Sentenza N. 438 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
14/12/1993
Data deposito/pubblicazione
14/12/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/12/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
legge 4 agosto 1993, n. 277 (Norme per l’elezione della Camera dei
deputati), promosso con ricorso della Provicia autonoma di Bolzano
notificato il 4 settembre 1993, depositato in cancelleria il 7
successivo ed iscritto al n. 42 del registro ricorsi 1993;
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 2 novembre 1993 il Giudice
relatore Mauro Ferri;
Uditi gli avvocati Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia
autonoma di Bolzano e l’avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il
Presidente del Consiglio dei ministri;
autonoma di Bolzano ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1 e 5 della legge 4 agosto 1993, n. 277,
recante “Norme per l’elezione della Camera dei deputati”.
La ricorrente premette che le norme impugnate prevedono che la
ripartizione del 25% dei seggi attribuiti secondo il metodo
proporzionale si effettui in sede di Ufficio centrale nazionale. Per
accedere a tali seggi è stata inserita una clausola di sbarramento
del 4%, per cui i partiti che nell’ambito nazionale non raggiungono
tale soglia sono automaticamente esclusi dall’assegnazione dei
suddetti seggi.
Il sistema adottato dalla nuova legge per l’elezione della Camera
dei deputati esclude pertanto le liste che rappresentano minoranze
linguistiche riconosciute dalla possibilità di partecipare con
successo al riparto dei seggi assegnati con il metodo proporzionale,
dal momento che esse – come risulta evidente – non potranno mai
raggiungere sul piano nazionale la soglia del 4%.
È una realtà storica – prosegue la ricorrente – che nella
Regione Trentino-Alto Adige, sin dalle prime elezioni politiche
(1948), hanno sempre partecipato alle elezioni, oltre a liste di
partiti nazionali, anche liste locali che raggruppano candidati delle
minoranze etniche e che sono state votate dalla quasi totalità delle
minoranze stesse. Esse hanno avuto successo elettorale, tanto vero
che in Parlamento siedono costantemente dal 1948 in poi sempre 6 (o
almeno 5) parlamentari che rappresentano le minoranze etniche tedesca
e ladina, che nella Provincia autonoma di Bolzano sono la popolazione
numericamente prevalente (censimento 1991: cittadini di lingua
tedesca 67,99% + cittadini di lingua ladina 4,36% = 72,35%).
Sarebbe stato facile ovviare ai lamentati inconvenienti inserendo
all’art. 1, lettera a), dopo le parole “La ripartizione dei seggi
attribuiti secondo il metodo proporzionale, a norma degli articoli
77, 83 e 84, si effettua in sede di Ufficio centrale nazionale”, le
seguenti “e per la circoscrizione elettorale Trentino-Alto Adige in
sede di Ufficio centrale circoscrizionale”. Altra soluzione sarebbe
stata quella di prevedere nell’art. 5 della legge impugnata una norma
speciale per cui lo sbarramento del 4% non si applica alle liste
presentate nella circoscrizione Trentino-Alto Adige (nella quale
vivono appunto minoranze linguistiche riconosciute), ovvero prevedere
che per la Regione Trentino-Alto Adige lo sbarramento del 4% e la
ripartizione dei seggi attribuiti secondo il metodo proporzionale si
effettua nell’ambito della circoscrizione elettorale stessa.
Questi emendamenti, che furono proposti in sede parlamentare, non
hanno, però, trovato accoglimento.
Ciò posto, la ricorrente solleva due distinte questioni di
costituzionalità, svolgendo le seguenti argomentazioni.
A) Violazione da parte degli artt. 1 e 5 della legge impugnata
degli artt. 6 e 10 della Costituzione e dei principi di eguaglianza
(formale e sostanziale) e di libertà del voto ex artt. 3 e 48 della
Costituzione; violazione dell’art. 2 dello Statuto speciale Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), dell’Accordo di Parigi
del 5 settembre 1946, dell’Accordo internazionale Italo-Austriaco di
chiusura della controversia sul pacchetto (aprile 1992), dell’art. 5
della “Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di
discriminazione razziale” (New York, 21 dicembre 1965), dell’art. 14
della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali” (Roma, 4 novembre 1950), dell’art. 3
del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione stessa (Parigi 20
marzo 1952).
Secondo i risultati del censimento dell’anno 1991, alla Regione
Trentino-Alto Adige spettano 10 deputati dei quali – in base all’art.
7, n. 1 b), della legge in questione – n. 8 deputati saranno eletti
con il metodo maggioritario (4 nei collegi uninominali della
Provincia di Trento e 4 nei collegi uninominali della Provincia di
Bolzano). Mentre per gli 8 deputati che saranno eletti col metodo
maggioritario non sorgono problemi, questioni di costituzionalità
sorgono invece per quanto riguarda i 2 seggi attribuiti alla Regione
Trentino-Alto Adige secondo il metodo proporzionale.
La prima doglianza investe il fatto che, anziché emanare norme a
tutela delle minoranze linguistiche riconosciute, si emanano norme in
materia di elezione della Camera dei deputati che limitano il diritto
al voto e alla rappresentanza politica parlamentare dei due gruppi
etnici riconosciuti.
Palese è anzitutto la violazione dell’art. 6 della Costituzione,
che impone a favore delle minoranze un trattamento di favore,
specifico ed adeguato alla loro particolare situazione, disponendo
che “la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze
linguistiche”. La stessa Corte costituzionale ha chiarito che “tutela
della minoranza tedesca e ladina significa esigenza di un trattamento
specificatamente differenziato in applicazione dell’art. 6 Cost.”
(sentenza n. 86 del 16 aprile 1975).
Altrettanto palese è la violazione dell’art. 2 dello Statuto
speciale del Trentino-Alto Adige, che stabilisce l’obbligo di
“salvaguardare le rispettive caratteristiche etniche e culturali” dei
tre gruppi linguistici che vivono in Provincia di Bolzano.
Vi è poi l’Accordo di Parigi, che non solo è parte integrante
del Trattato di Pace, ma la cui osservanza è stata riconfermata
anche recentemente in sede internazionale fra l’Italia e l’Austria
(atti relativi alla chiusura del pacchetto: aprile 1992) in cui si
parla di un “quadro delle disposizioni speciali destinate a
salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed
economico del gruppo di lingua tedesca”.
La legge impugnata – prosegue la ricorrente – viola anche altri
impegni internazionali assunti dallo Stato, relativi al diritto di
voto da garantire, senza limiti di sorta, alle minoranze etniche.
Infatti, sul piano internazionale, fra i diritti fondamentali
garantiti alle minoranze riconosciute, è da annoverare come
fondamentale il diritto civile e politico al libero esercizio del
diritto al voto, senza discriminazione.
A tale uopo si ricorda che l’art. 5 della “Convenzione
internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione
razziale” (New York, 21 dicembre 1965) statuisce – con particolare
riguardo alle minoranze etniche – che: “In base agli obblighi
fondamentali di cui all’art. 2 della presente Convenzione, gli Stati
contraenti si impegnano a vietare e ad eliminare la discriminazione
razziale in tutte le sue forme ed a garantire a ciascuno il diritto
alla eguaglianza dinanzi alla legge senza distinzione di razza,
colore ed origine nazionale o etnica, nel pieno godimento dei
seguenti diritti: c) Diritti politici ed in particolare il diritto di
partecipare alle elezioni, di votare e di presentarsi candidato in
base al sistema del suffragio universale ed uguale per tutti ..”.
Statuizioni analoghe sono contenute anche nell’art. 14 della
“Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali” (Roma, 4.11.1950), integrato dall’art. 3
del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione stessa (Parigi
20.3.1952).
Da quanto sopra emerge con tutta chiarezza il dovere del
legislatore di salvaguardare con apposite norme il diritto elettorale
delle minoranze etniche e dei cittadini ad esse appartenenti. Per i
gruppi etnici minoritari e per i cittadini ad essi appartenenti non
è sufficiente affermare la “non discriminazione” – atteggiamento
meramente passivo – ma è necessario, viceversa, provvedere alla
tutela dei loro diritti elettorali con particolari misure che evitino
di farle soccombere sotto la scure dello sbarramento del 4%.
Le “apposite norme di tutela”, pur potendo apparire come un
privilegio, di fatto tendono soltanto a salvaguardare gli interessi
delle minoranze linguistiche ed a bilanciare quella situazione di
svantaggio obiettivo, nella quale le minoranze si trovano, per la
loro stessa natura di gruppo etnico minoritario, che non può
raggiungere il 4% e che non deve essere “costretto” a votare per i
partiti nazionali. Il loro mancato inserimento nella legge impugnata
comporta peraltro anche violazione dei principi costituzionali di
eguaglianza (anche sostanziale) e di ragionevolezza ex art. 3 della
Costituzione, secondo cui situazioni diverse devono essere trattate
dalla legge in modo differente, anche in relazione al diritto di voto
(art. 48 Cost.).
B) Violazione da parte degli artt. 1 e 5 della legge impugnata
degli articoli 3, primo e secondo comma, e 48 della Costituzione,
degli artt. 18 e 49 della Costituzione in relazione all’art. 6 della
Costituzione, dell’art. 2 dello Statuto Speciale Trentino-Alto Adige
(d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), dell’Accordo di Parigi del 5
settembre 1946 e dell’Accordo internazionale Italo-Austriaco di
chiusura della controversia sul pacchetto (aprile 1992).
Gli articoli 1 e 5 della legge impugnata violano anche il
principio di parità ed eguaglianza nell’esercizio del diritto
elettorale fra i cittadini residenti nella Regione Trentino-Alto
Adige di lingua tedesca e ladina da un lato e quelli di lingua
italiana dall’altro.
Oltre che nell’art. 3 della Costituzione, il principio di
eguaglianza sostanziale viene affermato, in riferimento alla regione
Trentino-Alto Adige, nell’art. 2 dello Statuto Speciale del Trentino-Alto Adige, che dispone: “Nella Regione è riconosciuta parità di
diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale
appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche
etniche e culturali”.
Anche l’Accordo di Parigi del 5 settembre 1946 prevede che: ” ..
gli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli
dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento godranno di
completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua
italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a
salvaguardare il carattere etnico ..”.
Infine negli accordi italo-austriaci dell’aprile 1992 (chiusura
della controversia sul pacchetto) si ribadisce e si ripete
espressamente l’impegno dello Stato di garantire l’eguaglianza
sostanziale con apposite norme.
La sostanziale eguaglianza garantita dall’ordinamento giuridico
(in particolare anche dal secondo comma dell’art. 3 Cost.) va
salvaguardata ovviamente in tutti i settori e principalmente
nell’ambito del diritto di voto, che è uno dei diritti fondamentali
spettanti alle minoranze etniche.
È evidente che la legge impugnata ha commesso una grave
violazione del diritto di eguaglianza, nei confronti dei cittadini
appartenenti alle minoranze di lingua tedesca e ladina e della loro
rappresentanza politica, escludendole dall’assegnazione dei seggi da
attribuire secondo il metodo proporzionale, in quanto evidentemente
le liste che sono espresse da tali minoranze non possono raggiungere
la soglia del 4% su base nazionale.
Pertanto, i partiti che rappresentano le minoranze ed i loro
candidati rimarrebbero categoricamente esclusi dalla competizione
democratica per la conquista dei seggi, assegnati in ragione
proporzionale, mentre gli appartenenti al gruppo di lingua italiana
che vivono nella Regione Trentino-Alto Adige – che di regola hanno
sempre votato per i partiti nazionali – possono invece concorrere e,
quindi, esprimere con successo il loro voto politico. Di qui la
sostanziale disuguaglianza in cui incorre la legge impugnata.
Osserva ancora la ricorrente che, essendo fin troppo chiaro che
nessuno vota per un partito che non ha la minima possibilità di
successo, si viene in conclusione a togliere ai cittadini
appartenenti alle minoranze etniche viventi nella Regione Trentino-Alto Adige la possibilità di farsi rappresentare da propri
rappresentanti, candidati su liste locali.
In tal modo risultano violati anche i principi costituzionali
(artt. 18 e 49 Cost. in relazione all’art. 6 Cost.) che garantiscono
ai cittadini appartenenti a minoranze linguistiche la libertà di
associazione ed il diritto di associarsi “liberamente” in partiti
politici per potere concorrere in condizioni di eguaglianza alla
determinazione della politica nazionale, in primo luogo mediante la
rappresentanza parlamentare.
Il principio di eguaglianza, dal canto suo, comporta il divieto di
discriminazioni di qualsiasi genere, cui consegue l’illegittimità di
qualunque misura che limita i diritti politici dei cittadini
appartenenti alle minoranze etnico-linguistiche, costringendoli a
votare per i partiti nazionali.
Per veder realizzate le proprie caratteristiche particolari le
minoranze linguistiche riconosciute necessitano di una “tutela
positiva”, quale può risultare soltanto da provvedimenti particolari
e derogatori, di cui si può fare a meno solo qualora siano
“ingiustificati”.
Nel caso di specie l’adozione di misure particolari o l’adozione
di provvedimenti speciali rappresenta una forma di necessaria
attuazione del principio di eguaglianza, inteso anche in senso
sostanziale, e di ragionevolezza (art. 3, primo e secondo comma, e 48
Cost.).
2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per l’infondatezza delle questioni.
Osserva, innanzitutto, l’Avvocatura dello Stato che già in sede
di dibattito parlamentare fu messa in rilievo l’impossibilità di
vanificare l’istituto della clausola di sbarramento con disposizioni
correttive a favore delle svariate minoranze esistenti in Italia
(laddove sarebbe oltretutto impensabile tutelare solamente le due
presenti nel territorio della Provincia ricorrente).
Proprio sulla scorta del dettato dell’art. 6 della Costituzione,
che prevede che la Repubblica tuteli con apposite norme le minoranze
linguistiche, la legge n. 29 del 1948, che introdusse in Italia il
regime proporzionale e che è stata ora modificata con le norme
impugnate, non fu motivata dall’esigenza di tutelare le minoranze
linguistiche e la possibilità per talune di queste minoranze di
venire rappresentate in Parlamento fu un portato del sistema
proporzionale voluto da noti motivi storici e politici che
riguardavano la vita dell’intera nazione.
Già in base a tale rilievo è di assoluta evidenza – prosegue la
difesa del Governo – che allorquando, come nel caso di cui trattasi,
pari esigenze di interesse nazionale – peraltro sulla scorta di una
precisa indicazione referendaria – hanno indotto Parlamento e Governo
a mutare il sistema di rappresentanza, appare non pertinente la
protesta della ricorrente proprio perché qualsiasi deroga
particolare all’istituto della soglia, che si è ritenuto di
introdurre quale il più efficace strumento per la migliore
adeguatezza del sistema elettorale, verrebbe a costituire un regime
privilegiato in insanabile contraddizione con il principio di
uguaglianza dei cittadini sancito dall’art. 3 della Costituzione.
Le considerazioni svolte dimostrano d’altra parte che, comunque,
il problema sollevato non appare configurabile come problema di
autonomia, bensì come logica di costituzione di organi nazionali che
non impone la presenza di rappresentanze etniche e neppure regionali,
se non quando espressamente previsti (es. delegati per l’elezione del
Presidente della Repubblica). Tale logica si muove, quindi, su binari
posti al di sopra dei problemi autonomistici.
Nella più ferma osservanza del dettato costituzionale che impone
la salvaguardia delle minoranze, conclude l’Avvocatura, lo Stato non
può derogare dalla ratio di una legge votata dal Parlamento
nazionale per tenere in vita il portato di un sistema che solo per
incidens ha consentito l’accesso in Parlamento alle minoranze
altoatesine; la tutela delle minoranze linguistiche si esplica
attraverso svariati canali, ma non può, ovviamente, intaccare
questioni attinenti l’indirizzo politico del Paese, surrogato
oltretutto dalla espressa volontà popolare, e per quanto riguarda lo
specifico della Provincia di Bolzano, si soddisfa nella disciplina
che attiene agli organi di Governo e di Amministrazione della
Provincia stessa (es. proporzionale etnica).
3. – Ha depositato memoria la Provincia di Bolzano, la quale, dopo
aver replicato alle argomentazioni svolte dall’Avvocatura dello Stato
nell’atto di costituzione, insiste sulle conclusioni già formulate
nel ricorso, rilevando anche che in altri Stati la questione è stata
risolta in modo ragionevole, come in Germania (art. 6 della legge
elettorale) e in Polonia (art. 5 della recente legge elettorale 28
maggio 1993, n. 295).
Provincia autonoma di Bolzano mediante ricorso in via principale
investe gli artt. 1 e 5 della legge 4 agosto 1993, n. 277 – recante
“Norme per l’elezione della Camera dei deputati” – per contrasto con
gli artt. 3, 6, 10, 18, 48 e 49 della Costituzione, nonché con
l’art. 2 dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige.
La Provincia ricorrente è legittimata a proporre direttamente la
questione, in forza dell’art. 98, primo comma, del citato Statuto
speciale, secondo il quale: “Le leggi e gli atti aventi valore di
legge della Repubblica possono essere impugnati dal Presidente della
giunta regionale o da quello della giunta provinciale .. per
violazione del presente statuto o del principio di tutela delle
minoranze linguistiche tedesca e ladina”. Pertanto, è essenzialmente
in relazione all’art. 2 dello Statuto e al principio di tutela delle
minoranze linguistiche tedesca e ladina che la questione stessa deve
essere esaminata e valutata.
2. – La recente legge n. 277 del 4 agosto 1993 ha radicalmente
modificato il sistema elettorale previgente, fondato sullo scrutinio
di lista con l’attribuzione proporzionale dei seggi: sistema già
applicato nel 1919 e nel 1921, reintrodotto nel 1946 per le elezioni
dell’Assemblea costituente e mantenuto senza sostanziali modifiche
fino alle innovazioni legislative adottate dal Parlamento nel corso
del corrente anno. Con la legge citata il legislatore ha praticamente
esteso all’elezione della Camera dei deputati il sistema messo a
punto per il Senato dalla legge 4 agosto 1993, n. 276, con la quale
è stata data attuazione in sede legislativa alla radicale riforma
scelta direttamente dal corpo elettorale attraverso il referendum
abrogativo di alcune parti della legge elettorale del Senato.
Le caratteristiche del nuovo sistema elettorale possono così
riassumersi: il territorio nazionale è diviso in circoscrizioni
elettorali corrispondenti alle regioni, salvo le regioni maggiori per
le quali le circoscrizioni sono più di una; ad ogni circoscrizione
è attribuito un numero di seggi, naturalmente in rapporto alla
popolazione: di questi il settantacinque per cento viene attribuito
ai candidati che ottengano la maggioranza, anche soltanto relativa,
in altrettanti collegi uninominali nei quali ogni circoscrizione è
suddivisa; il restante venticinque per cento è attribuito, mediante
riparto in ragione proporzionale, tra liste presentate in sede
circoscrizionale: il riparto viene effettuato in sede nazionale
sommandosi i voti delle liste aventi il medesimo contrassegno, ma ne
sono escluse quelle liste che non abbiano conseguito a livello
nazionale almeno il quattro per cento dei voti validi espressi. La
ricorrente contesta precisamente quest’ultima disposizione, sotto
l’aspetto congiunto della ripartizione da effettuarsi in sede
nazionale, anziché circoscrizionale, e del quorum minimo del quattro
per cento richiesto per concorrere al riparto. Verrebbero in tal modo
vulnerati i diritti della minoranza di lingua tedesca e ladina e il
principio della parità di diritti per i cittadini nella regione,
qualunque sia il gruppo linguistico di appartenenza, sancito dal già
menzionato art. 2 dello Statuto speciale.
3. – Così precisata nei suoi aspetti essenziali la questione, la
Corte deve innanzi tutto affrontare il problema della estensione
della garanzia di tutela e di parità assicurata alle minoranze di
lingua tedesca e ladina dallo Statuto speciale, garanzia cui si
collegano direttamente, o, per così dire, sullo sfondo i parametri
costituzionali invocati.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, la suddetta garanzia sarebbe
limitata all’ambito dell’autonomia regionale: non potrebbe quindi
minimamente estendersi a norme attinenti alla formazione di organi
nazionali ed in particolare al sistema di elezione della massima
istituzione costituzionale, espressione diretta della sovranità
popolare, qual è il Parlamento. Inoltre il mutamento del sistema
elettorale sarebbe stato provocato da esigenze di interesse nazionale
sulla scorta di una precisa indicazione referendaria. In ordine a
quest’ultima affermazione è sufficiente richiamare, per dimostrarne
l’infondatezza – come esattamente rileva la Provincia ricorrente -,
che la tutela delle minoranze linguistiche locali è espressamente
compresa fra gli interessi nazionali dall’art. 4 dello Statuto
speciale della Regione Trentino-Alto Adige, e del resto questa Corte
ha ricordato trattarsi “di un principio costituzionale che, affermato
in via generale dall’art. 6 della Costituzione, ha nello Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige un significato particolarmente
pregnante” (cfr. sent. n. 242 del 1989). Tale principio, poi, come
meglio si vedrà in seguito, non può non estendere la propria
efficacia anche nei confronti del diritto all’elezione della
rappresentanza politica.
4. – Lo speciale regime che ne deriva è ulteriormente rafforzato
dal fatto che esso costituisce l’esecuzione di un accordo
internazionale, intervenuto fra il governo italiano ed il governo
austriaco il 5 settembre 1946, (comunemente noto come l’accordo De
Gasperi-Gruber), richiamato a sua volta dal Trattato di pace firmato
a Parigi il 10 febbraio 1947. Vero è che a tale accordo è stata
data esecuzione con legge ordinaria (è inconferente pertanto il
riferimento all’art. 10 della Costituzione che riguarda soltanto le
norme di diritto internazionale di carattere consuetudinario); ma
esso costituisce pur sempre la migliore chiave interpretativa per
comprendere la specialità dell’ordinamento autonomistico realizzato
nel Trentino-Alto Adige (sentenza n. 242 del 1989 già citata).
Non si può quindi pienamente apprezzare la portata e il carattere
di queste particolari garanzie se non si tengono nel conto dovuto i
ben noti precedenti storici ed i problemi nazionali, etnici e
culturali che sono a monte dell’accordo e della sua complessa e
travagliata attuazione.
Il ricordato accordo De Gasperi-Gruber trovò immediata attuazione
nello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige (articolata
nelle due province autonome) approvato dalla Costituente il 26
febbraio 1948.
Negli anni che seguirono, le nuove controversie insorte hanno
trovato composizione nell’accordo sul cosiddetto “pacchetto” di
misure di revisione statutaria, sanzionate dalle modifiche allo
Statuto speciale approvate con legge costituzionale 10 novembre 1971,
n. 1; esse sono caratterizzate dal trasferimento di poteri e funzioni
già della Regione alle province autonome e da maggiori garanzie per
la minoranza (v. ad es. l’art. 98 sopra citato). Sono poi state
adottate le previste norme di attuazione, e infine nel 1992 lo
scambio di note italo-austriaco ha dato atto del pieno
soddisfacimento degli impegni assunti dall’Italia.
5. – Per quanto ora più direttamente interessa, la questione
cioè della rappresentanza politica, va ricordata la legge 30
dicembre 1991 n. 422 con la quale sono state modificate le
circoscrizioni territoriali dei collegi della Regione Trentino-Alto
Adige per l’elezione del Senato, in attuazione – secondo
l’intitolazione della legge stessa – della misura 111 (del cosiddetto
pacchetto) a favore della popolazione alto-atesina. Tale sistemazione
dei collegi è stata salvaguardata, in deroga alla normativa
generale, dall’art. 1 della nuova legge elettorale per il Senato, n.
276 del 4 agosto 1993. Anche nella nuova legge elettorale per la Camera, all’art. 7, comma 1, lett. a), è prevista una deroga ai
principi e ai criteri generali, fissati per la delimitazione dei
collegi, nelle zone in cui siano presenti minoranze linguistiche
riconosciute.
Ma al di là dei richiami testuali, va aggiunto che giova
all’interesse nazionale, cui è riferita la tutela delle minoranze
linguistiche, ed al principio stesso dell’unità nazionale – la quale
dalle autonomie speciali non viene inficiata, bensì rafforzata ed
esaltata – che la minoranza possa esprimere la propria rappresentanza
politica in condizioni di effettiva parità. Siffatte condizioni si
sono realizzate dal 1948 ad oggi, ed infatti la minoranza di lingua
tedesca ha potuto eleggere i propri deputati e senatori, né ha
avanzato alcuna particolare richiesta, se si eccettua quella relativa
alle circoscrizioni territoriali dei collegi per l’elezione del
Senato, risolta – come si è detto – dalla legge n. 422 del 1991
attuativa della misura n. 111 del “pacchetto”.
6. – Tornando dunque alla questione sottoposta al giudizio della
Corte, una volta riconosciuto che alla minoranza di lingua tedesca e
ladina è costituzionalmente garantito il diritto di esprimere in
condizioni di effettiva parità la propria rappresentanza politica,
si dovrebbe ora verificare se tale diritto sia compromesso dalla
nuova legge elettorale oggetto di impugnazione.
La stessa provincia ricorrente ammette che, per quanto riguarda i
deputati da eleggere nei collegi uninominali col metodo
maggioritario, in numero di otto per la circoscrizione Trentino-Alto
Adige, “non sorgono questioni”, dato che i quattro collegi del
Trentino e i quattro dell’Alto Adige sono costituiti così da
corrispondere “alla realtà etnica locale”.
Contrasterebbe invece con il principio di parità e di tutela
della minoranza la normativa prevista per l’elezione a scrutinio di
lista dei due seggi residui attribuiti alla Regione; ciò a causa
dell’assegnazione da effettuarsi in sede nazionale con la condizione
del raggiungimento del quorum non inferiore al quattro per cento.
Afferma la ricorrente che, ove la minoranza voglia esprimere la
propria rappresentanza, (come fino ad oggi è avvenuto), attraverso
candidati e lista che si caratterizzino proprio sul connotato etnico
linguistico culturale, si vedrebbe preclusa qualsiasi possibilità,
anche in astratto, di concorrere all’assegnazione dei due seggi
suddetti, data la consistenza numerica dell’elettorato di lingua
tedesca e l’evidente impossibilità di presentare liste analoghe in
altre circoscrizioni. Verrebbe così violato il diritto degli
elettori appartenenti alla minoranza, diritto che, secondo la
formulazione dell’art. 4 del Testo unico delle leggi per l’elezione
della Camera dei deputati n. 361 del 1957, come sostituito dall’art.
1 lett. e) della legge n. 277 del 1993, si estrinseca nella
disponibilità di due voti, uno per l’elezione del candidato nel
collegio uninominale, uno per la scelta della lista ai fini
dell’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale; d’altra parte
la presentazione della lista nella circoscrizione è resa
obbligatoria dalla legge, in quanto essa prevede (art. 18 del T.U. n.
361 del ’57, sostituito dall’art. 2 lett. c) della legge n. 277 del
’93) per i singoli candidati nei collegi uninominali il collegamento
a liste “cui gli stessi aderiscono con l’accettazione della
candidatura”.
7. – A questo punto, prima di procedere oltre nell’esame, il
Collegio deve prioritariamente porsi il problema delle conseguenze
che discenderebbero da un ipotetico riconoscimento della fondatezza
della questione. Le soluzioni possibili per ovviare ai presunti vizi
delle norme impugnate sarebbero invero diverse, come risulta innanzi
tutto dai lavori preparatori della legge. Furono infatti presentati
in parlamento, sia alla Camera che al Senato, emendamenti alternativi
tendenti a risolvere il problema posto dalla minoranza di lingua
tedesca (o di altre minoranze). In buona sostanza si chiedeva che
l’attribuzione dei seggi assegnati alle liste col metodo
proporzionale avvenisse per il Trentino-Alto Adige (e per il Friuli-Venezia Giulia) in sede circoscrizionale anziché in sede nazionale.
Ma venne anche formulato un altro emendamento tendente ad escludere
dalla clausola di sbarramento le “liste di candidati che
rappresentino minoranze linguistiche riconosciute”.
Queste due diverse soluzioni prospettate e respinte in sede
parlamentare, – cui la stessa Provincia autonoma fa riferimento nel
ricorso -, non esauriscono comunque la gamma dei meccanismi
correttivi in astratto configurabili.
8. – Non essendovi, pertanto, di fronte ad una ipotetica
illegittimità costituzionale, una soluzione obbligata ma una
pluralità di soluzioni, questa Corte non potrebbe in alcun modo,
secondo la propria costante giurisprudenza (cfr., ad esempio, sentt.
nn. 194 del 1984, 109 del 1986, 1107 del 1988, 205 del 1992),
sostituirsi al legislatore in una scelta a lui riservata. Va dunque
dichiarata l’inammissibilità della questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 1 e 5 della legge 4 agosto 1993, n. 277 (Norme per
l’elezione della Camera dei deputati), sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 6, 10, 18, 48 e 49 della Costituzione e all’art. 2 dello
Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige, dalla Provincia
autonoma di Bolzano con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: FERRI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 14 dicembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA