Sentenza N. 75 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
25/05/1970
Data deposito/pubblicazione
25/05/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/05/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
primo comma, del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 3 luglio 1968 dalla Corte di cassazione nel
procedimento civile vertente tra Banchi Roberto ed il “Calzaturificio
Francesco Barbagli e figli”, iscritta al n. 173 del registro ordinanze
1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del
28 settembre 1968;
2) ordinanza emessa il 19 novembre 1968 dalla Corte di cassazione
nel procedimento civile vertente tra la società “Ares Pubblicità” e
Sorge Carmelo, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 1969 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo
1969;
3) ordinanza emessa il 7 febbraio 1969 dalla Corte d’appello di
Milano nel procedimento civile vertente tra Grigò Sirio ed il
“Laboratorio bioterapico milanese V. Selvi e C.”, iscritta al n. 125
del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 105 del 23 apri le 1969;
4) ordinanza emessa l’11 aprile 1969 dal tribunale di Bologna nel
procedimento civile vertente tra Saletti Danilo e Busmanti Alberto,
iscritta al n. 257 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 186 del 23 luglio 1969;
5) ordinanza emessa il 9 aprile 1969 dal tribunale di Bologna nel
procedimento civile vertente tra la società “Organizzazione Pilota” e
Grossi Pietro, iscritta al n. 269 del registro ordinanze 1969 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 179 del 16
luglio 1969;
6) ordinanza emessa il 24 giugno 1969 dal tribunale di Padova nel
procedimento civile vertente tra Quaglia Emidio e la società “Ordil”,
iscritta al n. 380 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 280 del 5 novembre 1969.
Visti gli atti di costituzione di Banchi Roberto e del
calzaturificio Barbagli;
udito nell’udienza pubblica del 24 marzo 1970 il Giudice relatore
Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi l’avv. Marcello Morabito, per il Banchi, e gli avvocati
Rutilio Sermonti e Carlo Fornario, per il calzaturificio Barbagli.
1. – Nel procedimento civile vertente tra Roberto Banchi e la ditta
“Calzaturificio Francesco Barbagli e figli”, e in ordine alla tesi
prospettata dal ricorrente che “quando l’agente si avvalga del diritto
di recesso dal contratto, quali che siano i motivi del recesso,
dall’esercizio di tale diritto non può derivare la perdita
dell’indennità prevista dall’art. 1751” del codice civile, la Corte di
cassazione, dopo aver dato atto che questa norma è generalmente
interpretata nel senso che la detta indennità non sia dovuta in caso
di recesso ad nutum dell’agente dal contratto di agenzia a tempo
indeterminato (e quindi nelle ipotesi in cui lo scioglimento del
contratto derivi da esclusiva volontà dell’agente ovvero questi adduca
una “giusta causa” che risulti inesistente), con ordinanza del 3 luglio
1968 e d’ufficio, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata,
in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, la questione di
legittimità costituzionale del citato art. 1751, comma primo,
limitatamente alla parte in cui dispone che la anzidetta indennità è
dovuta solo se il contratto si sciolga per fatto non imputabile
all’agente. Ha reputato al riguardo valide le considerazioni poste da
questa Corte, con sentenza n. 75 del 1968, a base della dichiarazione
di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 2120, comma primo,
del codice civile, e cioè che l’indennità riveste carattere
retributivo, costituendo parte del compenso dovuto per il lavoro
prestato, la cui corresponsione viene differita al momento della
cessazione del rapporto allo scopo di agevolare il lavoratore nel
superamento delle difficoltà economiche possibili ad insorgere per il
venir meno del salario, e che conseguentemente quell’indennità sia
dovuta in ogni caso di cessazione del rapporto ed anche nelle ipotesi
di colpa del lavoratore o di sue dimissioni volontarie. E
specificamente ha ritenuto che si dovesse riconoscere all’indennità de
qua “carattere retributivo, a corresponsione differita in vista delle
medesime finalità”, tanto più che col vigente codice civile si
sarebbe inteso estendere al contratto di agenzia per quanto concerne
l’estinzione del rapporto, i principi relativi al rapporto di lavoro
subordinato. L’ordinanza è stata ritualmente notificata, comunicata e
pubblicata.
2. – Davanti a questa Corte si sono costituiti il Banchi a mezzo
degli avvocati Aldo Nonvel, Mario Morabito e Vittorio Amici, con
deduzioni depositate il 17 ottobre 1968 e la ditta “Calzaturificio
Francesco Barbagli e figli” a mezzo degli avvocati prof. Alfonso
Sermonti e Carlo Fornario con deduzioni depositate sotto la stessa
data.
Il Banchi, richiamata la già citata sentenza n. 75 del 1968 di
questa Corte, ha sostenuto che allo stesso trattamento usato per il
lavoratore subordinato, debba essere sottoposto l’agente o
rappresentante per ragioni di carattere etico giuridico (in quanto non
sarebbe concepibile nel vigente ordinamento sociale che un lavoratore
di qualsiasi specie, il quale voglia recedere dal rapporto a tempo
indeterminato, non lo possa fare senza perdere il diritto alle
indennità per lo scioglimento del rapporto stesso) e per ragioni di
mero diritto (in quanto del tutto simili, per quel che concerne
l’indennità de qua, sarebbero le figure del lavoratore subordinato e
dell’agente o rappresentante). A quest’ultimo riguardo si è richiamato
all’orientamento secondo cui col vigente codice civile si è inteso
estendere al contratto di agenzia, per quanto concerne l’estinzione del
rapporto, i principi che disciplinano il lavoro subordinato, ricordando
che detto orientamento risulterebbe dalla relazione ministeriale per
l’approvazione del codice stesso (n. 723) e che sarebbe stato seguito
dalla Corte di cassazione (con due pronunce del 1953 e 1954) la quale
avrebbe affermato l’analogia esistente tra il trattamento dell’agente e
quello del lavoratore subordinato ed il carattere retributivo e
previdenziale dell’indennità ex art. 1751. Ed ha pure osservato che
la perdita dell’indennità per lo scioglimento del rapporto sarebbe
molto più onerosa per l’agente che non per il lavoratore subordinato.
Posto, quindi, che l’agente per quanto concerne la ripetuta
indennità deve considerarsi alla stregua di un lavoratore subordinato
e che detta indennità è “un supplemento di retribuzione di natura
previdenziale con pagamento differito”, il Banchi ha concluso per la
fondatezza della questione.
Il calzaturificio Barbagli con le deduzioni e con memoria
illustrativa depositata l’11 marzo 1970 ha, per converso, chiesto che
la Corte volesse pronunciarsi per la non fondatezza. A sostegno della
richiesta ha osservato che la Cassazione ha sollevato la questione
unicamente perché ha ritenuto valide in ordine ad essa le
argomentazioni adottate da questa Corte con la citata sentenza n. 75
del 1968 a proposito dell’art. 2120 del codice civile; che di esse,
però, il giudice a quo avrebbe richiamato solo la più generica
(quella relativa al carattere retributivo dell’indennità di
anzianità) e non le altre (di rilievo specifico, sia in relazione
all’art. 3 che all’art. 36 della Costituzione); e che se si fossero
tenute presenti anche le ultime argomentazioni si sarebbe dovuto
ritenere manifestamente infondata la questione.
Ed infatti non rileverebbe il carattere retributivo delle due
indennità bensì l’applicabilità (che per quella ex art. 1751
sarebbe da escludersi) dell’art. 36 della Costituzione; e si dovrebbe
tenere presente che, giusta anche la recente sentenza n. 1452 del 1969
della Cassazione, l’agente è sempre un imprenditore o quanto meno un
lavoratore autonomo, e non è legato al committente da un rapporto di
subordinazione gerarchica. E a tali peculiari caratteri
corrisponderebbero i differenti criteri seguiti nella disciplina della
indennità.
Del resto – secondo la difesa del calzaturificio Barbagli – la
stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 1968 avrebbe
fissato gli essenziali criteri giuridici discriminatori del rapporto di
agenzia da quello di lavoro subordinato, per cui ogni estensione (oltre
quella ipotizzabile per l’indennità de qua) al contratto di agenzia
della disciplina del lavoro subordinato dovrebbe essere riservata al
legislatore.
Da ciò ne conseguirebbe che la questione di cui si tratta è a sé
stante e la risoluzione di essa non può direttamente derivare da
quella adottata per la questione a suo tempo sollevata per l’art. 2120
del codice civile: l’indennità ex art. 1751 (a differenza di quella
di anzianità) infatti “entra, fin dall’inizio del rapporto, nel
patrimonio e così nella proprietà dell’agente”; in caso di morte
dell’agente, spetta iure hereditario agli eredi; è computata in base
alle provvigioni liquidate nel corso dell’intero contratto, ed è
infine improntata al concetto che l’agente, con la sua impresa, opera a
proprio rischio.
D’altra parte non sarebbero invocabili le disposizioni della
Costituzione a riferimento: non l’art. 36, perché questo non si
riferisce all’agente, in quanto occorrerebbe dimostrare che dall’omessa
corresponsione dell’indennità risulti in concreto una violazione dei
principi del salario costituzionale e perché l’eventuale perdita
dell’indennità non costituirebbe un’ingiusta mortificazione della
persona dell’agente; e neppure l’art. 3, perché radicali diversità
intercorrono tra il contratto di agenzia e quello di lavoro
subordinato.
3. – La stessa questione di legittimità costituzionale ed in
riferimento ai medesimi articoli della Costituzione (3 e 36) è stata
sollevata dalla Corte di cassazione con altra ordinanza (del 19
novembre 1968 nel procedimento civile vertente tra la società “Ares
Pubblicità” e Carmelo Sorge) e dalla Corte di appello di Milano con
ordinanza del 7 febbraio 1969 (nel procedimento civile vertente tra
Sirio Grigò ed il “Laboratorio bioterapico milanese V. Selvi e C.”).
In particolare la Corte di appello di Milano ha sollevato la
questione, precisando che nella specie si era in presenza di successivi
contratti di agenzia a tempo determinato ma che l’art. 1751 sarebbe
applicabile a norma dell’art. 3 dell’Accordo economico collettivo del
20 giugno 1956.
4. – Con altra ordinanza del tribunale di Bologna, dell’11 aprile
1969, emessa nel procedimento civile vertente tra Danilo Saletti e
Alberto Busmanti, la detta questione è stata sollevata con riferimento
non solo agli artt. 3 e 36, ma anche all’art. 4 della Costituzione. La
norma sarebbe in contrasto con l’art. 36 perché l’agente verrebbe
privato del frutto del suo lavoro, con gli artt. 3 e 4 perché sarebbe
limitata di fatto la sua libertà nella scelta di un lavoro diverso e
ancora con l’art. 3 perché dopo la sentenza di questa Corte
concernente la parziale illegittimità dell’art. 2120, si creerebbe una
disparità di trattamento tra lavoratori che si trovano in situazioni
identiche.
5. – La ripetuta questione è stata infine sollevata, in
riferimento al solo art. 36 della Costituzione, con altre due
ordinanze, una dello stesso tribunale di Bologna emessa il 9 aprile
1969 nel procedimento civile vertente tra la S.r.l. “Organizzazione
Pilota” e Pietro Grossi è l’altra datata 24 giugno 1969, emessa dal
tribunale di Padova, nel procedimento civile vertente tra Emilio
Quaglia e la S.p.a. “Ordil” di Padova. In particolare il tribunale di
Bologna ha ricordato l’origine storica dell’analogia esistente tra il
trattamento riservato all’agente e quello disposto in favore del
lavoratore subordinato e ne ha visto dei segni anche nell’art. 1743 del
codice civile, e nella disciplina collettiva, nonché il riconoscimento
in varie pronunce giurisprudenziali. E, rilevata la sostanziale
identità delle due ipotesi, di fatto imputabile all’agente e di colpa
del lavoratore subordinato, ha concluso per l’illegittimità
costituzionale dell’art. 1751, in quanto la indennità ivi prevista ha
natura di retribuzione differita ed ha conseguentemente la funzione di
controprestazione della attività di collaborazione svolta
nell’interesse del preponente.
Il tribunale di Padova, da parte sua, premesso che la questione era
nella specie rilevante, nonostante che fosse stata eccepita la carenza
di legittimazione passiva del preponente, dovendosi riconoscere
all’agente il diritto ad un’azione di accertamento dell’obbligo del
preponente di regolarizzare la corrispondente posizione assicurativa,
ha sollevato la ripetuta questione sul presupposto che l’indennità de
qua avesse l’uguale funzione retributiva e previdenziale di quella
spettante al lavoratore subordinato.
Le cinque ordinanze sopra richiamate sono state tutte regolarmente
notificate, comunicate e pubblicate. Nei relativi giudizi davanti a
questa Corte nessuna delle parti si è costituita.
6. – In nessuno dei giudizi di cui sopra ha spiegato intervento il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
All’udienza del 24 marzo 1970 l’avv. Marcello Morabito (per delega
dell’avv. Mario Morabito) per il Banchi, e gli avvocati Rutilio
Sermonti (per delega dell’avv. prof. Alfonso Sermonti) e Carlo
Fornario, per il calzaturificio Barbagli, hanno svolto le ragioni a
sostegno delle rispettive tesi è richieste.
1. – Le sei ordinanze che hanno dato vita ai giudizi di cui in
narrativa, sottopongono all’esame della Corte la questione di
legittimità costituzionale dell ‘art. 1751, comma primo, del codice
civile nella parte in cui dispone che l’indennità per lo scioglimento
del contratto di agenzia a tempo indeterminato è dovuta solo se il
contratto si sciolga per fatto non imputabile all’agente, in
riferimento agli artt. 3, 4 e 36 della Costituzione.
È per ciò disposta la riunione dei relativi procedimenti, e le
cause vanno decise con unica sentenza.
2. – I giudici a quo premettono che “la disposizione del citato
articolo 1751 viene generalmente intesa nel senso che la detta
indennità non sia dovuta in caso di recesso ad nutum dell’agente dal
contratto di agenzia a tempo indeterminato, in quanto la
“imputabilità” di cui si parla nell’art. 1751 va intesa nel senso di
“attribuibilità” e quindi comprende anche l’ipotesi in cui lo
scioglimento del contratto derivi da esclusiva volontà dell’agente” e
che “a tale ipotesi si dovrebbe, poi, equiparare quella in cui l’agente
adduca una “giusta causa” che risulti inesistente” (ord. n. 173 del
1968); dato ciò, assumono che la questione sarebbe non manifestamente
infondata perché l’indennità de qua avrebbe identità di natura
giuridica, di modalità di determinazione e corresponsione di finalità
pratiche, o evidente analogia (ord. n. 269 del 1969) con quella di
anzianità prevista dall’art. 2120, comma primo, del codice civile e
perché quindi per essa dovrebbero valere le considerazioni in forza
delle quali questa Corte ha, con la sentenza n. 75 del 1968, risolto la
questione relativa alla norma da ultimo citata, dichiarandone la
parziale illegittimità costituzionale.
Assumono altresì che “l’agente di commercio, pur nella autonomia
della sua posizione, svolge delle prestazioni assimilabili sotto alcuni
punti di vista a quelle di lavoro, sia per la natura intrinseca delle
sue attività, sia per i suoi obblighi verso il preponente (artt. 1746
e 1747 cod. civ.)” (ord. n. 125 del 1969); ed infine, per quanto
riguarda la estinzione del rapporto di agenzia, che col vigente codice
civile (come avverte la relazione ministeriale per l’approvazione del
testo definitivo, n. 723) sarebbero stati applicati “i principi
relativi al rapporto di lavoro subordinato” (ord. n. 173 del 1968), ed
infine, a proposito dell’indennità per lo scioglimento del contratto
di agenzia, che “l’estensione all’agente di una tutela identica a
quella accordata al lavoratore” sarebbe stata giustificata “per la
stabile collaborazione che l’agente presta alla impresa del preponente,
di cui costituisce un vero e proprio ausiliario” (ord. n. 257 del 1969,
che si richiama alla relazione ministeriale per l’approvazione del
libro “Delle obbligazioni” per altro identica a quella definitiva).
3. – La Corte ritiene che non sia fondata la denuncia in
riferimento all’art. 36 e, correlativamente, all’art. 3 della
Costituzione.
Il rapporto di agenzia è diverso da quello di lavoro subordinato.
Infatti l’agente, anche se ha la posizione di favore d’essere solo ad
operare per conto del preponente in una zona determinata, ha diritto,
non ad un salario o ad uno stipendio e cioè ad una retribuzione
sicura, ma alla provvigione per gli affari che hanno avuto regolare
esecuzione, con la conseguenza, data questa natura del rapporto, che
non può essergli garantito un minimo vitale e non gli spetta alcun
compenso per l’attività non concretantesi in affari conclusi ed
eseguiti. La diversità è tra i due rapporti tale che non si può
argomentare dall’uno all’altro: del resto l’agente, piuttosto che
lavoratore subordinato, in dottrina è ritenuto egli stesso un
imprenditore.
Né deriva che l’indennità per lo scioglimento del contratto
d’agenzia non costituisce, come invece l’indennità di anzianità
spettante al lavoratore subordinato, una retribuzione ritardata. Essa
è piuttosto il corrispettivo, a fine rapporto, dell’utilità che
l’agente ha apportato all’azienda del preponente e che non può dirsi
compensata dalle provvigioni: di una utilità consistente soprattutto
nel procacciamento e nella conservazione della clientela, e destinata a
durare nel tempo.
Ma lo scioglimento del contratto a tempo indeterminato causato da
fatto imputabile all’agente è suscettibile di procurare al preponente
un danno sia per sé che rispetto alla clientela. Di modo che non può
dirsi irragionevole la norma secondo cui, operandosi una compensazione
tra questo danno e quell’utilità, cada il presupposto per la
corresponsione dell’indennità.
Non è perciò configurabile una violazione dell’art. 36. Il quale
d’altra parte vuole assicurare la tutela della persona del lavoratore e
la soddisfazione dei bisogni fondamentali suoi e della sua famiglia; e
pertanto non sarebbe invocabile con riferimento a un singolo rapporto
d’agenzia, la cui importanza può in concreto essere per l’agente del
tutto insignificante e costituire solo una delle fonti del suo reddito.
4. – Nemmeno l’art. 3 della Costituzione risulta offeso dalla norma
impugnata. Dato che le posizioni dell’agente e del lavoratore
subordinato non sono identiche e non sono state assimilate nella
disciplina legislativa, cadono anche le argomentazioni secondo cui il
differente trattamento assurgerebbe a violazione del principio di
eguaglianza.
La circostanza che l’indennità vada corrisposta all’atto in cui il
rapporto di agenzia o di lavoro venga sciolto unilateralmente rivela
tutt’al più, tra i due rapporti, un’analogia puramente esteriore di
fronte ai profili ed elementi di differenza.
Né si può ravvisare una violazione dell’art. 3 della Costituzione
sulla base del citato art. 2120, comma primo, del codice civile, quale
risulta a seguito dell’anzidetta pronuncia di questa Corte (n. 75 del
1968) e cioè considerando che l’indennità di anzianità è dovuta in
ogni caso di estinzione del rapporto di lavoro: e ciò per la ricordata
singolarità della posizione dell’agente.
Del resto l’accostamento della posizione dell’agente a quella del
lavoratore in ordine al regime dell’indennità, anche se fondato, non
escluderebbe la adeguatezza e razionalità del diverso trattamento
atteso che, tra l’altro, il “fatto imputabile” all’agente, che funziona
da discriminante, ha, come si è detto, una sua portata particolare,
logico riflesso della struttura e funzione del rapporto di agenzia.
5. – Non è, infine, fondata la questione nei termini in cui e
prospettata dal tribunale di Bologna, con l’ordinanza n. 257 del 1969,
in riferimento agli artt. 3 e 4 della Costituzione e sostanzialmente al
secondo di essi in relazione al primo: infatti la norma denunciata non
pone limiti alla libertà di lavoro e tanto meno la rinnega.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1751, comma primo, del codice civile, sollevata con le
ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 4 e 36
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.