forestazione
deve conformarsi al piano agricolo contemplato dalla legge n. 984/77
per coordinare i piani regionali del settore; e con ciò, precisamente,
il legislatore ha adempiuto al requisito, non soddisfatto dalla
disposizione annullata con la sentenza n. 307/83, del collegamento
programmatico ed operativo a livello nazionale, che deve presiedere
all’utilizzazione del fondo istituito.
3.8 – Il quarto e il quinto comma dell’art. 11 prevedono la
concessione di un contributo straordinario, nella misura massima di
lire due miliardi, a favore dell’Associazione nazionale dei Consorzi di
difesa, per la realizzazione di un progetto di automazione del
trattamento dei dati statistici e contabili relativi alle calamità
naturali e alla gestione dei consorzi di difesa di cui all’art. 10
della legge 15 ottobre 1981, n. 590. La materia sulla quale verte la
destinazione di spesa sarebbe trasferita alle Regioni in forza
dell’art. 70 del d.P.R. n. 616/77. Così non è, tuttavia. Se si
guarda, nel sistema del d.P.R. n. 616, sia alla disciplina
appositamente dettata nell’art. 70 sotto la rubrica “calamità
naturali”, sia alla lett. e) dell’art. 71, lo Stato mantiene
competenze, rispetto alle quali l’automazione dei dati statistici e
contabili sorretta dal finanziamento è strumentalmente collegata. A
ciò si aggiunge che le disposizioni introdotte nella legge 15 ottobre
1981, n. 590 (“Nuove norme per il fondo di solidarietà nazionale”)
configurano un organismo di rappresentanza dei consorzi per la difesa
attiva e passivo delle produzioni agricole, che opera esclusivamente a
livello nazionale. Questo è un ulteriore ed idoneo punto di appoggio
del controverso intervento statale.
3.9 – L’art. 13 è impugnato per aver autorizzato la spesa di 10
miliardi, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero
dell’Agricoltura e delle foreste, al fine di provvedere, anche in
relazione ai maggiori oneri per la revisione dei prezzi, al
completamento degli impianti di particolare interesse pubblico per la
raccolta ed altre attività od operazioni concernenti i prodotti
agricoli e zootecnici, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 910/66. Le
ricorrenti deducono che la materia degli impianti è stata trasferita
alle Regioni, anche con riguardo agli affari pendenti, in forza
dell’art. 67 del d.P.R. n. 616, eccezion fatta per i soli impianti di
interesse nazionale. Il completamento degli impianti, per il quale la
spesa è disposta, sarebbe stato illegittimamente previsto per
ripristinare le competenze dello Stato ed estenderle, addirittura,
oltre i limiti a suo tempo consentiti dalla legge n. 910/66, che la
disposizione impugnata richiama. L’art. 10 della legge n. 910, si
soggiunge, trattava come distinte categorie gli impianti di interesse
nazionale e quelli di particolare interesse pubblico: mentre lo
stanziamento dedotto in questione si riferisce indifferentemente a
qualsiasi impianto, purché di particolare interesse pubblico.
L’Avvocatura osserva, dal canto suo, che la disposizione impugnata ha
natura di norma transitoria ed integra la precedente previsione di
legge, con la quale, nel 1966, il Ministro dell’Agricoltura e Foreste
era stato autorizzato a realizzare gli impianti, di cui è ora
finanziato il completamento. Del resto, la norma in questione è
ricondotta dalla difesa del Presidente del Consiglio sotto l’ipotesi
del terzo comma dell’art. 67 del d.P.R. n. 616. Ivi è infatti previsto
che gli impianti di interesse nazionale competono allo Stato. Lo
stesso, ritiene l’Avvocatura, deve dirsi per gli impianti di
particolare interesse pubblico assistiti dal finanziamento: e questo
perché l’art. 10 della legge n. 910/66, richiamato nell’autorizzazione
di spesa, lungi dal distinguere le due categorie di impianti, come
afferma la Regione, le ha, invece, espressamente assoggettate allo
stesso regime.
Ad avviso di questo Collegio, l’intervento dello Stato si
giustifica in quanto il particolare interesse pubblico preso in
considerazione dalla legge di spesa, se non coincide senza residui,
certo viene qui, per il suo rilievo, a connettersi strettamente con
l’interesse nazionale alla realizazzione degli impianti, che servono
alla raccolta, conservazione, lavorazione e trasformazione dei prodotti
agricoli e zootecnici. Il richiamo della disciplina dettata nella legge
del 1966 è fatto nell’implicito ma chiaro presupposto che l’attività
finanziata eccede l’ambito delle scelte istituzionalmente rimesse alla
Regione. Così atteggiandosi la specie, la destinazione della spesa
resiste alle censure in esame; essa trova il supporto delle anteriori
disposizioni di legge, richiamate dal legislatore nel configurarla e
non offende d’altra parte i criteri enunciati, con la presente
decisione (v. sopra n. 3.5), in punto di razionalità e conformità
dello stanziamento statale alle esigenze costituzionali del
decentramento, imponendosi ancora una volta il riparto fra le Regioni
delle somme in questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 16, primo e secondo comma, e 19, secondo comma, della legge
4 giugno 1984, n. 194 (“Interventi a sostegno dell’agricoltura”),
sollevate con i ricorsi in epigrafe dalle Province autonome di Trento e
di Bolzano in riferimento agli artt. 3, terzo comma; 8 nn. 7, 8, 15, 16
e 21; 16, 78 e 79 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige;
b) dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 5 e 17 della legge 4 giugno 1984, n. 194
(“Interventi a sostegno dell’agricoltura”), sollevate con i ricorsi in
epigrafe dalle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia in riferimento agli
artt. 117, 118 e 119 Cost.;
c) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 3, primo e secondo comma, 6, 11, quarto e quinto comma,
della legge 4 giugno 1984, n. 194, sollevate con i ricorsi in epigrafe
dalle Regioni Emilia- Romagna e Lombardia in riferimento agli artt.
117, 118 e 119 Cost.;
d) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, 9, 11, primo e
secondo comma, e 13, primo comma, della legge 4 giugno 1984, n. 194,
sollevate con i ricorsi in epigrafe dalle Regioni Emilia-Romagna e
Lombardia, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 e 136 Cost..
Così deciso in Roma,, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1985.
F.to: LIVIO PALADIN – ORONZO REALE –
ALBERTO MALAGUGINI – ANTONIO LA
PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI – FRANCESCO SAJA –
GIOVANNI CONSO – ETTORE GALLO – ALDO
CORASANITI – GIUSEPPE BORZELLINO –
FRANCESCO GRECO – RENATO DELL’ANDRO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere