Sentenza N. 450 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1997
Data deposito/pubblicazione
30/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 5 dicembre 1996
dal pretore di Napoli, sezione distaccata di Marano, nel procedimento
penale a carico di Bortone Mario ed altro, iscritta al n. 143 del
registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 1997;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 1 ottobre 1997 il giudice
relatore Giuliano Vassalli.
Guglielmo venivano citati a giudizio del pretore di Napoli, sezione
distaccata di Marano, per rispondere del reato di cui agli artt.
113, 589 e 40 cod. pen. (cooperazione nel delitto di omicidio
colposo) per aver provocato in concorso tra loro, rispettivamente il
primo nella qualità di capo cantiere ed il secondo nella qualità di
direttore di cantiere, la morte di Ferrara Luigi, avvenuta il 29
giugno 1992.
Dopo numerosi rinvii delle udienze dovuti a cause varie,
all’udienza del 5 dicembre 1996 i due difensori del secondo imputato,
dopo che un’istanza di rinvio presentata da uno di essi era stata
disattesa perché intempestiva, non erano comparsi e ciò aveva reso
necessario per il pretore nominare per l’imputato predetto altro
difensore come sostituto ai sensi dell’art. 97, comma 4, del codice
di procedura penale.
Il difensore d’ufficio, nominato come sostituto dei difensori di
fiducia non comparsi, ebbe a formulare, prima dell’apertura del
dibattimento, richiesta di assegnazione di un termine per la difesa
ai sensi dell’art. 108 cod. proc. pen. Il p.m. non si oppose, ma i
difensori della parte civile costituita e delle parti offese ebbero a
eccepire l’inammissibilità di detta richiesta in quanto fatta in
mancanza dei presupposti di legge, e precisamente al di fuori dei
casi di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono, rilevando che
queste erano ipotesi tassative, non estensibili al difensore nominato
d’ufficio nel caso di mancata comparizione del difensore (o dei
difensori) di fiducia.
Il pretore, preso atto dei dubbi di costituzionalità sollevati
sull’art. 108 dal difensore del primo imputato, e dopo aver posto
l’accento sulla tassatività delle ipotesi in detto articolo
previste, così da non rendersi possibile risolvere la questione in
via interpretativa, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’articolo stesso, nella parte in cui non prevede
la possibilità per il difensore designato ai sensi dell’art. 97,
comma 4, nel caso di assenza del difensore di fiducia di richiedere
un termine per la difesa.
Secondo il giudice rimettente la mancata ricomprensione
dell’assenza del difensore di fiducia tra i presupposti per la
concessione del termine per la difesa si pone in evidente contrasto
con l’art. 3 della Costituzione in quanto si traduce in una
irragionevole discriminazione della suddetta ipotesi rispetto ad
altre situazioni “analoghe, anche se non giuridicamente assimilabili
tra loro”, quali la rinuncia da parte del difensore di fiducia che
abilita a richiedere il termine per la difesa pure essendo questa
posizione in nulla differente dalla condizione processuale del
difensore designato a causa della assenza del difensore di fiducia.
Altro motivo di contrasto con il principio di eguaglianza sarebbe,
secondo il rimettente, quello derivante dal confronto della
denunciata situazione con quella del difensore d’ufficio
dell’imputato sottoposto al giudizio direttissimo, che può giovarsi
della facoltà a quest’ultimo riconosciuta dagli artt. 451, comma 6,
e 566, comma 7, cod. proc. pen.
La disposizione impugnata sarebbe altresì in contrasto con l’art.
24, secondo comma, della Costituzione, perché la denunciata lacuna
legislativa, oltre a relegare in una posizione secondaria la difesa
di ufficio intervenuta per l’assenza dell’avvocato di fiducia,
finirebbe per violare il diritto dell’imputato ad avere una difesa
effettiva e non meramente simbolica.
2. – Nel giudizio davanti alla Corte è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo una dichiarazione di infondatezza
della questione.
