Sentenza N. 450 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1998
Data deposito/pubblicazione
30/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
lettera c della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento
penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà), promosso con ordinanza emessa il 26 marzo 1998 dal
Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di
L’Aquila, iscritta al n. 422 del registro ordinanze 1998 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima
serie speciale, dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio dell’11 novembre 1998 il giudice
relatore Valerio Onida.
detenuto, minorenne all’epoca del fatto, condannato a quindici anni
di reclusione per rapina pluriaggravata, detenzione di armi ed
omicidio volontario, il Magistrato di sorveglianza presso il
Tribunale per i minorenni di L’Aquila, con ordinanza emessa il 26
marzo 1998, pervenuta a questa Corte il 27 maggio 1998, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli
articoli 3 e 31, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 30-ter,
comma 4, lettera c) della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà), nella parte in cui si applica
ai minorenni.
Il remittente premette che, in relazione alla concreta situazione
del condannato, avrebbe concesso il permesso richiesto se non glielo
avesse impedito l’art. 30-ter comma 4, lettera c) dell’ordinamento
penitenziario, che condiziona, nei riguardi dei condannati per i
delitti di cui all’art. 4-bis dello stesso ordinamento, la
concessione di permessi premio all’avvenuta espiazione di almeno
metà della pena e comunque di non oltre dieci anni.
Affermata la rilevanza della questione, dalla cui soluzione dipende
la possibilità per il richiedente di fruire del permesso, e
richiamata la sentenza di questa Corte n. 227 del 1995 per quanto
riguarda la legittimazione del Magistrato di sorveglianza a sollevare
questioni di legittimità costituzionale in sede di decisione sulla
istanza di permesso premio, il remittente osserva che l’applicazione
della disposizione denunciata anche ai detenuti di età minore è
conseguente all’inerzia del legislatore, che non ha ancora dettato
una disciplina specifica per l’esecuzione delle pene nei confronti
dei minori, onde continua ad estendersi ai minorenni, in forza
dell’art. 79 della legge n. 354 del 1975, la disciplina prevista
dall’ordinamento penitenziario generale.
Il giudice a quo richiama poi la giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui l’assoluta parificazione tra minorenni e adulti, in
materia di ordinamento penitenziario, contrasta con l’esigenza di
flessibilità del trattamento del detenuto minorenne; ed afferma che
anche l’art. 30-ter comma 4, lettera c), della legge n. 354 del 1975
contrasta con detta esigenza. Infatti esso impedirebbe al giudice
qualsiasi valutazione della condotta del minore e, quindi, ogni
previsione individualizzata riguardo alla capacità di
risocializzazione della pena, in concreto.
L’impossibilità di fruire di permessi premio per un periodo, come
nella specie, eccessivamente lungo precluderebbe al minore uno
strumento indispensabile per la cura di interessi affettivi,
culturali e di lavoro. Lo stesso legislatore osserva il remittente ha
previsto, a favore dei minorenni, disposizioni specifiche dirette a
raggiungere le finalità rieducative particolari e tipiche
dell’esecuzione penale minorile.
Da ultimo il giudice a quo osserva che il venir meno della
preclusione automatica, oggi prevista, non escluderebbe che il
giudice possa valutare la richiesta di concessione del permesso alla
luce del presupposto di carattere generale della regolarità della
condotta del detenuto.
2. – Non vi è stata costituzione di parti, né intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri.
dell’art. 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative
della libertà), a cui tenore la concessione di permessi premio ai
condannati per i delitti previsti dall’art. 4-bis dello stesso
ordinamento penitenziario è preclusa prima che essi abbiano scontato
almeno la metà della pena, con un massimo di dieci anni: laddove lo
stesso comma 4, alle lettere a) e b) consente detta concessione, in
generale, nei confronti dei condannati all’arresto o alla reclusione
fino a tre anni, ovvero, nei confronti dei condannati a pene
superiori, dopo l’espiazione di almeno un quarto della pena.
Il dubbio di costituzionalità riguarda tale norma nella sola parte
in cui si applica ai minorenni. Esso si fonda sul richiamo al
principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) e al principio
di protezione dell’infanzia e della gioventù (art. 31, secondo
comma, della Costituzione), che sarebbero violati dall’applicazione
indiscriminata della norma ai condannati minori come ai condannati
adulti, in contrasto con la necessità di una disciplina che consenta
al giudice una valutazione individualizzata, al di fuori di rigidi
automatismi, riguardo alla idoneità della misura rispetto alle
esigenze di recupero sociale del minore.
2. – La questione è fondata.
