Sentenza N. 69 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
12/07/1965
Data deposito/pubblicazione
12/07/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
23/06/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott.
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,
secondo comma, del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270 (legge tributaria
sulle successioni), promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1964
dalla Commissione provinciale delle imposte dirette e indirette di
Perugia su ricorso di Buffetti Arturo e Maria Clara contro l’Ufficio
del registro di Foligno, iscritta al n. 182 del Registro ordinanze 1964
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 26 del 30
gennaio 1965.
Udita nella camera di consiglio del 4 giugno 1965 la relazione del
Giudice Giuseppe Verzì.
Con ordinanza del 3 giugno 1964, la Commissione provinciale delle
imposte dirette ed indirette di Perugia, chiamata a giudicare su un
ricorso degli eredi di Buffetti Berardi Alessandro contro la
liquidazione della imposta di successione fatta dall’Ufficio del
registro di Foligno senza tenere conto delle passività gravanti su una
azienda agraria, ha sollevato, su richiesta dei ricorrenti, la
questione di legittimità costituzionale del primo comma dell’art. 31
del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270 (legge tributaria sulle
successioni), in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
Il detto art. 31 dispone che le percentuali (del 2 e del 5 per
cento) per la valutazione presuntiva, rispettivamente, dei gioielli e
denari e della mobilia, vanno calcolate sul valore complessivo dei beni
ereditari “al lordo del passivo”, mentre, quando si tratti di aziende
industriali o commerciali, vanno calcolate sulla differenza netta fra
attivo e passivo. Secondo l’ordinanza vi sarebbe una differenza di
trattamento fra le aziende industriali e commerciali (le quali possono
detrarre per la determinazione dell’imponibile i debiti) e le aziende
agrarie, per le quali non è consentito detrarre le passività; e da
tale diversità di trattamento deriverebbero notevoli differenze nella
imposizione tributaria, in quanto l’imponibile delle prime risulterebbe
effettivo, e cioè conforme alle condizioni economiche dell’azienda,
mentre l’imponibile delle seconde risulterebbe fittizio, non essendosi
tenuto conto delle passività. Siffatta diversità di trattamento mal
si concilierebbe con i principi di eguaglianza tributaria, garantiti
dagli artt. 3 e 53 della Costituzione.
L’ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 26 del 30
gennaio 1965.
Nel presente giudizio non vi è stata costituzione di parti.
La questione sollevata con l’ordinanza di rimessione non si
riferisce soltanto al primo comma dell’art. 31 del R.D. 30 dicembre
1923, n. 3270, che è stato impugnato, ma anche al secondo comma dello
stesso articolo, che dispone un particolare trattamento tributario per
le aziende industriali e commerciali.
L’ordinanza denunzia infatti la violazione degli artt. 3 e 53 della
Costituzione in quanto per la valutazione presuntiva, in percentuale,
di gioielli, denaro e mobilia si deve tener conto, per le aziende
agricole, del valore lordo di esse; e per quelle industriali e
commerciali, invece, del valore netto. Risultando il contrasto tra le
norme dal confronto dei due suindicati commi dell’art. 31, essi
debbono intendersi impugnati entrambi.
1. – La questione è fondata.
Relativamente al valore presunto dei gioielli, del denaro e della
mobilia, è evidente la diversità del trattamento fatto a coloro che
ereditano un’azienda agricola rispetto a coloro che ereditano
un’azienda industriale o commerciale.
Nelle trasmissioni per causa di morte, si presume la esistenza di
gioielli, denaro e mobilia, il cui valore viene calcolato secondo
percentuali stabilite dalla legge (2 e 5 per cento) dell’intero
compendio ereditario.
La somma sulla quale debbono essere applicate le dette percentuali
varia evidentemente a seconda che si applichi oppur no il principio
della deduzione delle passività: ed allorquando il valore del bene
viene calcolato in base alla differenza fra attivo e passivo si ottiene
un imponibile reale, corrispondente cioè alla effettiva consistenza
economica; in caso diverso si ha un imponibile fittizio. Orbene,
secondo le norme impugnate, il principio della deduzione delle
passività nell’un caso è valido e nell’altro no, sicché per le
aziende agricole si assume un imponibile fittizio, per le aziende
industriali invece un imponibile reale.
2. – Diversità di disciplina non si riscontrava nelle norme della
legge sulle successioni, la quale, prima della innovazione apportata
dal R.D. 30 dicembre 1923, assumeva l’imponibile fittizio (cioè senza
detrazione delle passività) in ogni caso di valutazione dei gioielli,
del denaro e della mobilia. Soltanto col decreto del 1923, è stata
introdotta la modifica a favore delle aziende industriali e
commerciali; ma le ragioni del particolare trattamento, quali si
leggono nella relazione ministeriale, potendo valere per qualsiasi
azienda, comprese quelle agricole, confermano la identità delle
situazioni.
3. – La diversità di trattamento non appare fondata su situazioni
obbiettivamente diverse; le quali sono le sole che potrebbero
giustificare una disciplina differenziata. Ed invero, in relazione alla
situazione di fatto, che va presa in considerazione dalla legge al fine
della imposizione di un tributo, non sussiste differenza alcuna fra le
aziende agricole e quelle industriali o commerciali.
Non che le aziende agrarie non abbiano caratteristiche proprie,
derivanti dalla esistenza di un patrimonio in gran parte immobiliare;
ma che le attività di esse si svolgano nel fondo e non abbiano quindi
bisogno di un particolare sistema di pubblicità – che il credito
agrario abbia caratteri e garanzie proprie – che la funzione
dell’agricoltura si esaurisca nell’attività produttiva ecc., appaiono
tutte circostanze che risultano irrilevanti al fine di giustificare una
discriminazione.
La non diversità sostanziale poi è innegabile nella attuale
evoluzione delle aziende agricole le quali vanno uniformandosi sempre
più ai sistemi delle aziende industriali. E con la meccanizzazione
dell’agricoltura, oggi, il ricorso al credito è diventato mezzo
indispensabile di vita anche per le aziende agricole, sia per far
fronte ad una completa ed efficiente attrezzatura, sia per sopperire
alle spese di gestione.
4. – Pertanto le norme impugnate contengono discipline diverse
rispetto ad aziende, le quali, come oggetto di una valutazione di
natura tributaria, si trovano invece in situazioni di fatto
obbiettivamente identiche. Onde risulta violato il principio garantito
dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, nel senso che l’imposizione
tributaria va commisurata in modo uniforme nei confronti di soggetti,
che si trovano nelle stesse situazioni.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale del primo e del secondo
comma dell’art. 31 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270 (legge tributaria
sulle successioni) in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione,
in quanto escludono le aziende agricole dal trattamento disposto per le
aziende industriali e commerciali.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.