A tale conclusione l’Avvocatura dello Stato perviene non
concordando con l’interpretazione dell’art. 108 cod. proc. pen. data
dal giudice a quo. Ed infatti, se appare difficile un’interpretazione
estensiva della norma impugnata, che faccia leva sul dato testuale
dell'”abbandono”, in modo da comprendere in esso le ipotesi di
semplice assenza, nulla osta ad una interpretazione analogica, che
ricomprenda tra i presupposti per l’applicabilità dell’art. 108
anche la mancata comparizione del difensore di fiducia ed eviti così
“attenuazione del diritto di difesa” e “sperequazione nel trattamento
di ipotesi simili”.
vedeva non comparsi all’udienza dibattimentale i due difensori di uno
dei due imputati e nel quale pertanto era stato necessario provvedere
alla designazione come sostituto di un difensore d’ufficio, ai sensi
dell’art. 97, comma 4, del codice di procedura penale, il pretore di
Napoli, sezione distaccata di Marano, dopo che il sostituto designato
aveva chiesto un termine per la difesa ai sensi dell’art. 108 stesso
codice e dopo che il difensore di fiducia dell’altro imputato,
nell’appoggiare la richiesta, aveva formulato dubbi di
costituzionalità dell’articolo stesso, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale del citato articolo in quanto non
comprende tra i presupposti per la concessione di un termine per la
difesa al difensore designato che ne faccia richiesta anche la
semplice assenza dall’udienza del difensore di fiducia.
Premette il giudice rimettente di non ritenere possibile una
interpretazione dell’art. 108, che comprenda anche l’ipotesi della
mancata comparizione del difensore di fiducia all’udienza, dovendosi
ritenere tassativa la elencazione delle ipotesi formulate nel
suddetto articolo: rinuncia, revoca, incompatibilità ed abbandono
della difesa. E sulla base di questa interpretazione denuncia la
lacuna come costituzionalmente illegittima perché la mancata
ricomprensione nell’art. 108 dell’ipotesi dell’assenza si pone in
contrasto con l’art. 3 della Costituzione sotto un duplice profilo:
in quanto si traduce in un’irragionevole discriminazione della
suddetta ipotesi rispetto ad altre situazioni analoghe contemplate
nell’art. 108 (quali ad esempio – dice sempre il rimettente – la
rinuncia del difensore di fiducia) e in quanto discrimina la
situazione del sostituto designato ex art. 97, comma 4, in caso di
mancata comparizione del difensore di fiducia da quella che viceversa
è fatta al difensore d’ufficio dell’imputato sottoposto al giudizio
direttissimo, il quale ha diritto, ove ne faccia richiesta, ad un
congruo termine per la difesa secondo le previsioni degli artt. 451,
comma 6, e 566, comma 7, del codice di procedura penale.
La disposizione denunciata sarebbe inoltre in contrasto, sempre per
effetto della rilevata lacuna normativa, con l’art. 24, secondo
comma, della Costituzione, perché, oltre a relegare in posizione
secondaria la difesa di ufficio intervenuta per l’assenza del
difensore di fiducia, finirebbe per violare il diritto dell’imputato
ad avere una difesa effettiva e non meramente simbolica.
2. – La questione non è fondata.
3. – Va presa anzitutto in esame la tesi dell’Avvocatura generale
dello Stato, che, disattendendo l’interpretazione posta alla base
dell’ordinanza del giudice rimettente, sostiene che sia possibile
considerare la semplice assenza del difensore di fiducia tra i
presupposti del diritto del difensore designato d’ufficio ad un
termine per la difesa, e ciò in forza di una “interpretazione
analogica” dell’art. 108.
Per valutare questa tesi va preso in esame il sistema risultante in
materia di termini per la difesa dal complesso di disposizioni che si
intrecciano a costituire la disciplina contenuta nel codice di
procedura penale.
Vengono anzitutto in considerazione gli artt. 97, comma 4, e 102
del codice di procedura penale.
Collocato sotto la rubrica “Difensore d’ufficio”, comune a tutte le
previsioni dell’art. 97, il comma 4 di detto articolo si occupa della
figura del sostituto d’ufficio, che è un difensore d’ufficio
particolare, previsto per i casi in cui il difensore vero e proprio,
di fiducia o d’ufficio nominato ai sensi dei precedenti commi 2 e 3
dell’articolo, non è stato reperito, non è comparso o ha
abbandonato la difesa. A detto sostituto, designato dal giudice o dal
pubblico ministero tra quelli immediatamente reperibili, si applicano
le disposizioni dell’art. 102. Tale articolo si riferisce alla figura
del sostituto del difensore di fiducia (o anche del difensore
d’ufficio), designato dal difensore per il caso di impedimento e per
tutta la durata di questo. Le due figure del sostituto d’ufficio ex
art. 97, comma quarto (non importa se sostituto del difensore
d’ufficio o sostituto del difensore di fiducia che non abbia
provveduto alla designazione di un sostituto) e del sostituto
designato dal difensore di fiducia (o d’ufficio) sono dunque due
figure parallele, per le quali il codice ha inteso dettare una
identica disciplina.
Comune ad entrambe è infatti la particolare posizione di
sostituto, non nominato o designato né all’inizio del procedimento
né in altro momento precedente gli eventi della mancata
comparizione, della non reperibilità e dell’abbandono.
Altra disposizione di rilievo nella materia è l’art. 486, comma 5,
riferibile al solo dibattimento, nel quale è contemplata una
sottofattispecie dell’assenza del difensore, e cioè quella assenza
che è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo
impedimento purché prontamente comunicato. Nel dibattimento nel
quale è stata sollevata la presente questione la disposizione
suddetta non sarebbe stata invocabile perché l’imputato aveva due
difensori, nessuno dei quali era comparso all’udienza.
Infine viene in considerazione l’art. 108, che è la disposizione
in relazione alla quale è stata sollevata la questione di
legittimità costituzionale.
Dispone tale articolo, intitolato “Termine per la difesa”, che nei
casi di rinuncia, di revoca, di incompatibilità e nel caso di
abbandono, al nuovo difensore dell’imputato o a quello designato in
sostituzione che ne fa richiesta è dato un termine congruo, di norma
non inferiore a tre giorni, per prendere cognizione degli atti e per
informarsi sui fatti oggetto del procedimento.
Indubbiamente l’enunciazione contenuta nell’articolo, con la
elencazione di quattro fattispecie precise (rinuncia, revoca,
incompatibilità e abbandono della difesa), ha formalmente tutti i
caratteri tipici delle enunciazioni tassative. Tuttavia è necessario
domandarsi se vi sia una ratio comune a queste ipotesi e perché non
figuri accanto ad esse quella ipotesi dell’assenza (per mancata
comparizione o per non reperibilità), che il legislatore ha
disciplinato per varie altre conseguenze e a fianco della quale, fra
l’altro, nell’art. 97, comma 4, tra i presupposti della designazione
di un sostituto d’ufficio figura proprio l’abbandono della difesa.
È facile avvedersi della ratio comune alle quattro ipotesi
contemplate nell’art. 108 se si pensa che in ognuna di esse
l’imputato rimane privo di difensore. Nei casi di rinuncia, di revoca
o di incompatibilità del difensore la privazione è definitiva,
mentre nel caso dell’abbandono la privazione può essere temporanea,
tanto che il difensore che abbia abbandonato la difesa dell’imputato
può riprendere il proprio ruolo ogniqualvolta ricompaia. Ma ciò non
basta per assimilare la semplice assenza non motivata all’abbandono
perché in quest’ultimo vi è sempre qualche elemento, anche se non
formale, di certezza, che permette di asserire che l’imputato è
rimasto privo di difensore, e ciò anche se in alcune fattispecie
concrete tale privazione può rivelarsi come solamente temporanea.
L’abbandono, considerato anche come illecito, è comunque un istituto
per il quale (così come per il rifiuto di assumere la difesa di
ufficio) è dettata dall’art. 105 una apposita disciplina, la quale
investe anche i motivi dell’abbandono e dà con questo a tale
fattispecie una sua configurazione del tutto particolare. Nel dettare
la disciplina generale per il termine a difesa, la legge ha preferito
collocare l’abbandono accanto alla rinuncia, alla revoca,
all’incompatibilità proprio per questo comune risultato che in tutte
si verifica di lasciare l’imputato privo di difensore, e dare così
la prevalenza a questo carattere rispetto a quei caratteri che
l’abbandono ha invece in comune con l’assenza e che si riducono, in
definitiva, alla possibilità di riassumere in ogni momento
l’effettività della difesa senza bisogno di alcuna nuova nomina o
d’altra formalità.
La semplice assenza è invece una ipotesi molto diversa, che può
risalire ai più diversi motivi ed essere espressiva di situazioni
assai diverse tra loro: può essere dovuta ad un impedimento
improvviso non potuto comunicare né all’imputato né al magistrato
procedente, può essere dovuta ad un semplice ritardo, può essere
espressione di una scelta deliberata nel quadro di una strategia
difensiva, e perfino di una strategia comunicata all’imputato o ad
altri difensori. Di essa non si può dire, come per le fattispecie
espressamente contemplate nell’art. 108, che privi l’imputato della
difesa né che si formalizzi in modo analogo a quello proprio delle
fattispecie suddette.
La Corte di cassazione, anche con una sentenza delle Sezioni unite
(11 novembre-19 dicembre 1994, Nicoletti), ha avuto modo di precisare
che nelle situazioni che di per sé non comportano la revoca del
mandato per il difensore di fiducia o la dispensa dall’incarico per
il difensore d’ufficio (situazioni alle quali la legge sopperisce ai
sensi dell’art. 97, comma 4, con la designazione di un sostituto),
“il titolare dell’ufficio di difesa rimane sempre l’originario
difensore designato, il quale, cessata la situazione che alla
sostituzione ha dato causa, può riprendere immediatamente il suo
ruolo e ricominciare le sue funzioni, non richiedendo la legge,
proprio per la immutabilità della difesa e per l’automatismo della
reintegrazione, comunicazioni o preavvisi di sorta”.
Per questo il legislatore ha ritenuto (eccezion fatta per l’assenza
in dibattimento motivata da legittimo impedimento tempestivamente
conosciuto, per cui provvede l’art. 486, comma 5, già sopra
richiamato) di non poter dare alla semplice assenza del difensore
altra conseguenza se non quella della designazione immediata di un
sostituto: al quale peraltro sono assegnati gli stessi diritti e
doveri del sostituto di cui all’art. 102, e cioè di un soggetto al
quale nessuno ha mai inteso riconoscere un autonomo diritto al
termine per preparare la difesa. Egli rappresenta il difensore a
tutti gli effetti e la legge ne presume la preparazione adeguata.
Queste, in sintesi, le ragioni per le quali deve ritenersi valida
l’interpretazione dell’art. 108 fornita dall’ordinanza del giudice
rimettente e non è viceversa accettabile la soluzione interpretativa
proposta dall’Avvocatura dello Stato. Mentre una interpretazione
estensiva della nozione di abbandono, come già rilevato, non è
proposta neanche dall’Avvocatura, un ricorso analogico è da
escludersi per mancata esistenza di una ratio comune all’ipotesi
dell’assenza e a quelle espressamente contemplate nell’art. 108.
4. – Così delineato per sommi capi il quadro normativo vigente,
deve ora prendersi in esame la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 108 sollevata dal pretore di Napoli sotto il
duplice profilo della lesione del principio di eguaglianza e della
lesione del diritto di difesa giudiziaria.
L’art. 3 della Costituzione è richiamato dall’ordinanza del
giudice rimettente sotto un duplice aspetto: per la comparazione con
situazioni definite analoghe a quella dell’assenza del difensore,
come la rinuncia, e per la comparazione con i termini per la difesa
previsti per il rito direttissimo: dieci giorni nel giudizio davanti
al tribunale o alla corte di assise (art. 451, comma 6, del codice di
procedura penale), cinque giorni nel giudizio davanti al pretore
(art. 566, comma 7, dello stesso codice).
Sotto il primo profilo debbono invocarsi considerazioni simili a
quelle svolte, nel precedente paragrafo, a proposito della
ricostruzione del sistema dettato per la sostituzione del difensore
assente. La semplice assenza, non sorretta da un legittimo
impedimento, è istituto del tutto diverso da quello dell’abbandono
della difesa, e, a maggior ragione, da quello della rinuncia,
specificamente richiamato come tertium comparationis dal giudice a
quo. E d’altra parte il sostituto del difensore (non importa se
designato ai sensi dell’art. 97, comma 4, dal magistrato procedente,
o dal difensore di fiducia o d’ufficio ai sensi dell’art. 102) è
figura del tutto diversa da quelladel nuovo difensore designato nelle
ipotesi di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono di difesa.
Il primo è chiamato a partecipare al processo in surroga del
difensore assente, che ancora deve considerarsi a tutti gli effetti
difensore dell’imputato, come ripetutamente riconosciuto anche dalla
Corte di cassazione, in particolare nella decisione più sopra
ricordata. Egli non è portatore di una soggettività difensiva
autonoma, proprio perché il dominus della difesa non scompare dal
processo, né di diritto (come nei casi di rinuncia, revoca e
incompatibilità) né di fatto, come nel caso di abbandono, per cui
pure subentra un sostituto fino a che la situazione non sia chiarita
o con il rientro nella effettività delle funzioni difensive o con la
revoca o con la rinuncia. Quello del sostituto è dunque un
intervento estemporaneo ed episodico, fatto per sopperire alle
esigenze immediate della difesa,
e non può essere paragonato all’intervento del nuovo difensore né
a quello del difensore temporaneamente sostituito.
Quelle denunciate dal giudice rimettente come situazioni meritevoli
di un medesimo trattamento sono dunque, invece, situazioni del tutto
eterogenee, delle quali non sembra possibile l’assimilazione: non nel
sistema della legge, come già visto, ma neanche dal punto di vista
della legittimità costituzionale.
Meno ancora è invocabile il principio costituzionale d’eguaglianza
quando si assume come tertium comparationis il sistema previsto per i
termini a difesa nel giudizio direttissimo. In tale giudizio, sia che
esso si svolga dinanzi al tribunale o alla corte d’assise (artt. 449
e seguenti), sia che esso si svolga dinanzi al pretore (artt.
566-567), l’imputato (arrestato in flagranza di reato) e i suoi
difensori vengono a contatto con il giudice per la prima volta ed è
dunque necessario assicurare ad essi un congruo termine per preparare
la difesa. La situazione è del tutto incomparabile con quella del
giudizio ordinario, che si svolge dopo che vi sono state numerose
occasioni di contatto con il giudice e di conoscenza degli atti di
causa sin dalla fase delle indagini preliminari, per non parlare dei
dibattimenti ripetutamente rinviati, come nel caso che ha dato
origine alla presente questione.
5. – Esclusa ogni possibilità di invocare a sostegno della
questione il parametro rappresentato dall’art. 3 della Costituzione,
la questione stessa va tuttavia esaminata sotto il profilo del
diritto di difesa giudiziaria, pure invocato dal giudice a quo. Ma
anche sotto questo aspetto valgono le considerazioni precedentemente
svolte. Ed infatti l’imputato il cui difensore non si presenti
all’udienza senza che si sia verificata alcuna delle quattro ipotesi
tassativamente contemplate nell’art. 108 non può considerarsi
automaticamente privo di difensore. L’avvocato che interviene come
sostituto del difensore (di fiducia come d’ufficio) da questo
nominato (ex art. 102) o immediatamente designato dal magistrato
appena verificatasi l’assenza del difensore (art. 97, comma 4) è
investito del compito di rappresentare colui che è e resta il
difensore dell’imputato. E non si può dimenticare che anche
l’assenza da una determinata udienza può rientrare nel quadro di una
“strategia difensiva”, in ipotesi concordata con l’imputato o a
questo comunicata. Il principio di effettività della difesa in
giudizio rimane allora adeguatamente salvaguardato, proprio perché
si conservano i diritti e le facoltà propri dell’assistenza
difensiva in capo all’unico soggetto chiamato ad esercitarli: il
difensore che l’imputato o l’ufficio hanno originariamente designato
come tale.
È ben vero che sul versante degli interessi immediati
dell’imputato ad avere, almeno attraverso il sostituto, una difesa
informata sui fatti e gli atti di causa, possono verificarsi delle
carenze o dei difetti sotto il profilo dell’assistenza tecnica; ma si
tratta di profili di mero fatto, che possono realizzarsi in tutte le
ipotesi in cui il difensore, per libera scelta, ritenga di astenersi
dal presenziare a determinati atti. La sua scelta partecipativa, ove
non condizionata da situazioni di impedimento, non può in nessun
caso turbare l’ordinato svolgersi del processo, proprio perché essa
stessa è espressione di un diritto di difesa, per definizione libero
nelle opzioni in cui esso si esprime. E quanto all’esigenza di
assicurare la concretezza della difesa attraverso il sostituto
d’ufficio designato nella stessa udienza, il giudice potrà sempre
concedere allo stesso – tenendo conto della natura della attività da
svolgere e della rilevanza che la stessa può assumere in relazione
alla specifica posizione dell’imputato – un differimento ad horas per
studiare gli atti e congruamente prepararsi alla difesa. Quel che non
si può consentire è che attraverso una serie di assenze non
previste e non motivate si innesti una serie di rinvii ex art. 108,
rinvii che anche se la legge prevede che debbano essere di pochi
giorni possono invece portare, come il più delle volte accade nelle
condizioni attuali della vita giudiziaria, a intervalli di lunghezza
insostenibile per un ordinato svolgimento della giustizia e per gli
interessi delle altre parti del processo. Né si può giungere ad
eludere il tassativo disposto dell’art. 486, comma 5, del codice di
procedura penale, dettato proprio per garantire una adeguata difesa
nel corso del dibattimento, attraverso una dichiarazione di
illegittimità costituzionale dell’art. 108 per asserito difetto
delle previsioni in esso contenute.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 108 del codice di procedura penale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione, dal
pretore di Napoli, sezione distaccata di Marano, con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vassalli
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
Il cancelliere: Fruscella