Nella perdurante inerzia del legislatore, che non ha ancora dettato
una disciplina differenziata dell’esecuzione penale minorile, così
protraendo nel tempo l’estensione provvisoria ai condannati minori
dell’ordinamento penitenziario generale, sancita dall’art. 79 della
legge n. 354 del 1975, questa Corte ha censurato più volte norme di
tale ordinamento, o altre norme, che stabilivano preclusioni rigide
ed automatiche alla concessione di misure premiali, o alternative
alla detenzione, o di altri benefici, in quanto, applicandosi ai
minori, impedivano quelle valutazioni flessibili ed individualizzate
sulla idoneità ed opportunità delle misure o dei benefici medesimi,
che sono invece necessarie perché l’esecuzione della pena e in
genere la disciplina delle restrizioni alla libertà personale siano
conformi alle esigenze costituzionali di protezione della
personalità del minore (cfr. sentenze n. 46 del 1978, n. 125 del
1992).
Così la Corte ha escluso, in via interpretativa, che potesse
applicarsi ai minori una norma che vietava la concessione della
libertà provvisoria (sentenza n. 46 del 1978); ha censurato una
norma che precludeva l’applicazione dell’istituto della messa alla
prova, nell’ambito del processo minorile, quando l’imputato avesse
chiesto il giudizio abbreviato (sentenza n. 125 del 1995); ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale, nei soli riguardi dei
condannati minorenni, del divieto di disporre misure alternative alla
detenzione per l’esecuzione di pene detentive derivanti da
conversione di pena sostitutiva (sentenza n. 109 del 1997); ha
giudicato parimenti illegittima, ancora una voltanei soli riguardi
dei condannati minorenni, la norma dell’art. 30-ter comma 5,
dell’ordinamento penitenziario, che vieta la concessione di permessi
premio nei due anni successivi alla commissione, durante l’espiazione
della pena o l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà,
di un delitto doloso (sentenza n. 403 del 1997); ha, da ultimo,
escluso la legittimità costituzionale della estensione agli imputati
minorenni delle condizioni soggettive che precludono l’adozione di
pene sostitutive (sentenza n. 16 del 1998).
3. – La stessa ratio decidendi non può non valere nei riguardi
della presente questione. La norma impugnata è stata dettata
dall’art. 1 del d.l. n. 152 del 1991, in via di successiva modifica
dell’art. 30-ter (a sua volta inserito nell’ordinamento
penitenziario dall’art. 9 della legge n. 663 del 1986), che ha
introdotto l’istituto del permesso premio, al quale questa Corte ha
riconosciuto natura di misura premiale di incentivo alla
collaborazione del detenuto con l’istituzione carceraria, e di
strumento cruciale di rieducazione (sentenze n. 227 e n. 504 del
1995, n. 235 del 1996, n. 296 del 1997; e cfr. già la sentenza n.
188 del 1990).
La rigida preclusione alla concessione di permessi premio, prima
dell’espiazione di metà della pena, nei confronti dei condannati per
i delitti di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario,
introdotta nel quadro di un più generale e drastico inasprimento
delle condizioni per la concessione a tali condannati dei benefici
carcerari, è stata dettata dal legislatore in modo indiscriminato,
senza riguardo, ancora una volta, alle specifiche esigenze,
costituzionalmente imposte, dell’esecuzione minorile. Essa viene a
contrastare con tali esigenze, risolvendosi in un automatismo
incompatibile con la necessità di valutazioni flessibili e
individualizzate, in ordine all’impiego di un istituto – il permesso
premio – inteso a consentire a condannati, che non risultino
socialmente pericolosi, di “coltivare interessi affettivi, culturali
o di lavoro” (art. 30-ter comma 1, dell’ordinamento penitenziario):
strumento essenziale per perseguire efficacemente il progressivo
reinserimento della persona detenuta nella società, e dunque quella
finalità rieducativa, che deve essere assolutamente preminente
nell’esecuzione penale minorile (cfr. sentenze n. 168 del 1994, n.
109 e n. 403 del 1997). Tanto più che, trattandosi di condannati per
gravi delitti, e dunque a pene di non breve durata, tale preclusione
viene ad irrigidire per lunghi periodi il regime di esecuzione della
pena.
È d’altronde evidente che sopprimere la preclusione in esame nei
confronti dei condannati per delitti commessi in età minore non
significa per ciò stesso mettere in pericolo gli interessi generali,
relativi al contrasto della criminalità, che hanno spinto il
legislatore ad introdurre siffatta disciplina. Infatti la concessione
dei permessi premio resta pur sempre condizionata, oltre che agli
altri requisiti, non solo alla “regolare condotta” dei detenuti, ma
anche alla circostanza che essi non risultino socialmente pericolosi
(art. 30-ter comma 1), e che non vi siano elementi tali da far
ritenere sussistenti collegamenti con la criminalità organizzata od
eversiva (art. 4-bis comma 1, dello stesso ordinamento
penitenziario): resta dunque affidata al prudente apprezzamento di
tali condizioni da parte del magistrato di sorveglianza.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 4,
lettera c) della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento
penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà) nella parte in cui si riferisce ai minorenni.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola