Sentenza N. 531 del 1988
Corte Costituzionale
Data generale
12/05/1988
Data deposito/pubblicazione
12/05/1988
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/05/1988
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,
prof. Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI,
prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
gennaio 1983, n. 17 (“Misure per il contenimento del costo del lavoro
e per favorire l’occupazione”) convertito in legge 25 marzo 1983, n.
79 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29
gennaio 1983, n. 17, recante misure per il contenimento del costo del
lavoro e per favorire l’occupazione”), promossi con n. 3 ordinanze
emesse il 21 giugno 1984 dal Tribunale amministrativo regionale della
Liguria sui ricorsi proposti da Trebino Graziana, Manfredi Giuseppina
e Terzer Maria Rosa contro il Ministero del Tesoro ed altri, iscritte
ai nn. 678, 679 e 680 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale,
dell’anno 1986;
Visti l’atto di costituzione di Terzer Maria Rosa nonché gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice
relatore Gabriele Pescatore;
Udito, alla presenza dell’avv. Ludovico Villani, costituito fuori
termine, l’Avvocato dello Stato Luigi Sicoralfi per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
ordinanze in data 21 giugno 1984 – emesse nel corso di giudizi
promossi avverso provvedimenti di liquidazione di trattamenti
pensionistici, nei quali si faceva applicazione dell’art. 10 del
d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17 (conv. con modificazioni nella l. 25
marzo 1983, n. 79), – ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 36 e 38 Cost. e sotto il
profilo dell’eccesso di potere legislativo, di tale art. 10 del D.L.
29 gennaio 1983, n. 17, nella parte in cui dispone che al personale
avente diritto all’indennità integrativa speciale, a partire
dall’entrata in vigore di detto decreto, ove presenti domanda di
pensionamento anticipato, la misura dell’indennità, da corripondersi
in aggiunta alla pensione, deve essere determinata in ragione di un
quarantesimo, per ogni anno di servizio utile ai fini del trattamento
di quiescenza, dell’importo dell’indennità stessa spettante al
personale collocato in pensione con la massima anzianità di
servizio.
La norma contrasterebbe con gli artt. 36 e 38 Cost. (cfr. n. 3) e,
pur non disconoscendosi che rientra nella discrezionalità
legislativa disciplinare con minor favore, rispetto alla disciplina
previgente, il trattamento di quiescenza dei pubblici dipendenti, a
seconda dell’anzianità maturata al momento delle dimissioni,
nell’ordinanza di rimessione si rileva che le modificazioni normative
debbono rispondere a criteri di ragionevolezza, dando luogo,
altrimenti, ad eccesso di potere legislativo. La norma impugnata,
secondo il giudice a quo, sarebbe censurabile anche sotto tale
profilo, avendo operato una decurtazione così sensibile
dell’indennità integrativa speciale, “da pregiudicare l’intero
trattamento economico del dipendente” pensionatosi anticipatamente,
ledendo anche il principio del divieto della reformatio in peius dei
trattamenti retributivi e di quiesenza, nonché le legittime
aspettative dei pubblici dipendenti.
Davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
L’Avvocatura generale dello Stato rileva al riguardo che, secondo
quanto ha affermato questa Corte, il legislatore può legittimamente
adeguare la retribuzione alle variazioni del costo della vita con
interventi adottati di volta in volta, senza essere vincolato
all’adozione di meccanismi automatici, i quali costituiscono uno dei
possibili strumenti di attuazione dei precetti contenuti nell’art. 36
Cost. Pertanto, come non può negarsi al legislatore la facoltà di
“desensibilizzare” o “rallentare” il detto meccanismo rivalutativo,
ove ciò appaia rispondente a finalità d’ordine sociale, politico o
economico di portata generale, a maggior ragione deve ritenersi
razionale una disciplina che, in vista dell’identico fine di
contenimento della spesa pubblica e di salvaguardia del potere di
acquisto reale delle retribuzioni, operi sui trattamenti di fine
rapporto.
Quanto agli altri profili prospettati dal giudice a quo, nelle
note depositate si rileva che il richiamo all’art. 38 Cost. non è
pertinente, poiché tale norma, secondo l’insegnamento di questa
stessa Corte, non fornisce parametri atti a consentire la verifica
della legittimità della disciplina delle retribuzioni degli
impiegati e dei conseguenti trattamenti pensionistici. In ogni caso,
la tutela da essa accordata al lavoratore, non esclude ma, al
contrario, presuppone la discrezionalità del legislatore
nell’apprestamento graduale dei mezzi necessari a renderla concreta:
mezzi che debbono tener conto delle risorse finanziarie disponibili.
Si è costituita una delle parti dei giudizi a quibus, chiedendo
la declaratoria d’illegittimità costituzionale delle norme
impugnate.
Si è costituito anche lo SNALS-CONSAL – che aveva spiegato
intervento adesivo dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per
la Liguria dopo che questo aveva sospeso i giudizi e rimesso gli atti
alla Corte costituzionale – chiedendo declaratoria d’illegittimità
costituzionale della normativa impugnata.
costituzione dello SNALS-CONSAL, intervenuto davanti al Tribunale
amministrativo regionale della Liguria dopo che erano state
depositate, in data 21 giugno 1984, le tre ordinanze di rimessione
degli atti alla Corte costituzionale ed i relativi giudizi erano
stati sospesi.
Infatti, come è stato ripetutamente affermato da questa Corte
(Sentenze 7 aprile 1988, n. 412; 25 febbraio 1988, n. 220), nei
giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale, sono
legittimate a costituirsi dinanzi alla Corte costituzionale soltanto
le parti del giudizio a quo che, al momento del deposito (o della
lettura in dibattimento dell’ordinanza di rimessione), avevano tale
qualifica.
Poiché lo SNALS-CONSAL si è costituito davanti al Tribunale
amministrativo regionale della Liguria dopo il deposito
dell’ordinanza di rimessione, la costituzione dello SNALS-CONSAL è
inammissibile.
Va, poi, dichiarata l’irricevibilità della costituzione
dell’altra parte privata (Terzer Maria Rosa), perché avvenuta dopo
il decorso del termine previsto dall’art. 25 della l. n. 87 del 1953
e 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
Infatti la costituzione è avvenuta il 6 maggio 1986, mentre
l’ordinanza era stata notificata il 2 aprile 1985 e pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale del 26 febbraio 1986.
3. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha
sollevato questione di legittimità costituzionale – in
riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione e sotto il profilo
dell'”eccesso di potere legislativo” – dell’art. 10 del d.-l. 29
gennaio 1983, n. 17, conv. nella l. 25 marzo 1983, n. 79. Tale norma
è censurata nella parte in cui dispone che, a partire dalla sua
entrata in vigore, per il personale avente diritto all’indennità
integrativa speciale, il quale presenti domanda di pensionamento
anticipato, la misura dell’indennità, da corrispondersi in aggiunta
alla pensione, deve essere determinata in ragione di un quarantesimo,
per ogni anno di servizio, dell’importo dell’indennità stessa
spettante al personale collocato in pensione con la massima
anzianità di servizio.
Secondo il giudice a quo la norma impugnata contrasterebbe con gli
artt. 36 e 38 della Costituzione, perché il trattamento di
quiescenza è proiezione di quello di attività ed, essendo
l’indennità integrativa speciale strumento di attuazione delle
garanzie previste da tali articoli, la sua riduzione lederebbe i
precetti in essi contenuti. Inoltre, la norma impugnata opererebbe
una decurtazione così sensibile dell’indennità integrativa speciale
da rivelarsi irrazionale, violando il principio del divieto di
reformatio in peius dei trattamenti retributivi e di quiescenza,
nonché le legittime aspettative dei pubblici dipendenti.
La questione non è fondata.
4. – L’art. 10 del d.-l. n. 17 del 1983, nel testo originario,
prevedeva che per il personale avente diritto all’indennità
integrativa speciale, il quale cessasse dal servizio a partire dalla
entrata in vigore di tale norma, la misura dell’indennità stessa, da
corrispondere in aggiunta alla pensione, fosse determinata in ragione
di un quarantesimo per ogni anno di servizio utile ai fini del
trattamento di quiescenza e che le variazioni dell’indennità
integrativa speciale dovessero essere determinate, per il futuro, in
detta misura, per la generalità del personale in quiescenza. Tale
sistema di computo dell’indennità integrativa era (ed è) destinata
a cessare dalla data del raggiungimento dell’età di pensionamento da
parte del titolare della pensione, ovvero dalla data di decorrenza
della pensione di riversibilità in favore dei superstiti.
La ratio della disposizione – più estesa e rigorosa di quella
approvata in sede di conversione del decreto-legge – era identificata
nella relazione ministeriale alla Camera dei deputati
nell’opportunità di correlare l’importo dell’indennità integrativa
“all’anzianità di servizio, come previsto per il trattamento
pensionistico fondamentale”, così da evitare che il personale
cessato dal servizio con anzianità minima o inferiore a quella
massima, venisse a percepire lo stesso importo spettante al personale
provvisto di quest’ultima anzianità.
Il testo originario fu emendato dalla Commissione lavoro, che
limitò la disposizione dell’art. 10 ai soli casi di cessazione dal
servizio a domanda ed eliminò la sua operatività – per gli aumenti
dell’indennità integrativa successivi alla sua entrata in vigore –
anche riguardo al personale già in quiescenza.
In tal modo la ratio originaria fu in parte corretta e la norma fu
diretta unicamente a disincentivare il ricorso ai pensionamenti
anticipati. Come è affermato nella relazione al Senato (in
conformità, all’avviso espresso dal relatore alla Camera dei
deputati), si tendeva così a limitare gli abusi determinati dalla
“perversione” del meccanismo risultante dal cumulo della pensione con
l’indennità integrativa speciale. Tale meccanismo aveva reso
possibile, attraverso il pensionamento a domanda, il conseguimento di
una pensione in ammontare quasi pari al massimo soltanto dopo pochi
anni di servizio a percettori in età ancora giovanile.
La disposizione impugnata non è, pertanto, applicabile nei casi
di cessazione dal servizio per ragioni indipendenti dalla volontà
del pubblico dipendente, né ai pensionamenti già in atto, qualunque
ne sia stata la ragione. È dovuto in ogni caso al personale un
emolumento pari all’indennità integrativa speciale spettante per
effetto del decreto del Ministro per il tesoro 22 novembre 1982 (art.
10, secondo comma). La differenza dell’importo su detto e quello che
sarebbe spettato in proporzione dell’anzianità di servizio utile ai
fini pensionistici, è corrisposto a titolo di assegno personale
riassorbibile in occasione delle successive variazioni
dell’indennità (art. 10, comma terzo).
5. – Questa Corte ha affermato (Sentenza 13 marzo 1986, n. 26) che
la determinazione della base retributiva, utile ai fini del
trattamento di quiescenza, appartiene alla discrezionalità del
legislatore e che l’art. 36 Cost. estende l’ambito della sua tutela
tanto alla retribuzione corriposta nel corso del rapporto di lavoro
quanto a quella differita alla cessazione di tale rapporto e
attribuita sotto forma di trattamento pensionistico (Corte cost. 26
luglio 1979, n. 83; 10 ottobre 1983, n. 302). È devoluto a tale
discrezionalità disporre in merito ai modi e alla misura del
trattamento (sentt. 7 luglio 1976, n. 151; 23 luglio 1974, n. 251).
Parimenti, in riferimento all’art. 38 Cost., questa Corte ha
affermato che appartiene alla sfera legislativa la determinazione
dell’ammontare delle prestazioni previdenziali e delle loro
variazioni, attraverso una congrua valutazione che contemperi le
esigenze di vita dei lavoratori, che ne sono beneficiari, e le
disponibilità finanziarie (sentt. 7 luglio 1986, n. 173; 22 novembre
1985, n. 300; 10 novembre 1982, n. 180).
Quanto poi al meccanismo di (parziale) indicizzazione delle
retribuzioni, attraverso l’indennità integrativa speciale e
l’indennità di contingenza, spetta del pari al legislatore adeguare
le retribuzioni alle variazioni del costo della vita attraverso tali
meccanismi ovvero con interventi adottati di volta in volta;
(sentenze 7 febbraio 1985, n. 34 e 14 aprile 1980, n. 43).
La disposizione impugnata – che non incide sui trattamenti di
quiescenza in atto e non lede perciò diritti quesiti – non travalica
i limiti di detta discrezionalità, ma, anzi, introduce un elemento
di razionalizzazione nel sistema pensionistico. Tale sistema diventa,
all’opposto, sperequato ove la pensione sia costituita da un
trattamento di base inferiore a quello erogato a titolo di indennità
integrativa speciale. Attribuendo a tutti i pensionati la stessa
indennità integrativa e rapportando il solo trattamento di base agli
anni di servizio, si realizzerebbe, infatti, una situazione
ingiustificatamente vantaggiosa in caso di pensionamento anticipato.
Il legislatore, con l’impugnato art. 10, nel testo modificato in
sede di conversione del d.-l. n. 17 del 1983, ha avuto cura, facendo
buon uso della sua discrezionalità, di assicurare il su detto
trattamento in tutti i casi in cui il pensionamento anticipato
avvenga per cause indipendenti dalla volontà del dipendente. Lo ha
variato invece, riducendo l’indennità integrativa e rapportandola
agli anni di servizio prestato, ove il pensionamento avvenga “a
domanda”; per effetto, quindi, di una scelta volontaria, dalla quale
deriva la cessazione anticipata della prestazione dell’attività
lavorativa. Non si commette, in tal guisa, eccesso di potere
legislativo, non esorbitandosi in alcun modo dalla finalità
specifica, prefissata dal legislatore, anzi realizzandola in modo
completo ed organico. Invero, in relazione al fine normativamente
perseguito dall’indennità integrativa speciale, questa viene
opportunamente ragguagliata all’entità del lavoro prestato. Con
riguardo al trattamento che la disciplina attribuisce ai dipendenti
che abbiano prestato, per un più ampio periodo di tempo, attività
di lavoro, si sancisce il principio che essi hanno titolo alla
maggior entità della corresponsione proprio con riguardo alla
maggiore quantità di lavoro prestato. Di conseguenza, la legge,
lungi dal realizzare una differenziata ed ingiustificabile, e perciò
arbitraria, sperequazione tra le due categorie, adegua le sue norme
proprio alle diverse posizioni secondo una razionale visione e un
buon governo di tali diversità.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10 del d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17 (“Misure per il
contenimento del costo del lavoro e per favorire l’occupazione”)
conv. con modificazioni nella l. 25 marzo 1983, n. 79, sollevata con
le ordinanze indicate in epigrafe (r.o. n. 678, 679 e 680 del 1985)
del Tribunale amministrativo regionale della Liguria, in riferimento
agli artt. 36 e 38 Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: PESCATORE
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 12 maggio 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI