Sentenza N. 94 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
27/12/1965
Data deposito/pubblicazione
27/12/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
comma, 140, ultimo comma, 165 e 296 del Testo unico della legge
comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383,
promosso con ordinanza emessa il 17 marzo 1964 dal Tribunale di Messina
nel procedimento civile vertente tra la ditta “Comm. Vincenzo Cassaro –
cantiere navale” e il Consorzio per il bacino di carenaggio di La
Spezia, iscritta al n. 121 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 182 del 25 luglio 1964.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e di costituzione della ditta “Comm. Vincenzo Cassaro –
cantiere navale” e del Consorzio per il bacino di carenaggio di La
Spezia;
udita nell’udienza pubblica del 10 novembre 1965 la relazione del
Giudice Aldo Sandulli;
uditi l’avv. Arturo Carlo Jemolo, per la ditta Cassaro, l’avv.
Antonio Sorrentino, per il Consorzio, e il sostituto avvocato generale
dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
Il presente giudizio di legittimità costituzionale trae origine da
una ordinanza emessa il 17 marzo-19 maggio 1964 dal Tribunale di
Messina nel procedimento civile promosso dalla ditta “Comm. Vincenzo
Cassaro – cantiere navale” nei confronti del Consorzio per il bacino di
carenaggio di La Spezia al fine di conseguire la condanna del Consorzio
all’adempimento di un contratto, con cui questo aveva commesso alla
menzionata ditta, a trattativa privata, la costruzione di un bacino
galleggiante. Siccome il rifiuto del Consorzio di adempiere il
contratto dipendeva dal diniego del Prefetto di autorizzare la
trattativa privata, la ditta Cassaro aveva sollevato in giudizio la
questione circa la legittimità costituzionale degli artt. 87, ultimo
comma, 140, ultimo comma, 165 e 296 del Testo unico della legge
comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383 (nel testo modificato con
legge 9 giugno 1947, n. 530), per contrasto con gli artt. 5,128 e 130 e
con la IX disposizione transitoria e finale della Costituzione. E il
Tribunale, affermata la rilevanza della questione sul presupposto della
applicabilità al Consorzio de quo dell’art. 165 del T.U. com. e prov.
(il quale estende ai consorzi cui partecipino Provincie o Comuni le
disposizioni dettate dallo stesso T.U. per la vigilanza e tutela
governativa nei confronti delle Provincie e dei Comuni), e rigettate
con diffusa motivazione le argomentazioni del Consorzio volte a
contestare tale rilevanza, ha ritenuto che la questione stessa non sia
manifestamente infondata, e ne ha rimesso l’esame a questa Corte.
Con le norme impugnate, rispettivamente, si assoggetta ad
autorizzazione prefettizia la stipulazione di taluni contratti dei
Comuni e delle Provincie a trattativa privata (artt. 87 e 140); si
sottopongono a visto prefettizio i contratti dei Comuni e delle
Provincie che eccedono i limiti al di là dei quali è richiesta
l’autorizzazione per la trattativa privata, autorizzando il prefetto a
negare, per gravi motivi, l’esecutività anche ai contratti
riconosciuti regolari (art. 296); si estendono ai consorzi le
disposizioni relative ai controlli sui Comuni e le Provincie, e quindi
anche le disposizioni degli artt. 87,140 e 296 (art. 165).
L’ordinanza del Tribunale rileva che dal principio dell’autonomia
dei minori enti locali, affermato negli artt. 5 e 128 della
Costituzione, e dallo espresso dettato dell’art. 130 risulta che il
controllo di merito nei confronti di tali enti non può essere
esercitato se non attraverso il meccanismo della “richiesta di
riesame”; e, contestando un’obiezione sollevata in proposito dal
Consorzio, esclude che il secondo comma dell’art. 130, riguardante
l’esercizio del controllo di merito mediante richiesta di riesame,
debba rimanere inattuato fino all’istituzione delle Regioni: infatti il
citato articolo considererebbe le Regioni soltanto nel primo comma, il
quale commette ad esse il controllo di legittimità sui minori enti
locali, senza occuparsi del controllo di merito. Aggiunge, d’altro
canto, l’ordinanza, che, se è vero che il termine triennale assegnato
dalla IX disposizione finale della Costituzione per l’adeguamento delle
leggi “alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza
legislativa attribuita alle Regioni” ha carattere meramente ordinatorio
– onde, fin quando tale adeguamento non venga realizzato, non possono
considerarsi abrogate le preesistenti disposizioni in materia di
controllo sui minori enti locali -, ciò non esclude che, anche prima
che al prescritto adeguamento si faccia luogo, quelle disposizioni
possano esser riscontrate illegittime per contrasto con le norme
costituzionali alle quali debbono essere adeguate: ai fini della
legittimità delle leggi non è decisiva infatti la distinzione tra
norme costituzionali precettive e programmatiche.
Nel deferire a questa Corte l’anzidetta questione, l’ordinanza ha
soggiunto di ritenere per contro manifestamente infondata ogni altra
questione, sollevata in giudizio, riflettente gli impugnati artt. 87 e
140 del T.U. comunale e provinciale.
L’ordinanza è stata notificata alle parti in causa rispettivamente
il 22 e il 25 maggio 1964, e al Presidente del Consiglio dei Ministri
il 27 maggio. Essa è stata comunicata al Presidente del Senato il 30
maggio e a quello della Camera dei deputati il 20 giugno successivi. È
stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 182 del 25 luglio 1964.
Davanti a questa Corte si sono costituiti il Consorzio, con mandato
e deduzioni depositati il 4 agosto 1964, e la ditta Cassaro, con
mandato e deduzioni depositati il 10 agosto 1964. Inoltre è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato
dall’Avvocato generale dello Stato, con atto depositato il 15 luglio
1964.
La ditta Cassaro sostiene, in appoggio alla tesi della
illegittimità delle norme impugnate, che i controlli di merito
intaccano lo stesso principio dell’autonomia e quindi sono palesemente
incompatibili con gli artt. 5 e 128 della Costituzione. Aggiunge che
l’art. 130 della Costituzione contiene due distinte e autonome norme:
l’una indica l’autorità qualificata al controllo, l’altra la natura
dei controlli ammessi; e sostiene che l’attuazione di quest’ultima –
non condizionata dall’attuazione della prima – non può esser rinviata
senza che le norme incompatibili con essa assumano carattere di
incostituzionalità.
Il Consorzio obietta all’ordinanza di rimessione che le norme degli
artt. 5 e 128 della Costituzione rimettono al legislatore ordinario la
definizione dell’ambito dell’autonomia dei minori enti locali. Afferma
poi che l’art. 130 ha carattere unitario: entrambi i due commi
riguardano competenze regionali, e non se ne può quindi invocare
l’applicazione fin quando non sia attuato l’ordinamento regionale. Ove
così non fosse, dovrebbe giungersi all’assurdo di escludere,
attualmente, la possibilità di qualsiasi controllo statale sugli enti
locali.
Analogamente ragiona l’Avvocatura dello Stato, la quale richiama
particolarmente l’attenzione sulla complessità del problema
dell’adeguamento alla Costituzione della preesistente normazione in
materia di autonomie locali e di controlli: complessità che esige dal
legislatore una maturazione con cui appare incompatibile la pretesa
della immediata operatività del secondo comma dell’art. 130 della
Costituzione.
In una memoria depositata il 30 settembre scorso il Consorzio ha
richiamato l’attenzione della Corte sulla importanza e la vastità del
problema, unitariamente inteso, della legittimità costituzionale degli
attuali controlli di merito sugli enti locali, e ha sottolineato
l’opportunità di un esame e una soluzione unitaria di esso. Nondimento
non ha mancato di esprimere talune perplessità circa la rilevanza nel
giudizio a quo della questione relativa alla legittimità dell’art. 296
del T. U. comunale e provinciale, dato che nel caso sottoposto al
giudice a quo non era stato né chiesto, né negato un visto
prefettizio; circa l’inquadrabilità di tale visto tra i controlli di
merito; circa la stessa configurabilità dell’autorizzazione alla
trattativa privata come controllo di merito.
Nella memoria si sottolinea, ad ogni modo, da un lato, che il
controllo mediante approvazione non fa venir meno l’autonomia;
dall’altro che il rifiuto dell’approvazione deve esser motivato ed è
soggetto a sindacato giurisdizionale (e talvolta anche amministrativo).
Si insiste poi sul carattere unitario delle disposizioni del primo e
del secondo comma dell’art. 130 della Costituzione: carattere che
importa che il meccanismo dei controlli previsto da tale articolo non
potrà entrare in funzione, se non una volta instaurate le Regioni. Si
aggiunge che altrimenti bisognerebbe ritenere una cosa palesemente
inverosimile, e cioè che l’Assemblea costituente abbia inteso
considerare illegittimi fin dal 1 gennaio 1948, momento di entrata in
vigore della Costituzione, i controlli di merito in vigore, con
conseguente mancanza di qualsiasi controllo di merito in tutto il
periodo tra tale data e l’instaurazione delle Regioni. Infine si nota
che, ove, del resto, si volesse pensare che la illegittimità dei
controlli in vigore al momento della emanazione della Costituzione sia
sopravvenuta col decorso del termine di tre anni previsto dalla IX
disposizione transitoria e finale della Costituzione per l’istituzione
delle Regioni, si verrebbe inevitabilmente a urtare contro la
giurisprudenza secondo cui i termini contenuti nelle disposizioni
transitorie e finali della Costituzione non hanno carattere perentorio.
Anche l’Avvocatura ha depositato una memoria, in data 21 ottobre
scorso.
In essa si richiama l’attenzione sul carattere unitario del nuovo
sistema di raccordo tra autonomie locali e controlli previsto dalla
Costituzione, per ricavarne che esso non potrà entrare in funzione se
non con l’istituzione delle Regioni. Si aggiunge che, avendo l’art. 72
della legge 10 febbraio 1953, n. 62, stabilito che fino alla
instaurazione del controllo regionale, nei confronti dei minori enti
locali continueranno a esercitarsi i controlli di merito preesistenti,
sarebbe vano, in mancanza di un’impugnativa di tale articolo, che ha
conferito nuovo titolo alle norme contenute nelle disposizioni
impugnate, portare l’esame su queste ultime. Si insiste nella tesi che
il carattere ordinatorio del termine previsto dalla IX disposizione
transitoria e finale della Costituzione vale a confermare la
legittimità della attuale permanenza delle disposizioni stesse.
Si nota inoltre che l’autorizzazione alla trattativa privata, lungi
dal concretare una forma di controllo di merito sugli atti degli enti
locali, si risolverebbe in una dispensa dall’osservanza di un divieto
legittimamente posto in sede di determinazione legislativa dell’ambito
dell’autonomia di quegli enti.
Nei confronti dell’art. 296 del T.U. comunale e provinciale
l’Avvocatura, mentre rileva anch’essa l’irrilevanza della questione di
legittimità costituzionale ai fini del giudizio civile che ha dato
origine alla presente controversia, aggiunge che l’articolo stesso, per
la parte in cui prevede un semplice controllo di legittimità, sarebbe
incontestatamente legittimo, e, per la parte in cui si possa ritenere
che ammetta un controllo di merito, sarebbe da ritenere coperto dalla
IX disposizione transitoria e finale della Costituzione. Peraltro
sarebbe da escludere che esso preveda un controllo di merito sugli atti
degli enti locali, dovendosi il potere discrezionale accordato al
prefetto da quell’articolo esercitare non per ragioni inerenti alla
“sostanza intrinseca dell’atto”, bensì per ragioni “estranee”
all’atto, quali i gravi motivi di interesse dell’ente o altri gravi
motivi di interesse pubblico.
All’udienza i difensori delle parti hanno insistito nelle tesi
sopra esposte.
1. – Il presente giudizio riguarda gli artt. 87, ultimo comma, e
140, ultimo comma, del T. U. comunale e provinciale 3 marzo 1934, n.
383 – i quali consentono rispettivamente ai Comuni e alle Provincie di
stipulare, in circostanze eccezionali, contratti a trattativa privata,
ma soltanto se autorizzati dal prefetto -, l’art. 165 dello stesso T.
U. – il quale estende (tra l’altro) le anzidette disposizioni ai
consorzi comunali e provinciali -, l’art. 296 sempre dello stesso T.
U. – il quale al primo comma subordina al visto prefettizio di
legittimità l’operatività dei contratti comunali e provinciali (e
quindi, tra l’altro, consente di negare il visto e non rendere
operativi i contratti a trattativa privata, quando questi non siano
stati autorizzati dal prefetto) e al terzo comma consente altresì al
prefetto di negare il visto ai contratti “per gravi motivi di interesse
dell’ente e per altri gravi motivi di interesse pubblico”. Le anzidette
disposizioni, attribuendo al prefetto, nei confronti dell’operato degli
enti locali, controlli di merito di un tipo non ammesso dall’art. 130,
secondo comma, della Costituzione – il quale non prevede altra forma di
controllo di merito se non quella della “richiesta motivata agli enti
deliberanti di riesaminare la loro deliberazione” -, oltre a violare
quest’ultimo precetto costituzionale, ferirebbe l’autonomia di quegli
enti, garantita dagli artt. 5 e 128 della Costituzione. Né varrebbe
opporre che la IX disposizione transitoria e finale della Costituzione,
rimettendo alla legge di adeguare la preesistente normativa della
materia “alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza
legislativa attribuita alle Regioni”, consentirebbe al preesistente
sistema di sopravvivere fino alla instaurazione degli ordinamenti
regionali nei singoli territori interessati: infatti tale sopravvivenza
non potrebbe esser legittima se non per quella parte del sistema che
non appaia in contrasto con l’uno o con l’altro precetto
costituzionale.
2. – All’impugnativa vengono opposte dallo Stato e dal Consorzio
due eccezioni.
La prima si richiama all’art. 72 della legge 10 febbraio 1953, n.
62, sulla costituzione e il funzionamento degli organi regionali, il
quale dispone che, sino a quando non saranno entrati in funzione gli
organi di controllo previsti dalla legge stessa in attuazione dell’art.
130 della Costituzione, “i controlli sulle Provincie e sui Comuni
saranno esercitati dagli organi che attualmente li esercitano, nelle
forme e nei modi previsti dalle leggi vigenti”. Secondo l’eccezione, la
mancanza di una impugnativa di tale disposizione postcostituzionale,
che ha riaffermato la vigenza delle forme di controllo di merito
preesistenti, renderebbe vana l’impugnativa delle anteriori
disposizioni, in cui queste ultime sono contemplate.
Il ragionamento non può essere condiviso. Il citato art. 72 si è
limitato a confermare, globalmente, la vigenza delle preesistenti
disposizioni in materia di controlli; ed è evidente che, volendo
denunciare talune delle disposizioni così mantenute in vigore, il
giudice a quo non poteva non indicare, a tal fine, le disposizioni
stesse. L’intento di denunciare la vigenza attuale – confermata, del
resto, dalla legge del 1953 senza carattere innovativo – risulta poi
dall’ordinanza di rimessione assolutamente chiara, indipendentemente da
una specifica menzione del ricordato art. 72.
3. – L’altra eccezione argomenta dal fatto che al contratto della
cui operatività si discuteva nel giudizio a quo il prefetto aveva
negato il visto per ragioni di legittimità (mancanza
dell’autorizzazione alla trattativa privata) e non per alcuna delle
ragioni di merito considerate dal terzo comma dell’art. 296 del T.U.
comunale e provinciale; e ne ricava la affermazione dell’irrilevanza,
ai fini del decidere, della questione di legittimità relativa a
quest’ultimo comma.
Anche questa eccezione non può però essere accolta, giacché
l’ordinanza di rimessione risulta motivata in ordine alla rilevanza
dell’impugnativa dell’intero art. 296; e, secondo la propria costante
giurisprudenza, questa Corte non può – salvo casi estremi – procedere
a una valutazione della attendibilità del ragionamento fatto dal
giudice a quo per motivare la rilevanza.
4. – Passando al merito, la Corte non ritiene decisivo stabilire se
il riscontro della sussistenza delle “circostanze eccezionali”
richieste per la concessione dell’autorizzazione alla trattativa
privata di cui all’art. 87, ultimo comma, e all’art. 140, ultimo
comma, del T. U. comunale e provinciale, e la verificazione della
mancanza di “gravi motivi” che possano sconsigliare il rilascio del
visto contrattuale ai sensi dell’art. 296, ultimo comma, rappresentino
veri e propri “controlli di merito” ai sensi dell’art. 130, secondo
comma, della Costituzione, ovvero -come sostengono l’Avvocatura dello
Stato e la difesa del Consorzio – valutazioni attinenti all’esercizio
di poteri discrezionali destinati rispettivamente ad ampliare la
normale sfera di autonomia degli enti locali e a proteggere ab externo
gli interessi di questi. Ai fini della decisione della presente
controversia è infatti sufficiente osservare che, tanto per il
dimensionamento delle autonomie locali – regionali, provinciali e
comunali – voluto dalla Costituzione (artt. 5, 115-120, 128), quanto
per l’instaurazione del nuovo sistema di controlli sui Comuni e le
Provincie da essa previsto (art. 130), le norme di attuazione,
contemplate dalla IX disposizione transitoria e finale della
Costituzione, sono finora mancate; con la conseguenza del legittimo
permanere in vita, per le autonomie come per i controlli, del sistema
preesistente, la cui continuazione la ricordata disposizione IX previde
– all’evidente fine di evitare periodi di carenza – appunto fino al
momento dell’adeguamento di esso “alle esigenze delle autonomie locali
e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni”.
È vero che per tale adeguamento la ripetuta disposizione fissava
il termine di tre anni. Ma – come questa Corte ha avuto più volte
occasione di affermare (e, da ultimo, con la sentenza n. 17 del
corrente anno) – la mancata osservanza dei termini assegnati dalla
Costituzione al Parlamento per tradurre in legislazione operante i suoi
precetti non immediatamente operativi, come non basta a far considerare
venuta meno, così non basta a invalidare la legislazione non
aggiornata. Onde, se non si può non deprecare, ancora una volta,
l’inosservanza di detti termini e il protrarsi della mancata attuazione
– sicché l’ordinamento in atto si presenta notevolmente alterato
rispetto a quello concepito dall’Assemblea costituente, con conseguenti
squilibri e scompensi nei diversi campi della vita pubblica e privata –
deve nondimeno escludersi che l’inadempimento costituzionale produca,
per sé solo, l’illegittimità della legislazione non ancora
assoggettata a revisione.
Fin quando le autonomie degli enti locali non avranno avuto il
maggior respiro voluto dalla Costituzione, comprendendo nel quadro
della riforma – come richiedono naturali esigenze di unità e di
condizionamento reciproco – la revisione del sistema delle ingerenze
degli enti sopraordinati, l’ordine vigente continuerà, nonostante il
suo anacronismo, a vivere non illegittimamente, tanto per ciò che
riguarda le autonomie, quanto per ciò che riguarda i controlli e le
altre forme di vigilanza dello Stato.
Né con riferimento ai vigenti meccanismi dei controlli di merito
sugli enti locali minori può dirsi – come si assume nell’ordinanza che
ha dato occasione al presente giudizio – che, anche prima del
riordinamento di cui si è detto, essi sarebbero diventati senz’altro
illegittimi, pel solo fatto di non corrispondere alla forma del rinvio
con richiesta di riesame, che è la sola previstane dal secondo comma
dell’art. 130 della Costituzione. Tanto dai lavori preparatori della
Costituzione, quanto dal fatto che la disposizione che se ne occupa non
è stata inserita nell’art. 128 riguardante l’autonomia dei Comuni e
delle Provincie, ma nell’art. 130 riguardante i poteri di controllo
delle Regioni, si ricava infatti chiaramente che la nuova forma del
controllo di merito fu concepita dai costituenti come strettamente e
immediatamente connessa col passaggio alle Regioni della funzione di
controllo. A ragionare diversamente – secondo l’assunto dell’ordinanza
di rimessione, in base al quale l’art. 130 solo nel primo e non anche
nel secondo comma riguarderebbe i controlli di competenza regionale –
dovrebbe ritenersi – in contrasto con la chiara volontà dei
costituenti e certamente oltre l’intenzione dei sostenitori della tesi
– che il secondo comma dell’art. 130 autorizzi nei confronti degli enti
minori anche controlli di merito esercitati da soggetti diversi dalla
Regione, e quindi anche controlli di merito statali.
Quanto or ora si è detto esclude anche la possibilità di
appellarsi, nel caso in esame, a quei precedenti, nei quali la Corte ha
affermato che, anche prima dell’attuazione delle revisioni legislative
previste nel tempo dalla Costituzione nei rispettivi settori, le norme
preesistenti riguardanti gli istituti soggetti a revisione possono
essere illegittime per contrasto con singoli precetti costituzionali.
Così, per es., è stato affermato che, anche prima della emanazione
delle norme di revisione delle giurisdizioni speciali previste dalla VI
disposizione transitoria e finale, possono esser dichiarate illegittime
quelle giurisdizioni speciali, ai cui componenti non sia assicurata
l’indipendenza ai sensi dell’art. 108, secondo comma, della
Costituzione (v. ancora sentenza n. 17 già citata). L’illegittimità
ha potuto esser dichiarata infatti, in simili casi, con riferimento a
precetti costituzionali immediatamente operanti. Invece, come si è
detto, l’art. 130 della Costituzione, invocato nel caso in esame,
presuppone, per poter operare, l’attuazione dell’ordinamento regionale,
che, fuori dei territori delle Regioni ad autonomia speciale, finora è
mancata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, proposta con l’ordinanza
indicata in epigrafe, relativa alla legittimità costituzionale degli
artt. 87, ultimo comma, 140, ultimo comma, 165, 296, ultimo comma, del
Testo unico della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3
marzo 1934, n. 383, in riferimento agli artt. 5,128 e 130 e alla IX
disposizione transitoria e finale della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO.