Sentenza N. 61 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
03/04/1969
Data deposito/pubblicazione
03/04/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/03/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE, Giudici.
lett. f, 6 e 10 della legge 30 aprile 1962, n. 283, concernente la
disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze
alimentari e delle bevande, promossi con quattro ordinanze emesse il 24
giugno 1966 dal pretore di Milano in altrettanti procedimenti penali
rispettivamente a carico di Casella Ettore, Branca Pierluigi, Catenacci
Mario e Marsure Gianni, iscritte ai nn. 140, 141, 142 e 143 del
Registro ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 208 del 19 agosto 1967.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 29 gennaio 1969 la relazione del
Giudice Giuseppe Verzì;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
L’art. 5, lett. f della legge 30 aprile 1962, n. 283, sancisce il
divieto di impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, di
vendere, di detenere per vendere o somministrare ai propri dipendenti o
comunque distribuire per il consumo sostanze colorate artificialmente,
quando la colorazione non sia autorizzata, o, nel caso che sia
autorizzata, senza l’osservanza delle norme prescritte. E l’art. lo
della stessa legge conferisce al Ministro per la sanità il potere di
approvare con proprio decreto l’elenco dei colori che possono essere
impiegati nella colorazione delle sostanze alimentari, determinandone
le caratteristiche fisico-chimiche, gli standards di purezza, i metodi
di dosaggio negli alimenti e le modalità di uso. Avvalendosi di tale
potere, il Ministro, con decreto del 19 gennaio 1963, non solo ha
approvato l’elenco dei coloranti e degli alimenti di cui è autorizzata
la colorazione, ma ha reso altresì obbligatoria, sulla confezione
degli alimenti colorati artificialmente, la dicitura, a caratteri
indelebili e chiaramente leggibili, “colorati con.. ” seguita dalla
denominazione e dal numero dei coloranti impiegati (artt. 3 e 7). La
violazione di tali disposizioni è punita con la pena dell’ammenda.
Nel corso di quattro procedimenti penali a carico di Marsure
Gianni, Casella Ettore, Branca Pierluigi e Catenacci Mario, denunziati
per avere prodotto e venduto sostanze e bevande alimentari colorate
artificialmente senza indicare il nome e la sigla delle materie
coloranti impiegate, il pretore di Milano ha ritenuto che la norma la
quale conferisce al Ministro il potere di determinare le “modalità di
uso dei coloranti” violi la riserva di legge sancita dall’art. 25,
secondo comma, della Costituzione e, con quattro distinte ordinanze di
identico contenuto ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 5, lett. f, 6 e 10 della legge
sopraindicata.
Nelle ordinanze si precisa che l’obbligo imposto con un decreto
ministeriale della indicazione sulle confezioni dei nomi e delle sigle
dei coloranti impiegati costituisce un precetto nuovo e diverso da
quello contenuto nell’art. 5, lett. f della legge, che prescrive
soltanto l’indicazione della colorazione artificiale.
Le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 208 del 19
agosto 1967.
Nel presente giudizio, non vi è stata costituzione di parti, ma è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, assistito e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
L’Avvocatura dello Stato ritiene che la questione sia infondata.
Alla stregua dell’orientamento della Corte costituzionale, desumibile
dalla sentenza n. 26 del 1966, non può fondatamente pretendersi che le
modalità di uso, di cui all’art. 10 della legge n. 283 del 1962,
debbano trovare esplicita analitica indicazione di contenuto e di
limiti nella legge. Ed invero anche nel caso in esame si può affermare
quanto è stato rilevato in detta sentenza, e cioè che, come vi sono
esigenze tecniche che inducono il legislatore ad affidare al Ministro
per la sanità il compito di stabilire quali sono i coloranti non
vietati, determinandone le caratteristiche fisico-chimiche, gli
standards di purezza, ecc. così sono esclusivamente tecnici i criteri
ai quali la predetta autorità amministrativa deve ispirarsi nel porre
le relative disposizioni, ivi comprese quelle attinenti alle modalità
di uso dei coloranti stessi.
E qualora l’autorità amministrativa superasse i limiti insiti
nella funzione di mero completamento della fattispecie penale – già
individuata e delineata nella disposizione di legge – il provvedimento
sarebbe impugnabile non per illegittimità costituzionale ma per mezzo
dei normali rimedi all’uopo approntati dall’ordinamento.
Secondo le ordinanze di rimessione, l’art. 10 della legge 30 aprile
1963, sarebbe viziato di illegittimità, nella parte in cui prescrive
che il Ministro per la sanità, non soltanto approva, con suo decreto,
l’elenco dei colori che possono essere impiegati nella colorazione
delle sostanze alimentari, ma determina altresì i casi di impiego e le
“modalità d’uso” dei coloranti. In virtù di questa amplissima
discrezionalità, il Ministro ha emanato, con decreto del 19 gennaio
1963, la norma secondo la quale gli alimenti colorati artificialmente
debbono recare sulla confezione – o, se venduti sfusi, sul cartello
denominante l’alimento – la dicitura: “colorato con… seguita dalla
denominazione, o dal numero del – o dei – coloranti impiegati” (art.
3). Poiché il contravventore a questa disposizione, è punito a
termini dell’art. 6 della legge sopraindicata, la sanzione penale
verrebbe comminata per un precetto posto in essere da un atto
amministrativo, anziché dalla legge, con violazione quindi dell’art.
25 della Costituzione, per cui nessuno può essere punito se non in
forza della legge.
La questione non è fondata.
L’art. 5, lett. f della legge n. 283 del 1962 contiene non soltanto
il divieto di usare sostanze coloranti non autorizzate, ma anche
l’obbligo della indicazione “a caratteri chiari ben leggibili” della
colorazione. L’art. 3 del decreto ministeriale 19 gennaio 1963,
prescrivendo quanto innanzi specificato, non ha creato affatto un
obbligo nuovo o diverso, siccome ritiene il pretore di Milano, ma si è
limitato a dare dettagli, sicché il precetto penale è dettato dalla
norma di legge e non dall’atto amministrativo.
Comunque, per quanto riguarda le ulteriori specificazioni, va
considerato che con la sentenza n. 26 del 1966 questa Corte ha deciso
che il principio di legalità della pena può considerarsi soddisfatto
quando la legge indichi con sufficiente specificazione i presupposti, i
caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell’autorità non
legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena. Orbene,
da un canto il termine “modalità di uso” non consente arbitrarie
dilatazioni, ponendo di per se stesso un limite di applicazione a
quelle modalità che sono normalmente usate secondo criteri suggeriti
dalla tecnica in casi simili. Dall’altro, la norma in esame rimane
circoscritta e contenuta entro i limiti sostanzialmente tecnici segnati
da quei principi cui è ispirata nel suo complesso la legge sulla
disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze
alimentari e delle bevande: tutela della salute pubblica, vigilanza
sulle materie usate negli alimenti, e controllo anche da parte del
pubblico perché non vengano adoperati coloranti non autorizzati, in
quanto ritenuti pregiudizievoli per la salute. La produzione, il
commercio e la vendita delle sostanze alimentari colorate vengono
disciplinate sotto svariati aspetti, dagli artt. 6, 7, 8, 11, 12, 14,
eccetera della legge n. 283, mentre esigenze tecniche impongono che la
normazione più dettagliata e specifica della materia venga affidata al
potere dell’autorità amministrativa.
È da escludere pertanto che le norme impugnate abbiano violato il
principio di legalità della pena sancito dall’art. 25 della
Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 5, lett. f, 6 e 10 della legge 30 aprile 1962, n. 283,
sollevata in riferimento all’art. 25, secondo comma, della
Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.