Sentenza N. 89 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
29/04/1971
Data deposito/pubblicazione
29/04/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/04/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
secondo comma, della legge 12 ottobre 1964, n. 1081, concernente
l’istituzione dell’albo dei consulenti del lavoro, promossi con le
seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 1 maggio 1969 dal pretore di Recanati nel
procedimento penale a carico di Coppari Pietro, iscritta al n. 273 del
registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 200 del 6 agosto 1969;
2) ordinanza emessa il 9 febbraio 1970 dal pretore di Cagli nel
procedimento penale a carico di Buroni Luigi, iscritta al n. 165 del
registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 143 del 10 giugno 1970.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 1971 il Giudice
relatore Ercole Rocchetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Donadio,
per il Presidente del Consiglio dei ministri
Nel corso del procedimento penale a carico di Coppari Pietro,
imputato del reato di cui agli artt. 4 e 7 della legge 23 novembre 1939
n. 1815. per aver svolto l’attività di consulente del lavoro senza
l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, il pretore di Recanati,
con l’ordinanza in epigrafe, ha proposto questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4, secondo comma, della legge 12 ottobre 1964,
n. 1081 (recante: Istituzione dell’albo dei consulenti del lavoro),
in riferimento agli artt. 3, 4 e 41 della Costituzione.
La norma impugnata stabilisce che coloro il cui coniuge, o i cui
parenti o affini sino al secondo grado, sono dipendenti del Ministero
del lavoro, degli Istituti di previdenza ed assistenza sociale e degli
Istituti di patronato, non possono esercitare l’attività di consulente
del lavoro nell’ambito della circoscrizione territoriale cui tali loro
congiunti sono addetti.
Il pretore, dopo avere dedotto, in merito alla rilevanza, che
l’eventuale dichiarazione di illegittimità della norma avrebbe
influenza sulla determinazione dell’ammontare della pena o della
concessione delle attenuanti, se non anche su quella della stessa
esistenza della responsabilità dell’imputato, ritiene, quanto alla non
manifesta infondatezza, che la norma denunziata appaia in contrasto con
i seguenti articoli della Costituzione, e cioè:
a) con l’art. 3, perché l’incompatibilità da esso sancita
sarebbe irrazionale in quanto non discrimina, in rapporto alle mansioni
svolte dai congiunti dei consulenti del lavoro, quelle che
effettivamente interferiscono con l’attività istituzionale da essi
svolta, da quelle che invece non interferiscono affatto;
b) con lo stesso art. 3, perché, tra i liberi esercenti atti vita’
professionali (avvocati, ragioneri, ecc.), anche se svolgono quella di
consulenza del lavoro, solo per i consulenti del lavoro autorizzati
dagli ispettorati viene configurata una incompatibilità a causa di
rapporti di coniugio, di parentela e di affinità con pubblici
dipendenti, e tale incompatibilità viene poi risolta con l’inibizione
dell’esercizio della loro attività, mentre negli altri casi, come per
i magistrati, essa viene eliminata col trasferimento di essi pubblici
dipendenti in altra sede;
c) con l’art. 4, che tutela il diritto al lavoro, perché esso
verrebbe, dalla norma denunziata, e nel caso ivi dedotto, fortemente
limitato con l’inibizione dell’esercizio dell’attività del consulente
del lavoro nella sede ove egli vive ed ha o può procurarsi clientela;
d) con l’art. 41, che garantisce la libertà della iniziativa
economica, perché essa verrebbe, nel caso, quanto all’attività del
consulente del lavoro, violata mediante la inibizione al suo libero
esercizio.
La questione di costituzionalità dello stesso art. 4, secondo
comma, della legge n. 1081 del 1964, è stata sollevata, con
l’ordinanza in epigrafe, anche dal pretore di Cagli, ma con riferimento
al solo art. 4 della Costituzione e per gli stessi motivi innanzi
richiamati.
Nel giudizio proposto dal pretore di Recanati è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell’Avvocatura generale
dello Stato che, oltre ad aver sollevato obiezioni sulla rilevanza, ha
chiesto che le dedotte questioni di costituzionalità siano dichiarate
infondate.
Secondo l’Avvocatura non vi sarebbe violazione dell’articolo 3,
perché la norma denunziata trova la razionalità nel suo intento di
garantire la moralità dell’azione amministrativa, evitando ogni
possibilità o sospetto di collusione o di favoritismo in una attività
che incide profondamente nell’interesse pubblico, costituzionalmente
protetto, della tutela dei lavoratori: il che non consentirebbe di
poter distinguere fra mansioni di pubblici dipendenti che, nell’ambito
dell’ufficio interferiscono con l’attività del consulente del lavoro,
da quelle che non interferiscono.
Né può parlarsi di disparità di trattamento, per il modo come la
situazione di incompatibilità determinata da rapporti di coniugio, di
parentela e di affinità, con pubblici dipendenti del settore lavoro
viene risolta con l’inibizione al consulente del lavoro dell’esercizio
dell’attività anziché, come in altri casi (magistrati) con il
trasferimento dei pubblico dipendente, perché non può riconoscersi ad
esso consulente, che deriva il diritto all’esercizio di quell’attività
da una semplice autorizzazione amministrativa revocabile, un vero
status professionale, su cui si fondano veri e propri diritti
soggettivi ben diversamente garantiti e protetti.
Quanto alla censura concernente l’art. 4, l’Avvocatura ritiene non
possa parlarsi di sua violazione per una restrizione all’esercizio del
diritto al lavoro determinata da tutela di altri interessi anch’essi
costituzionalmente protetti, mentre ritiene estraneo al tema l’art. 41
della Costituzione, che tutela non il lavoro, ma solo l’esercizio di
attività economiche imprenditoriali.
Nel giudizio si è costituito Coppari Pietro con memoria 29 ottobre
1969 e perciò fuori del termine di legge.
All’udienza di trattazione l’Avvocatura si è rimessa alle
deduzioni scritte
Le cause, avendo in comune l’oggetto, vengono riunite e decise con
unica sentenza
1. – Sono state sollevate questioni di costituzionalità dell’art.
4, secondo comma, della legge 12 ottobre 1964 n. 1081, recante norme
sull’istituzione dell’albo dei consulenti del lavoro.
Il detto articolo, inibendo ai consulenti del lavoro l’esercizio
della loro attività nell’ambito del territorio in cui il coniuge,
parenti ed affini sino al secondo grado, prestano servizio come
dipendenti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, degli
Istituti di previdenza e assistenza sociale, e degli Istituti di
patronato, violerebbe, secondo le ordinanze di rimessione, gli artt. 3,
4 e 41 della Costituzione.
Nel ritenere, in contrario avviso con l’Avvocatura, sufficiente la
motivazione in ordine alla rilevanza, si osserva in merito che l’art. 3
della Costituzione si assume violato, sotto un primo profilo, per
trattamento eguale di situazioni soggettive ed oggettive differenziate,
in quanto, nella incompatibilità sorgente dai rapporti di coniugio, di
parentela e di affinità, tra il consulente del lavoro e il pubblico
dipendente, non si fa alcuna distinzione fra il caso in cui le mansioni
cui quest’ultimo adempie, nell’ufficio al quale è addetto,
interferiscono con l’attività che quello svolge presso lo stesso
ufficio e quello in cui esse, in concreto, non interferiscono affatto.
La censura non è fondata.
La norma che, in conformità dell’art. 97 della Costituzione, mira
a garantire l’imparzialità, e quindi la moralità, dell’azione
amministrativa, non può ritenersi priva di ragionevolezza.
Essa non può perciò essere sindacata, nei termini della sua
formulazione, per quanto riguarda l’omessa distinzione del caso per
caso, sulla quale, in sostanza, la censura si impernia, perché non è
consentito alla Corte un esame così penetrante della norma afferente
il suo contenuto di merito, la cui regolamentazione è riservata alla
discrezionalità del legislatore
2. – Ma, nelle ordinanze di rimessione, la violazione dell’art. 3
viene dedotta anche sotto altro profilo, in connessione con l’art. 4
della Costituzione.
Si deduce al riguardo una differenza di trattamento tra i
consulenti del lavoro autorizzati all’esercizio dagli Ispettorati del
lavoro e quei professionisti (avvocati, procuratori, ragionieri ecc.)
cui è consentito per legge di svolgere la stessa attività di
consulenza, perché soltanto per i primi è configurata la
incompatibilità di cui si è detto ed è disposto il divieto
dell’esercizio.
La questione è fondata.
Pur ammettendo che le situazioni soggettive dei consulenti
autorizzati con provvedimento amministrativo e quelle dei
professionisti autorizzati direttamente dalla legge a svolgere
l’attività di consulenti del lavoro siano differenziabili, non può
ammettersi fra loro alcuna distinzione in rapporto a una situazione che
ha carattere oggettivo, come quella del rapporto di coniugio, parentela
o affinità con pubblici dipendenti di determinati uffici aventi sede
nello stesso luogo.
La ragione della incompatibilità che da quei vincoli si induce non
può non essere eguale per tutti perché consiste nella esigenza di
evitare anche il sospetto di possibili collusioni a danno della
pubblica amministrazione fra professionisti e pubblici dipendenti che
svolgono attività contrapposte, in rapporto agli stessi interessi, e
nel medesimo ambito territoriale.
Di fronte a tale identità di presupposti, la differenza di
trattamento, che inibisce ad alcuni e non ad altri l’esercizio
dell’attività, non trova alcuna razionale giustificazione, e viola,
perciò, come è stato dedotto, l’art. 3 della Costituzione
3. – Ogni altra questione proposta resta assorbita
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, secondo
comma, della legge 12 ottobre 1964, n. 1081, avente per oggetto
l’istituzione dell’albo dei consulenti del lavoro.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1971
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
– LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI.