Sentenza N. 492 del 1995
Corte Costituzionale
Data generale
04/12/1995
Data deposito/pubblicazione
04/12/1995
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/11/1995
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare
MIRABELLI, prof. Fernando Santosuosso, avv. Massimo VARI, dott.
Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo Zagrebelsky;
della Regione Campania 2 agosto 1982, n. 41 (Associazioni
professionali dei coltivatori diretti e dei loro istituti di
patronato. Concessione di contributi ordinari annuali), promosso con
ordinanza emessa il 17 dicembre 1993 dal Consiglio di Stato sul
ricorso proposto da UGC (Unione Generale Coltivatori) – CISL contro
la Regione Campania ed altri, iscritta al n. 269 del registro
ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, prima serie speciale, dell’anno 1995;
Visti gli atti di costituzione della Regione Campania e della
Federazione regionale coltivatori diretti della Campania;
Udito nell’udienza pubblica del 17 ottobre 1995 il Giudice relatore
Fernando Santosuosso;
Udito l’avv. Antonio Cochetti per la Federazione regionale
coltivatori diretti della Campania.
coltivatori) – CISL contro la Regione Campania per la riforma della
sentenza del TAR Campania che aveva respinto la richiesta di
annullamento della delibera della Giunta regionale n. 3048 del 24
maggio 1983, relativa alla ripartizione delle sovvenzioni dirette a
consentire la realizzazione delle finalità istituzionali delle
associazioni professionali di coltivatori diretti, il Consiglio di
Stato – sezione sesta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 39, 97 e 114 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione
Campania 2 agosto 1982, n. 41, nella parte in cui prevede che le
sovvenzioni annuali alle strutture delle associazioni professionali
dei coltivatori diretti vadano ripartite solo fra le associazioni
già individuate dalla stessa disposizione.
Il giudice rimettente ha ritenuto la questione rilevante in quanto
la delibera della Giunta regionale n. 3048 del 24 maggio 1983 è
stata adottata in esecuzione della legge della Regione Campania 2
agosto 1982, n. 41, sicché l’eventuale dichiarazione di
illegittimità costituzionale della legge impugnata dovrebbe condurre
ad una ripartizione delle sovvenzioni sulla base di criteri che
potrebbero far ricomprendere fra i beneficiari la UCG-CISL.
Quanto alla fondatezza, il giudice a quo non esclude
l’ammissibilità di leggi-provvedimento, quale è certamente la legge
regionale in esame, ma osserva che le scelte contenute in leggi
siffatte debbano essere motivate e non essere viziate da
“irragionevolezza” ed “arbitrarietà”. Nella fattispecie, invece, il
legislatore non avrebbe fornito alcuna spiegazione della scelta di
favore per alcune organizzazioni di lavoratori, prevedendo che le
sovvenzioni annuali alle strutture delle associazioni professionali
dei coltivatori diretti siano ripartite soltanto fra le associazioni
già individuate nella stessa legge, in contrasto con i principi
contenuti negli artt. 3, 39 e 97 della Costituzione.
Inoltre, il legislatore avrebbe disatteso quel principio della
legislazione statale che impone di attribuire rilievo all’effettivo
grado di rappresentatività delle organizzazioni delle categorie di
lavoratori e alle confederazioni sindacali maggiormente
rappresentative su base nazionale, così violando l’art. 117 della
Costituzione.
2. – Nel giudizio avanti alla Corte costituzionale si è costituito
il Presidente della Regione Campania concludendo per la declaratoria
di non fondatezza della sollevata questione.
Pur non contestando che l’ordinamento statale, in ossequio ai
principi del pluralismo partecipativo e della libertà di
associazione sindacale, dia rilievo alle organizzazioni maggiormente
rappresentative su base nazionale, la difesa ha rilevato che il
legislatore regionale avrebbe rispettato il principio della “maggior
rappresentatività” nell’individuare le associazioni beneficiarie
delle sovvenzioni e che la scelta adottata sarebbe ragionevole,
poiché coerente con l’obiettivo di concentrare le sovvenzioni in
favore di quelle associazioni che, in quanto istituzionalmente
preposte con carattere di preminenza, continuità ed effettività
alla tutela degli interessi della categoria dei coltivatori diretti,
garantirebbero la proficua utilizzazione delle sovvenzioni. Su questa
base chiede che sia dichiarata infondata la questione di
costituzionalità in esame.
3. – È pure intervenuta la Federazione regionale coltivatori
diretti della Campania (aderente alla Confederazione nazionale
coltivatori diretti) presentando deduzioni in difesa della
costituzionalità della legge impugnata. In particolare la difesa ha
osservato che la legificazione di scelte ordinariamente demandate
all’Amministrazione non è di per sé incostituzionale se, con
criteri ragionevoli, mira a circoscrivere la discrezionalità
amministrativa. Inoltre asserisce la scarsa rappresentatività dei
coltivatori diretti da parte della UGC, assumendo, pertanto, che in
ogni caso il legislatore regionale non avrebbe violato il principio
della “maggior rappresentatività”.
1 della legge della Regione Campania 2 agosto 1982, n. 41,
prevedendo che le sovvenzioni annuali alle strutture regionali delle
associazioni professionali dei coltivatori diretti siano ripartite
soltanto fra le associazioni già individuate nella stessa legge, e
non considerando l’effettivo grado di rappresentatività delle
associazioni beneficiarie delle sovvenzioni, violi:
l’art. 3 della Costituzione, in quanto il legislatore regionale,
effettuando una scelta di favore per alcune organizzazioni di
lavoratori agricoli non assistita dal requisito della ragionevolezza
e della non arbitrarietà, introdurrebbe una disparità di
trattamento di situazioni omogenee;
l’art. 39 della Costituzione, in quanto tale disparità di
trattamento sarebbe incompatibile con i principi del pluralismo
partecipativo e della libertà associativa;
l’art. 97 della Costituzione, in quanto contrasterebbe con il
principio di buon andamento della amministrazione;
l’art. 117 della Costituzione, in quanto il legislatore
regionale, identificando in via normativa le associazioni dei
coltivatori diretti beneficiari dei contributi, avrebbe disatteso il
principio della legislazione statale in base al quale va attribuito
rilievo all’effettivo grado di rappresentatività delle
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base
nazionale.
2. – La questione è fondata.
Va premesso che la legge impugnata, indicando nominativamente e
tassativamente le associazioni beneficiarie dei contributi, nonché
le altre condizioni per la ripartizione degli stessi, priva
l’amministrazione di ogni discrezionalità, per cui essa si ascrive
nel novero delle c.d. leggi-provvedimento, quelle cioè con un
contenuto concreto e particolare.
Questa Corte ha più volte ritenuto ammissibile la legificazione,
anche a livello regionale, di scelte che di regola sono compiute
dall’amministrazione attiva, purché ciò avvenga entro certi limiti,
come quello del rispetto della funzione giurisdizionale in ordine
alla decisione delle cause in corso, e soprattutto quello generale
costituito dal principio della ragionevolezza e non arbitrarietà (ex
plurimis sentenze n. 346 del 1991 e n. 143 del 1989).
La legittimità di questo tipo di leggi, quindi, va accertata
considerando detti limiti, non tanto riguardo ai motivi della scelta
della forma legislativa per un’attività di amministrazione, quanto
piuttosto in relazione al suo specifico contenuto. Per compiere tale
accertamento di legittimità, la Corte deve passare ora all’esame
delle diverse censure sollevate dall’ordinanza di rimessione.
3. – Nell’economia della decisione – prima di considerare il
rilievo circa l’insufficiente motivazione per la legificazione del
provvedimento – è opportuno muovere dai principi riferibili
prevalentemente all’art. 39 della Costituzione, e cioè al dovuto
rispetto dell’uguaglianza e della libertà sindacale, nonché del
pluralismo partecipativo.
In particolare, qualora una legge preveda il concorso delle
associazioni sindacali, essa deve operare cercando di assicurare
possibilmente a tutte le organizzazioni il pari trattamento; e, se
una selezione si renda necessaria, il criterio è quello della
“maggiore rappresentatività”, da accertarsi non una volta per tutte,
ma in modo da consentire una periodica verifica, tenuto conto del suo
mutevole grado di effettività. Fra gli indici di rappresentatività
il dato quantitativo, costituito dalla misura di adesione formale al
sindacato, ha una grande rilevanza, ma non possono essere trascurati
altri indici come quello della maggiore attitudine ad esprimere gli
interessi dei lavoratori, specie in relazione all’attività svolta
per la composizione dei conflitti.
Se i predetti elementi, e in particolare quello quantitativo,
appaiono chiaramente giustificati in ordine alla scelta di
rappresentanti dei lavoratori in organi collegiali o in diverse
attività di natura sindacale, essi sono utilizzati anche per altri
scopi (come la ripartizione di sovvenzioni promozionali) in quanto la
“maggiore rappresentatività” risponde ad un criterio di
meritevolezza e alla ragionevole esigenza, da una parte, di far
convergere condizioni più favorevoli o mezzi di sostegno operativo
verso quelle organizzazioni che sono maggiormente in grado di
tutelare gli interessi dei lavoratori, e dall’altra, di evitare che
l’eccessiva estensione dei beneficiari possa vanificare gli scopi
promozionali che si intendono perseguire.
4. – Ai fini di queste operazioni selettive, il criterio della
“maggiore rappresentatività” delle diverse organizzazioni sindacali
è stato ampiamente affermato in dottrina e giurisprudenza, ed è
desumibile da numerose norme del nostro ordinamento.
Già nell’art. 39 della Costituzione – a proposito della stipula di
contratti collettivi efficaci per tutti gli appartenenti alle
categorie alle quali il contratto si riferisce – si parla delle
rappresentanze dei sindacati “in proporzione dei loro iscritti”.
La rilevanza del diverso grado di rappresentatività delle
associazioni di categoria – prevista frequentemente per diverse
finalità e con formule non sempre uguali nella legislazione
ordinaria – viene riferita dalle disposizioni a vari elementi di
carattere anche indiziario. Proprio dalla molteplicità di questi
elementi consegue che il predetto principio resta un parametro
giuridicamente rilevante anche per quelle norme che fanno rinvio alla
nozione contenuta nell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori (legge n.
300 del 1970).
Ed invero, pur se l’espressione “confederazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale” di cui alla disposizione sopra
citata è stata abrogata dal d.P.R. n. 312 del 1995 in esito al
referendum indetto col d.P.R. 5 aprile 1995, il criterio del grado di
rappresentatività continua ad avere la sua rilevanza in forza
dell’altro indice previsto dalla stessa norma, e precisamente di
quello che fa riferimento alle associazioni sindacali che siano
firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità
produttiva. Viene così valorizzata l’effettività dell’azione
sindacale – desumibile dalla partecipazione alla formazione della
normativa contrattuale collettiva – quale presunzione di detta
“maggiore rappresentatività”.
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo alle
rappresentanze sindacali nel pubblico impiego (art. 47 nel testo
risultante dal decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546), pur
considerando gli effetti del referendum indetto con il citato d.P.R.
5 aprile 1995.
5. – Non sembra qui necessario approfondire se la “maggiore
rappresentatività” debba qualificarsi solo come criterio, ossia come
concreto meccanismo di buona amministrazione per operare la selezione
fra associazioni sindacali, oppure se esso assurga a dignità di vero
e proprio principio normativo, dal momento che tale indagine sarebbe
rilevante unicamente al fine di circoscrivere ma non di eliminare il
contrasto con i vari parametri costituzionali invocati.
Né appare decisivo esaminare se – ove si tratti di un principio –
questo debba inquadrarsi fra i principi fondamentali statali di
singole materie che, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione,
vincolano la competenza legislativa regionale, oppure se esso abbia
natura di principio generale dell’ordinamento giuridico, comune a
molteplici settori o materie. Ed invero la giurisprudenza di questa
Corte si è ormai consolidata nel senso che, nei rapporti tra la
legislazione statale e quella regionale, i principi sono in ogni caso
ricavabili dall’intera legislazione statale vigente (sentenze nn.
1107, 1007 e 623 del 1988).
6. – In modo specifico, la giurisprudenza della Corte ha più volte
riconosciuto la valenza del principio della “maggiore
rappresentatività” (sentenze nn. 975 e 334 del 1988, 54 del 1974, 2
del 1969 ed altre).
Già nel 1974, con la sentenza n. 54, questa Corte, con riferimento
agli artt. 3 e 39 della Costituzione, aveva affermato la legittimità
della diversificazione di trattamento a favore delle organizzazioni
sindacali in relazione ai criteri selettivi rivelatisi sul piano
rappresentativo e quindi meritevoli di condizioni più favorevoli di
quelle garantite a tutte le associazioni dall’art. 14 dello Statuto.
La finalità promozionale e incentivante dell’attività delle
organizzazioni sindacali che riescono ad essere portatrici di
interessi più ampi di quelli di un ristretto ambito di lavoratori è
stata poi evidenziata dalla sentenza n. 30 del 1990; e l’esigenza di
questa tutela speciale permane – come si è detto – anche dopo il
menzionato recente referendum.
Con la pronuncia n. 975 del 1988 è stato ancora evidenziato che
nel nostro ordinamento vige un principio organizzativo operante
attraverso un meccanismo di selezione delle associazioni legittimate,
imperniato sul concetto di maggiore rappresentatività del sindacato.
In effetti questo principio trova la sua ragionevole
giustificazione nell’esigenza di assicurare ad ogni associazione di
categoria la possibilità di essere comparata con le altre, senza
cristallizzare una valutazione che deve rimanere fluida, atteso che
la “rappresentatività” è per sua natura soggetta a variazioni sia
in aumento che in diminuzione; per cui non pare consentito perpetuare
una situazione che deve invece essere considerata contingente.
Il riconoscimento del canone della “maggiore rappresentatività”
sindacale, nonché le tematiche relative alla sua verifica e alle sue
conseguenze, trovano infine riscontro nella notevole elaborazione
della giurisprudenza ordinaria.
7. – Nel caso che ha dato luogo alla citata sentenza n. 975 del
1988, fu ritenuta illegittima la legge della Provincia di Bolzano
nella parte in cui prevedeva che i due rappresentanti degli artigiani
nella Commissione per l’assistenza creditizia all’artigianato fossero
scelti su designazione soltanto dell’Associazione provinciale
dell’artigianato anziché da parte delle organizzazioni artigianali
più rappresentative della Provincia. In quella occasione la Corte
osservò che “la legge non può individuare a priori, una volta per
tutte, una o più determinate organizzazioni come maggiormente
rappresentative, ma deve rimettere tale determinazione all’autorità
amministrativa preposta alla nomina, la quale volta per volta
valuterà comparativamente il rispettivo grado di rappresentatività
delle associazioni sindacali esistenti”. E non vale osservare –
soggiunse la Corte – “che il forte divario tra il numero degli
iscritti all’Associazione provinciale dell’artigianato e quello degli
iscritti all’Unione artigiani esclude di fatto, a cagione della
limitatezza dei posti disponibili (due), che la seconda possa
pretendere l’assegnazione di un posto a un proprio candidato. Come
già si è detto, il dato quantitativo-numerico, pur avendo un
rilievo prioritario, non è un criterio esclusivo del giudizio di
maggiore rappresentatività. D’altra parte, come rileva il giudice
rimettente, il privilegio rigidamente attribuito a una determinata
organizzazione può scoraggiare l’adesione alle altre, sicché il
minore livello di affiliazione a queste finisce con l’essere, almeno
in parte, proprio una conseguenza pregiudizievole della norma di cui
si controverte”.
8. – Nella presente fattispecie, non sussistono motivi per
discostarsi dalla pronuncia ora ricordata. Anche in questo caso,
infatti – mentre appare ragionevole la motivazione, secondo cui nella
distribuzione dei contributi promozionali debba essere compiuta una
selezione fra le associazioni di settore per evitare l’eccessiva
frammentazione dei detti sussidi a troppi organismi esponenziali –
risulta invece leso il principio della “maggiore rappresentatività”
come sopra precisato.
Ed invero, anche se si convenisse (con la Regione e con la difesa
della prima delle quattro associazioni di categoria indicate dalla
legge) che la quinta associazione, quella ricorrente, non abbia, al
momento, una consistente rappresentatività, ciò non sarebbe
sufficiente per ritenere legittima una norma che cristallizza la
misura della rappresentatività stessa – che è per sua natura fluida
– con una disciplina permanente della concessione di sovvenzioni
annuali soltanto a determinate associazioni.
Il legislatore regionale avrebbe potuto compiere direttamente una
valutazione comparativa fra le associazioni operanti nell’ambito
della regione, ma limitando nel tempo la scelta effettuata con
riferimento al periodo di prevedibile permanenza dell’effettivo grado
di rappresentatività delle associazioni medesime, senza trascurare
comunque l’esigenza di periodiche verifiche dell’effettiva
rappresentatività del sindacato e quindi della meritevolezza
dell’accesso alla tutela privilegiata.
D’altra parte molte regioni hanno legislativamente operato la
selezione delle associazioni beneficiarie delle sovvenzioni
promozionali sulla base della predetta “maggiore rappresentatività”,
ma senza indicare nominativamente quelle da prescegliere.
9. – La norma impugnata va perciò dichiarata costituzionalmente
illegittima, per violazione del principio di cui all’art. 39 della
Costituzione – restando assorbite le censure riferite agli altri
parametri costituzionali – nella parte in cui prevede la concessione
di sovvenzioni annuali alle strutture regionali dei coltivatori
diretti limitatamente alle associazioni ivi indicate, anziché alle
associazioni professionali dei coltivatori diretti maggiormente
rappresentative nella Regione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge
della Regione Campania 2 agosto 1982, n. 41 (Associazioni
professionali dei coltivatori diretti e dei loro istituti di
patronato. Concessione di contributi ordinari annuali), nella parte
in cui prevede la concessione di sovvenzioni annuali alle strutture
regionali dei coltivatori diretti limitatamente alle associazioni ivi
indicate, anziché alle associazioni professionali dei coltivatori
diretti maggiormente rappresentative nella Regione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 novembre 1995.
Il presidente: Ferri
Il redattore: Santosuosso
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 4 dicembre 1995.
Il direttore della cancelleria: Di Paola