Sentenza N. 405 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
28/11/1994
Data deposito/pubblicazione
28/11/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/11/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro
FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO;
penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 4 giugno
1993 dal Tribunale militare di Cagliari nel procedimento penale a
carico di Lai Alberto, iscritta al n. 726 del registro ordinanze 1993
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima
serie speciale, dell’anno 1993;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 1994 il Giudice
relatore Ugo Spagnoli;
reato di minaccia ad inferiore ( ex art. 196 cod. pen. mil. di pace)
il Tribunale militare di Cagliari ha sollevato – con riferimento
all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità
costituzionale dell’art. 199 cod. pen. mil. di pace.
A tenore della norma impugnata, le disposizioni relative agli
episodi di insubordinazione e di violenza, minacce ed ingiurie contro
inferiori non si applicano se i fatti in questione sono stati
commessi “per cause estranee al servizio e alla disciplina militare,
fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare
che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un
aeromobile militare”.
Nel caso di specie, l’imputato – un sottotenente dell’Esercito –
si sarebbe reso responsabile del reato per cause estranee al servizio
ed alla disciplina militare e fuori da luoghi militari. Osserva,
peraltro, il giudice a quo che il reato è stato commesso nei
riguardi di un brigadiere dei carabinieri ed in presenza di militari
dell’Arma appartenenti alla pattuglia da questi comandata, in
servizio di pubblica sicurezza. Pertanto, si dovrebbe applicare, ai
sensi dell’art. 199 del cod. pen. mil. di pace, la previsione di cui
all’art. 196 del medesimo codice che commina una pena meno grave di
quella prevista per il reato comune di minaccia a pubblico ufficiale
di cui all’art. 336, primo comma, codice penale.
Il Tribunale militare ha pertanto ritenuto di dover sollevare
giudizio di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3
della Costituzione, rilevando che la semplice circostanza della
presenza di militari riuniti per servizio non può costituire, di per
sé sola, ragione sufficiente per un verso per parificare nel
trattamento finalistico il fatto commesso per cause inerenti al
servizio e alla disciplina e quello commesso per cause estranee, e,
per altro verso per qualificare, più lievemente, dal punto di vista
della pena, la fattispecie in questione. Il Tribunale remittente
ricorda, altresì, che la Corte costituzionale si è già pronunciata
su analoga questione con sentenza n. 45 del 1992, dichiarandola non
fondata. Tuttavia la questione viene riproposta, considerando che il
precedente della Corte si riferisce ad un’ipotesi in cui il reato
militare viene sanzionato più pesantemente di quello comune.
2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, per chiedere una pronuncia di inammissibilità o, comunque, di
non fondatezza.
Con riguardo alla richiesta di inammissibilità, l’Avvocatura
sottolinea che il giudice remittente prospetta, nell’ordinanza di
remessione, l’interpretazione in base alla quale la dizione “presenza
di militari riuniti per servizio” non ricomprende i carabinieri in
servizio di polizia giudiziaria o di sicurezza. Pertanto, se il
giudice avesse seguito questa strada interpretativa, non sarebbe
stato necessario investire della questione il giudice delle leggi.
L’Avvocatura, comunque, ritiene che la questione debba essere
dichiarata non fondata, sulla base del precedente di cui alla
sentenza n. 45 del 1992.
codice penale militare di pace, nella parte in cui prevede
l’applicabilità del reato di minaccia ad inferiore per la
circostanza della “presenza di militari riuniti per servizio”,
contrasti con l’art. 3 della Costituzione.
2. – Va preliminarmente disattesa la censura di inammissibilità
prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale,
intervenendo in giudizio, ha sostenuto che il giudice a quo ha
prospettato nell’ordinanza di remissione un’interpretazione che
consentirebbe di risolvere la questione senza ricorrere al giudizio
di legittimità costituzionale. Vale a dire quella di non considerare
come militari in servizio gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri
che svolgono funzioni di pubblica sicurezza.
Invero, un’attenta lettura dell’ordinanza di remissione consente
di superare tale dubbio di ammissibilità, in quanto da essa si
ricava che, in realtà, lo stesso giudice a quo mostra di non
ritenere percorribile siffatta via interpretativa. Pertanto la
questione di legittimità prospettata dal Tribunale militare di
Cagliari va esaminata nel merito.
3. – L’art. 199 del codice penale militare di pace consente che la
minaccia di un militare nei confronti di un inferiore sia punita ai
sensi dell’art. 196 dello stesso codice – e non ai sensi dell’art.
336 del codice penale ordinario – allorché – tra le altre ipotesi
considerate – l’inferiore sia stato minacciato alla presenza di
militari riuniti per servizio. Il Tribunale militare di Cagliari,
giudicando sulle minacce profferite da un militare nei confronti di
un inferiore alla presenza di più carabinieri riuniti per servizio
di pubblica sicurezza, pur non ritenendo che questo servizio possa
essere ricompreso nella nozione oggettiva di “servizio militare”,
prende atto che la lettera dell’art. 199 cod. pen. mil. di pace non
specifica, relativamente alla presenza dei militari riuniti per
servizio, che il servizio stesso debba essere interpretato nel senso
inteso da esso giudice remittente, rendendo così applicabile la
norma al caso di specie. Ciò premesso, il Tribunale militare di
Cagliari dubita che il citato art. 199 violi l’art. 3 della
Costituzione, in quanto la sanzione da esso prevista (pena massima di
tre anni di reclusione militare) è inferiore a quella prevista
dall’art. 336 cod. pen. (che prevede una pena massima di cinque anni
di reclusione). Per effetto della norma impugnata – secondo il
giudice a quo – si determinerebbe una consistente deroga al principio
di proporzione tra fatto e pena, in quanto la disciplina speciale
verrebbe applicata con effetti favorevoli al militare superiore,
laddove, invece, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte
(sentenza n. 45 del 1992), il comportamento tenuto da un militare
superiore nel grado nei confronti di un inferiore, alla presenza dei
militari riuniti in servizio, dovrebbe essere punito più severamente
in relazione alla lesione del bene della disciplina militare. In
sostanza la presenza dei militari riuniti in servizio renderebbe la
stessa condotta meno grave, con lesione del principio di
ragionevolezza sotto il profilo della mancanza di proporzionalità.
4. – La questione non è fondata.
L’argomentazione del Tribunale militare si basa sulla errata
premessa della uguaglianza delle condotte previste e punite
rispettivamente dagli artt. 196 del codice penale militare di pace e
dall’art. 336 del codice penale ordinario per inferirne la
sproporzione – in favore dell’autore del reato – della pena prevista
dall’impugnato art. 199. In realtà i fatti descritti dalle predette
norme sono diversi. Mentre l’art. 196 punisce la mera “minaccia di un
ingiusto danno” da parte di un militare nei confronti di un
inferiore, il primo comma dell’art. 336 del codice penale ordinario –
al quale fa riferimento l’ordinanza di remissione – punisce la
minaccia a un pubblico ufficiale o a un incaricato di un pubblico
servizio per costringerlo a compiere un atto contrario ai propri
doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio. In altri
termini, in quest’ultima ipotesi è previsto un elemento teleologico
di consistente gravità – che qualifica il comportamento dell’autore
– diretto a costringere il soggetto passivo del reato a compiere un
atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto d’ufficio – del
tutto insussistente nell’ipotesi delineata dal codice militare.
Le disposizioni ex artt. 196, primo comma, cod. pen. mil. di pace e
336, primo comma, cod. pen., contemplando fattispecie diverse, non
irragionevolmente individuano un trattamento sanzionatorio
differenziato. Quindi, venendo meno tale argomentazione del giudice a
quo, cade anche il dubbio circa la conformità all’art. 3 della
Costituzione, sotto il profilo della irragionevole disparità di
trattamento di uguali situazioni, dell’art. 199 cod. pen. mil. di
pace che fra le condizioni che elenca per l’applicazione dei reati di
insubordinazione e di quelli di abuso di autorità (tra i quali
ultimi si colloca il reato di minaccia ad inferiore) prevede quella
delle presenza di più militari riuniti per servizio.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 199 del codice penale militare di pace sollevata, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale militare di
Cagliari con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 novembre 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: SPAGNOLI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 28 novembre 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA