Sentenza N. 86 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
10/06/1970
Data deposito/pubblicazione
10/06/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
03/06/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
secondo comma n. 1, e 168 del codice penale, promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanza emessa l’8 novembre 1968 dal pretore di Caltagirone
nel procedimento penale a carico di Parasole Filippo, iscritta al n.
270 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1969;
2) ordinanza emessa il 2 dicembre 1968 dal tribunale di Livorno nel
procedimento penale a carico di Picchi Armando, iscritta al n. 271 del
registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1969;
3) ordinanza emessa il 16 giugno 1969 dal pretore di Torino nel
procedimento penale a carico di Incoli Giovanni, iscritta al n. 399 del
registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 280 del 5 novembre 1969.
Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 marzo 1970 il Giudice relatore
Michele Fragali;
uditi i sostituti avvocati generali dello Stato Franco Chiarotti e
Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
In riferimento all’art. 3 della Costituzione sono state proposte a
questa Corte due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 168
del codice penale.
La prima (ordinanza 8 novembre 1968 del pretore di Caltagirone)
concerne la parte del n. 1 di quello articolo che dispone la revoca di
diritto della sospensione condizionale della pena anche nel caso in
cui, dopo una prima condanna a pena detentiva, per il nuovo reato debba
essere inflitta una pena pecuniaria. Il pretore rileva che la norma non
si armonizza con l’art. 163 (rectius: art. 164) del codice penale, per
il quale, se vi è condanna a pena pecuniaria sospesa, nell’occasione
di un secondo processo, la concessione del beneficio può essere
ripetuta a condizione che il condannato paghi la pena pecuniaria nel
termine stabilito dal giudice, salvo che il condannato si trovi
nell’impossibilità di adempiere; osserva che se una prima condanna a
pena pecuniaria non impedisce, sia pure alla condizione predetta, la
rinnovazione del beneficio quando la condanna posteriore deve essere a
pena detentiva, a fortiori una condanna a pena pecuniaria susseguente
ad una condanna a pena detentiva merita di essere sospesa, sia pure
alla condizione citata. Poiché l’art. 168, n. 1, non dice altrettanto
per la revoca, esso violerebbe l’art. 3.
La seconda questione, promossa dal tribunale di Livorno (ordinanza
2 dicembre 1968) e dal pretore di Torino (ordinanza 16 giugno 1969),
riguarda l’art. 168, n. 2, del codice penale, nella parte in cui
impone la revoca della sospensione condizionale della pena qualora, nei
termini di legge, il condannato riporti altra condanna, anche se questa
seconda condanna riguardi un reato legato al primo dal vincolo della
continuazione. La prima ordinanza si richiama alla giurisprudenza della
cassazione, secondo la quale il reato continuato è una mera fictio
iuris che non fa venir meno l’autonomia delle distinte violazioni e
quindi delle rispettive sentenze di condanna; rileva che è meramente
casuale la circostanza della duplice successiva condanna, cosicché non
può impedirsi che si sospenda la pena inflitta nel secondo processo
ove, se l’imputato fosse stato giudicato in un solo processo, avrebbe
potuto godere del beneficio. Il pretore di Torino si rifà invece alla
ratio comunemente esposta a sostegno dell’interpretazione favorevole
alla revoca nel caso predetto: essere cioè la revoca stabilita nel
presupposto che il giudice della prima condanna, ove fosse stato a
conoscenza della continuazione, non avrebbe dato il beneficio; osserva
inoltre che non sempre può disporsi la riunione dei procedimenti,
potendo essi appartenere alla competenza di diverse autorità.
Il pretore di Torino denuncia pure la violazione dell’articolo 27
della Costituzione, in quanto la revoca del beneficio viene a dipendere
dal comportamento dell’imputato, anteriore alla concessione del
beneficio, che non ha fatto rilevare di aver commesso altri reati in
unità di disegno criminoso con quello da giudicare.
2. – La presidenza del Consiglio è intervenuta soltanto nei
giudizi promossi con le ordinanze del pretore di Caltagirone e del
tribunale di Livorno.
Sulla questione relativa all’art. 168, n. 1, del codice penale essa
ha obiettato che la situazione del condannato a pena detentiva
condizionatamente sospesa, il quale riporti successivamente una
condanna a pena pecuniaria, si differenzia notevolmente da quella del
condannato a pena pecuniaria condizionatamente sospesa, il quale
successivamente riporti una condanna a pena detentiva.
Per quanto attiene alla questione riguardante l’art. 168, n. 2,
stesso codice, la presidenza del Consiglio ha contestato l’esattezza
dell’orientamento della giurisprudenza, che comprende nella norma anche
l’ipotesi di seconda condanna a seguito di continuazione; comunque
sostiene che l’asserita disuguaglianza non può dirsi che dipenda da
una norma, dato che consegue al comportamento dell’imputato, e aggiunge
che questo, non rivelando al giudice di avere commesso altri reati
legati a quelli in giudizio dal vincolo della continuazione, ha assunto
il rischio di subire la revoca della prima sospensione quando fosse
condannato con sentenza successiva.
3. – All’udienza del 24 marzo 1970 la difesa della presidenza del
Consiglio ha confermato le proprie tesi e conclusioni.
1. – È indubitabile che ciascuna delle questioni proposte dalle
tre ordinanze, solo per ragioni di rilevanza è stata riferita
separatamente ed esclusivamente a uno solo dei numeri di cui si compone
il primo comma dell’art. 168 del codice penale, mentre, per la loro
sostanza, ogni questione riguarda tutte le fattispecie enunciate nello
stesso articolo.
Le cause debbono perciò essere decise con una sola sentenza.
2. – Sulla seconda delle questioni, esattamente il tribunale di
Livorno e il pretore di Torino rilevano che il caso di cui sono oggetto
le loro ordinanze, riguardante fatti legati da nesso di continuità con
altri puniti con sentenza precedente, non può essere trattato
diversamente da quello in cui la continuazione è accertata con unica
sentenza; per cui, come, in quest’ultimo caso, la pena può essere
sospesa, nel concorso dei presupposti di legge, con riguardo al reato
considerato nella sua unità, così non dovrebbe revocarsi la
sospensione della prima condanna quando la seconda, cumulata con la
prima, non oltrepassi i massimi indicati nell’art. 163 stesso codice.
Tale ragionamento investe il combinato disposto degli artt. 164, comma
secondo n. 1, e 168, primo comma n. 2, nella parte in cui, quando il
secondo reato sia in relazione di continuità con altro già punito con
pena sospesa, si esclude che il giudice possa esercitare il potere di
concedere o di negare per l’intera pena il beneficio della sospensione
condizionale e si impone che sia revocata di diritto la sospensione
condizionale già concessa.
Si muove, nelle ordinanze, dal contenuto che la giurisprudenza ha
dato alle norme denunciate: infatti si è giudicato che la sospensione
della prima condanna deve essere revocata quando la continuazione del
reato emerge in un processo successivo. Con questo contenuto vivono
perciò le norme predette; ma esse, nella sostanza, fanno dipendere
l’esistenza del nesso di continuità fra due reati da circostanze
occasionali, e cioè a dire, dal fatto che la continuazione sia
accertata in un solo tempo anziché in tempi successivi, circostanze
che non possono elevarsi a fondamento di una diversa disciplina.
Assumere, coll’Avvocatura, che la scoperta di fatti anteriori alla
prima condanna smentisca la presunzione di ravvedimento posta dal
giudice a giustificazione del beneficio accordato, vuol dire denunciare
l’irrazionalità della distinzione, anziché giustificarla: infatti
nemmeno nel primo giudizio la continuazione può essere, di per sé
sola, ragione di rifiuto del beneficio della sospensione, dovendo
sempre verificarsene la rilevanza per decidere se possa presumersi che
l’imputato si asterrà dal commettere altri reati. La circostanza che
il primo giudice non era a notizia che l’imputato aveva, in
continuazione, ancora violato la legge penale, non può perciò
impedire al secondo giudice di compiere gli apprezzamenti che avrebbe
fatto il primo, e imporgli di sostituire, al suo libero convincimento,
una presunzione legale di inopportunità della sospensione. Tale
inopportunità non può spiegarsi nemmeno con il rilievo che l’imputato
non rese noto al giudice di aver commesso i nuovi reati, perché, se
così potesse ragionarsi, dalla norma si farebbe derivare una
inconcepibile sanzione alla reticenza dell’imputato; al quale invece
l’ordinamento garantisce piena libertà di comportamento processuale,
al riparo dalla presunzione della sua non colpevolezza.
Il legame logico tra gli artt. 164 e 168 del codice penale è
indiscutibile: ed è irrazionale inibire al giudice chiamato a decidere
sulla revoca della sospensione quegli apprezzamenti che egli può
compiere quando deve decidere se la pena debba sospendersi.
3. – L’altra questione, quella proposta dal pretore di
Caltagirone, pone in risalto l’incoerenza tra il principio adottato
nell’art. 168 del codice penale, che non distingue pena da pena agli
effetti della revoca di una precedente sospensione, e l’art. 164,
quinto comma, stesso codice che, al contrario, agli effetti della
concessione del beneficio della sospensione, differenzia caso da caso
in relazione al tipo di pena che deve comminarsi con la seconda
sentenza. Dato il rilevato legame logico che esiste tra concessione e
revoca del beneficio, poggiare i poteri del giudice riguardo alla
sospensione della pena su presupposti meno rigidi di quelli ai quali si
informa il dovere di revocare la sospensione, è chiara prova della
violazione del principio di eguaglianza: secondo la legge il giudice
dovrebbe revocare il beneficio in casi in cui gli è invece permesso di
concederlo e dovrebbe concederlo in casi in cui egli è tenuto poi a
revocarlo.
In particolare, il pretore di Caltagirone ha esteso il confronto
fra l’art. 164 predetto e il successivo art. 168 all’ipotesi di
successione di una pena pecuniaria a una pena detentiva, non
espressamente regolata dall’art. 164, quinto comma, e ritiene che a
fortiori il giudice può concedere il beneficio quando ad una pena
detentiva debba seguire la pena pecuniaria che l’imputato sia disposto
a pagare, essendo la fattispecie meritevole di un più benevolo
apprezzamento, come indice, anziché di un aggravarsi della spinta
criminosa, al pari del caso contemplato dall’art. 164, quinto comma, di
una attenuazione della spinta stessa.
Il giudice a quo esattamente cioè opina che l’art. 164, quinto
comma, permette all’imputato di godere del beneficio ove paghi entro un
congruo termine l’importo della pena pecuniaria, senza far differenze
tra il caso in cui la seconda sentenza deve comminare una pena
detentiva e quello in cui deve ripetere una condanna a pena pecuniaria;
in altre parole consente a colui che in due tempi successivi sia punito
con pena pecuniaria e con pena detentiva, di fruire del beneficio della
sospensione della pena detentiva, indipendentemente dal fatto che gli
sia stata irrogata prima la pena pecuniaria e poi quella detentiva o
viceversa. Così essendo, viene a dimostrarsi che l’art. 168 del codice
penale viola l’art. 3 della Costituzione: la norma impugnata si
manifesta lesiva della regola di eguaglianza nella parte in cui non
distingue fra le due ipotesi e permette che la revoca della sospensione
possa pronunciarsi, con riguardo al caso di pena pecuniaria, anche
quando la sospensione dovrebbe essere concessa secondo quanto è
prescritto nell’art. 164.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 164, comma
secondo n. 1, e 168 del codice penale, nella parte in cui dispongono
che il giudice non possa esercitare il potere di concedere o negare,
per la pena da comminare, il beneficio della sospensione condizionale o
debba revocare di diritto la sospensione già concessa quando il
secondo reato si lega con il vincolo della continuità a quello punito
con pena sospesa;
dichiara l’illegittimità costituzionale dello stesso art. 168 del
codice penale, nella parte in cui, per l’ipotesi di successiva
irrogazione di pena pecuniaria, non conferisce al giudice il potere di
subordinare la revoca della sospensione della pena detentiva al mancato
pagamento della pena pecuniaria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.