Sentenza N. 7370 del 2020
TAR di Roma - Sezione III-bis
Data deposito/pubblicazione
30/06/2020
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/06/2020
Il TAR del Lazio ha riconosciuto il diritto di accesso al codice sorgente del software utilizzato per lo svolgimento della prova scritta del concorso per la selezione dei dirigenti scolastici, considerabile alla stregua di un atto amministrativo.
Leggi anche il commento di Ernesto Belisario.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1869 del 2020, proposto da
(OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato Domenico Naso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
CINECA – Consorzio Interuniversitario, rappresentato e difeso dagli avvocati Damiano Lipani, Francesca Sbrana, Giuseppe Fabrizio Maiellaro, Antonio Catricalà, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Damiano Lipani in Roma, via Vittoria Colonna, 40;
e con l’intervento di
ad adiuvandum
(OMISSIS),, rappresentati e difesi dall’avvocato Domenico Naso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 3404 del 2019, proposto da (OMISSIS),, rappresentati e difesi dall’avvocato Domenico Naso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e Ufficio Scolastico Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
ricorso in riassunzione ex 105 c.p.a.
del procedimento r.g. n. 3404/2019 a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 30 del 2 gennaio 2020;
per l’accertamento del diritto all’accesso
dei ricorrenti, con facoltà di estrazione di copia ai sensi e per gli effetti della legge 241/90 e dell’art. 5 del d. lgs. n. 33/2013, riformato dal d. lgs. n. 97/2016, di attuazione della legge n. 124/2015, dei “codici sorgente” che hanno gestito e generato il software relativo allo svolgimento della prova scritta del concorso indetto con D.D.G. n. 1293/2017 – Selezione Dirigenti Scolastici;
nonché, per l’annullamento
– dei provvedimenti dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, a firma della Dirigente preposto
prot. 8729 del 4 marzo 2019 e prot. 8930 del 5 marzo 2019, per mezzo dei quali il Ministero non ha concesso l’ostensione dei documenti richiesti fornendo una risposta non pertinente all’istanza di accesso agli atti avanzata dai ricorrenti in data 23 gennaio 2019 e reiterata l’8 marzo 2019, avente per oggetto l’accesso all’algoritmo di calcolo che ha gestito il software relativo alla prova scritta del concorso per la selezione dei dirigenti scolastici, ovvero nella parte in cui sono stati inviati documenti ed atti non richiesti e che non formavano oggetto della richiesta di accesso agli atti;
– di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali;
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l’art. 116 cod. proc. amm.;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Università e della Ricerca, dell’Ufficio Scolastico Regionale Lazio e del CINECA – Consorzio Interuniversitario;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2020 tenutasi con le modalità di cui all’articolo 84 del decreto legge n. 18/2020, convertito dalla legge n. 27/2020, il dott. Daniele Profili e uditi per le parti i difensori collegati da remoto all’udienza telematica ex articolo 4 del decreto legge n. 28/2020 come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con l’atto introduttivo in epigrafe i ricorrenti hanno riassunto, ex art. 105 c.p.a., il precedente giudizio col quale l’Amministrazione resistente ha respinto la loro istanza di accesso agli atti intesa ad acquisire i “codici sorgente” del software utilizzato per la gestione della prova scritta del concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici.
Avverso la sentenza n. 7333/2019, con cui questa Sezione ha accolto la domanda dei ricorrenti, il M.I.U.R. ha proposto appello al Consiglio di Stato il quale, con la decisione n. 30/2020, ha qualificato alla stregua di controinteressato pretermesso dal giudizio di prime cure il CINECA, in quanto sviluppatore e proprietario del programma informatico in argomento.
Nel giudizio così riassunto, il consorzio controinteressato ha presentato un’istanza di differimento dell’udienza fissata per il 28 aprile 2020, atteso che il periodo di sospensione straordinaria dei termini processuali disposto dal d.l. n. 18/2020 per l’emergenza “Covid-19” gli avrebbe precluso la possibilità di presentare documenti e memorie. Al rinvio si sono opposti i ricorrenti con apposita memoria alla quale ha fatto seguito la replica della parte controinteressata.
Nel medesimo giudizio, hanno altresì chiesto di intervenire due diversi gruppi di soggetti con atti depositati, rispettivamente, il 10 ed il 18 marzo 2020.
Il 28 aprile 2020 il Collegio ha accolto l’istanza di rinvio al fine di consentire alla parte controinteressata la produzione in giudizio di documenti e memorie, rimandando alla camera di consiglio del 26 maggio 2020 per il prosieguo.
Il 5 maggio 2020 il CINECA ha depositato una perizia tecnica, seguita da una memoria difensiva, con la quale ha chiesto il rigetto nel merito del gravame e degli atti di intervento, eccependo l’inammissibilità di questi ultimi.
Il 15 maggio 2020 sia la parte ricorrente che i soggetti intervenuti con atto del 18 marzo 2020, hanno replicato alle difese dell’Amministrazione resistente e del Consorzio controinteressato, depositando precedenti giurisprudenziali loro favorevoli unitamente ad una perizia che ha evidenziato la necessità di acquisire il prefato algoritmo al fine di poter verificare compiutamente il funzionamento complessivo del programma.
Con l’ordinanza n. 5644/2020 il Collegio ha disposto la riunione dei giudizi con n. r.g. 3404/2019 e 1869/2020 con rinvio alla camera di consiglio del 22 giugno 2020 per il prosieguo.
Il 10 giugno 2020 il Consorzio controinteressato ha depositato un’istanza di fissazione dell’udienza da remoto ai sensi dell’art. 4, del decreto legge n. 28/2020.
Le altre parti processuali nelle date del 16, 17 e 19 giugno 2020 hanno provveduto a depositare memorie e brevi note di udienza insistendo per l’accoglimento delle proprie ragioni.
Alla camera di consiglio del 22 giugno 2020, previa audizione da remoto dei procuratori della parte ricorrente, degli intervenienti e del Consorzio controinteressato, in ossequio al disposto di cui all’art. 4 del d.l. n. 28/2020, i ricorsi riuniti sono stati trattenuti in decisione.
In primo luogo, il Collegio deve esaminare l’eccezione di inammissibilità dei richiamati atti di intervento formulata sia dall’Amministrazione resistente che dalla difesa del CINECA.
Un primo gruppo di intervenienti, con atto depositato il 10 marzo 2020, è costituito da ricorrenti in diversi giudizi pendenti davanti a questo T.A.R. nei quali si controverte sulla legittimità, o meno, della loro esclusione dal concorso in argomento per mancato superamento della prova scritta, nell’ambito dei quali hanno formulato delle istanze istruttorie protese ad ottenere l’accesso all’algoritmo del medesimo software. Ritengono, dunque, di avere interesse ad intervenire ad adiuvandum, posto che la valutazione in questa sede in ordine alla natura del codice sorgente quale documento informatico e la ponderazione delle esigenze di ostensione rispetto agli interessi confliggenti dell’Amministrazione e del CINECA, avrebbe dei riflessi sulla disamina delle loro richieste istruttorie.
Il secondo atto di intervento, invece, è stato depositato il 18 marzo 2020 da soggetti che pur avendo partecipato al concorso in argomento non hanno esplicitato di aver impugnato il mancato superamento della prova scritta. La ragione del loro interesse ad intervenire si appunterebbe sulla circostanza, peraltro non dimostrata, che anche le loro conformi istanze di accesso agli atti sarebbero state rigettate dall’Amministrazione. Ritengono, pertanto, di poter prendere parte all’odierno processo al fine di vedere accertato il loro diritto ad acquisire l’algoritmo del software in argomento, attesa l’asserita titolarità di una situazione soggettiva sostanzialmente coincidente a quella dei ricorrenti che deriverebbe dal fatto che “hanno anch’essi partecipato al concorso per la selezione dei dirigenti scolastici”, come espressamente indicato nell’atto d’intervento.
Le eccezioni sono fondate essendo gli atti di intervento de quibus inammissibili.
Nel processo amministrativo, in particolare, sono ammesse solo alcune tipologie di intervento. E’ pacificamente ammissibile l’intervento adesivo dipendente, o ad adiuvandum che, nel caso di specie, viene in rilievo con riferimento al primo atto di intervento. Tuttavia, per la corretta configurazione di una tale forma di cumulo soggettivo è necessario che gli intervenienti siano titolari di una posizione soggettiva dipendente da quella fatta valere dai ricorrenti che, in quanto diversa, viene investita in via riflessa dagli effetti del giudicato reso inter alios. Due in particolare sono i requisiti che devono essere soddisfatti per la configurabilità di un intervento adesivo dipendente: uno di carattere positivo, consistente nell’utilità giuridica conseguibile dall’esito del giudizio e, l’altro, di carattere negativo, coincidente con la sussistenza di una posizione giuridica soggettiva diversa da quella dei ricorrenti. Nel caso di specie non pare sussistere il primo degli anzidetti requisiti. A ben vedere, invero, una eventuale pronuncia di accoglimento nel giudizio odierno non pare poter produrre alcun effetto, neppure mediato, sul procedimento giurisdizionale instaurato dagli intervenienti. Ciò nella considerazione che le istanze poste a confronto differiscono in maniera sensibile con riferimento alla cornice normativa in cui risultano inserite. Mentre nella causa odierna la res controversa è costituita dalla possibilità di accedere, ai sensi della legge n. 241/90 ovvero tramite F.O.I.A., ai codici sorgente del programma utilizzato dal M.I.U.R. per la gestione della prova scritta del concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici, nel giudizio degli intervenienti, che afferisce alla loro indebita esclusione dalla medesima procedura selettiva, il codice sorgente è oggetto di un’istanza istruttoria. Quest’ultima, invero, si appunta su un sostrato normativo del tutto diverso, dovendo essere valutata alla luce dei requisiti tipici degli elementi probatori che differiscono sensibilmente dalle condizioni alle quali l’ordinamento consente ai consociati l’accesso ad atti o dati informativi in forza delle disposizioni contenute nella legge n. 241/90 e/o del d.lgs. n. 33/2013, così come modificato dal d.lgs. n. 97/2016.
Il secondo gruppo di intervenienti, invece, pur autodefinitosi ad adiuvandum, mira a far valere un interesse autonomo ed omogeneo rispetto a quello dei ricorrenti, facendo venire in rilievo, nella sostanza, un intervento di natura litisconsortile. Del resto, nello stesso atto di intervento si legge “Giova premettere che l’interesse fatto valere dagli intervenienti nel presente grado è del tutto coincidente con l’interesse fatto valere dagli originari ricorrenti”. Orbene, se nell’ambito della giurisdizione esclusiva tutte le forme di intervento sono ammissibili, purché a venire in rilievo siano situazioni soggettive qualificabili alla stregua di diritti soggettivi, in forza del rinvio esterno contemplato dall’art. 39 c.p.a., la situazione risulta essere diversa nel momento in cui, come nel caso di specie, l’intervento sia proposto nell’ambito di un giudizio caratterizzato dal rito di cui all’art. 116 c.p.a. che, ad onta della suo collocamento nell’ambito della giurisdizione esclusiva riservata al g.a. ex art. 133 c.p.a., rimane inopinatamente un giudizio di carattere impugnatorio. In una cornice processuale di tal fatta, dunque, risulta essere preminente la salvaguardia dei termini di decadenza previsti per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, a cui sono sottesi interessi pubblici di indubbio rilievo, al fine di scongiurare che determinate forme di intervento si risolvano in una loro fin troppo facile elusione. In disparte la questione che gli istanti non abbiano fornito alcuna evidenza sulle asserite istanze di accesso presentate, il Collegio rileva che anche laddove queste fossero state effettivamente inviate all’Amministrazione il relativo diniego, espresso o tacito che fosse, avrebbe dovuto essere impugnato nel rispetto del termine decadenziale breve di trenta giorni, con l’instaurazione di un autonomo giudizio ex art. 116 c.p.a.. Del resto, come più volte ribadito anche dal giudice amministrativo di appello, deve ritenersi inammissibile l’intervento del terzo volto in realtà a soddisfare un interesse tutelabile con ricorso autonomo (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 351).
Per le ragioni suesposte gli atti di intervento devono essere dichiarati entrambi inammissibili.
Entrando nel merito della controversia si evidenzia, anzitutto, come l’istanza di accesso degli odierni ricorrenti è stata formulata sia ai sensi della legge n. 241/90 che in termini di accesso civico generalizzato ex d. lgs. n. 33/2013, come modificato dal d. lgs. n. 97/2016. Sull’ammissibilità di un’istanza cumulativa di tal fatta si è recentemente pronunciata in senso favorevole l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 10/2020.
Le difese dell’Amministrazione resistente e della parte controinteressata si affidano alle seguenti eccezioni di merito:
– i “codici sorgente” del software non potrebbero essere considerati alla stregua di atti amministrativi ostensibili ai sensi della legge n. 241/90;
– l’accesso a tali dati, oltre che non necessario per le paventate esigenze difensive dei ricorrenti, posto che potrebbero accedere ad altri atti e informazioni o ricorrere a modalità alternative (ad es.: una simulazione della prova scritta) per vedere soddisfatte le loro pretese, sarebbe comunque sproporzionato e non terrebbe in debita considerazione la necessità di tutelare la riservatezza degli altri candidati, la proprietà intellettuale, nonché i segreti di natura commerciale ed economica che verrebbero inevitabilmente compromessi dall’ostensione ad abrupto dell’algoritmo, con grave nocumento sia per il CINECA, in qualità di proprietario del software e titolare del know how per la sua realizzazione, come contemplato dall’art. 24, co. 6, lett. d) della legge n. 241/90 e sia per il Ministero dell’Istruzione, che non potrebbe più utilizzare detto programma per future procedure concorsuali;
– i malfunzionamenti lamentati dai ricorrenti non sono stati specificati e, in ogni caso, non sono dimostrati, essendo insussistenti e, in gran parte, indipendenti dal software che, nel caso di specie, avrebbe invero funzionato correttamente;
– l’istanza dei ricorrenti, declinata in termini di accesso civico generalizzato, dovrebbe comunque essere respinta atteso che nel bilanciamento tra l’esigenza di consentire forme di controllo diffuso sull’operato della p.a. e quella di tutelare la proprietà intellettuale ed industriale della parte controinteressata, quest’ultima dovrebbe essere considerata prevalente ai sensi dell’art. 5-bis, co. 2, lett. c) del d. lgs. n. 33/2013;
– Sempre con riferimento all’accesso civico generalizzato, l’Amministrazione ritiene di aver valutato l’esistenza di un possibile pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali dei soggetti controinteressati partecipanti al concorso. Ciò nella considerazione che la valutazione dell’ostensione di dati personali nell’ambito del procedimento di accesso civico deve essere effettuata anche nel rispetto dei principi indicati dall’ordinamento europeo, fra cui quello di “minimizzazione dei dati”, secondo il quale i dati personali devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati.
I ricorsi sono fondati e meritano accoglimento nei termini che seguono.
Il Collegio ritiene di dover confermare le conclusioni formulate da questa Sezione con la richiamata sentenza n. 7333/2019.
Occorre in primo luogo esaminare l’istanza di accesso agli atti formulata ai sensi della legge n. 241/90 per verificare la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla norma in capo ai ricorrenti. Per quanto riguarda l’accertamento del requisito oggettivo, ossia la riconducibilità nel genus dei documenti accessibili dei c.d. “codici sorgente” del programma informatico utilizzato per la gestione delle prove scritte del concorso, occorre effettuare alcune considerazioni preliminari. Al riguardo, pare opportuno richiamare la definizione contenuta nella legge n. 241/90, ove stabilisce che il “documento amministrativo” accessibile è rappresentato da “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una p.a. e concernenti attività di pubblico interesse”. La norma circoscrive l’oggetto dell’accesso ai documenti esistenti e detenuti dall’amministrazione. Sul punto, tuttavia, la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare come rientrano in tale categoria anche i meri atti interni, anche se non relativi ad uno specifico procedimento, purché riferibili ad attività di pubblico interesse.
Con riferimento ai codici sorgente, pertanto, la questione che si pone è se gli stessi possano essere qualificati alla stregua di un documento amministrativo o, comunque, di una sua rappresentazione informatica. Sul punto la sentenza n. 3769/2017 di questa Sezione ha già avuto modo di statuire che “sotto l’indicato specifico profilo del procedimento amministrativo e dell’accesso alla documentazione amministrativa, il tenore testuale della lett. d) dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990, come modificata e integrata dalla legge n. 15 del 2005, conduce a una nozione particolarmente estesa dell’atto amministrativo informatico, che tiene, pertanto, conto della sostanziale valenza amministrativa del documento piuttosto che della sua provenienza, atteso che è specificatamente previsto che sono ricompresi nella relativa nozione anche gli atti di natura privata quanto alla relativa disciplina sostanziale che, tuttavia, si inseriscono e utilizzano nell’ambito e per le finalità di attività a rilevanza pubblicistica, ossia gli atti funzionali all’interesse pubblico; deve, inoltre, ritenersi che vi sono, inoltre, ricompresi gli atti cd. endoprocedimentali, ossia gli atti che si inseriscono all’interno del procedimento e rappresentano i singoli passaggi del relativo iter e che sono funzionalizzati all’adozione del provvedimento finale nonchè anche gli atti cd. interni, ossia gli atti attraverso i quali l’amministrazione organizza la propria attività procedimentale.
La nozione di documento amministrativo informatico è, pertanto, di estrema rilevanza ai fini della esatta definizione del perimetro oggettivo di esercizio del diritto all’accesso alla documentazione amministrativa ai sensi della richiamata legge n. 241 del 1990”.
Come si evince anche dagli atti depositati dal CINECA, Il c.d. “codice sorgente” di un software è rappresentato dal testo di un algoritmo di calcolo scritto in un linguaggio di programmazione volto a definire il flusso di esecuzione del programma. Si tratta, in particolar modo, di una sequenza articolata di tutti i dati e di tutti i comandi per mezzo dei quali il programmatore struttura il software e ne consente l’esecuzione, determinandone in concreto le modalità di funzionamento. Nel caso di specie, il programma realizzato dal CINECA ed utilizzato dal M.I.U.R. per lo svolgimento delle prove scritte del concorso ha svolto diverse funzioni. In primo luogo, ha consentito agli utenti di visualizzare le domande precaricate sul sistema e di fornire una risposta alle stesse. In secondo luogo, ha consentito di salvare queste risposte, collezionandole e cifrandole in vista della loro successiva messa a disposizione delle commissioni valutatrici. In sostanza, il programma ha svolto compiti di acquisizione, di custodia e di condivisione di dati, comportandosi come un “recettore-intermediario”, veicolando e raccogliendo quesiti e risposte. Come anche evidenziato dal Consorzio controinteressato nelle sue memorie difensive, il codice sorgente di un programma informatico ben può essere dunque rappresentato come un “contenitore vuoto”, un mero supporto che recepisce dati inseriti dal programmatore ed originati aliunde. Sottolineare questo aspetto è particolarmente rilevante. Riconoscere al codice sorgente di un software la natura di elemento neutro, invero, postula la necessità di accertare, non solo in astratto ma in concreto, quale sia l’effettivo impatto del codice sorgente sull’attività amministrativa posta in essere mediante l’utilizzo di un programma informatico. La natura neutra dell’algoritmo di un programma non si presta dunque ad essere imbrigliata in una regola generale atta a stabilire, in modo assoluto, se tali contenuti siano o meno accessibili, dovendosi invece procedere con una verifica, in concreto e caso per caso, sui contenuti delle istruzioni ivi contenute al fine di appurare se le stesse siano riferibile ad attività di pubblico interesse.
Proprio quest’ultimo aspetto è ritenuto determinante nel caso oggetto dell’odierno giudizio, atteso il ruolo giocato dal programma informatico nella fase di elaborazione delle prove scritte del concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici. Se da un lato il Collegio concorda con il Consorzio controinteressato nella parte in cui eccepisce che il caso odierno presenti sensibili differenze rispetto a fattispecie pregresse già affrontate da questo Tribunale, tra le quali è annoverabile la richiamata sentenza n. 3769/2017 resa in tema di accesso del software utilizzato per la gestione delle procedure di mobilità del personale docente, dall’altro lato, però, non può non rilevarsi come anche nel caso di specie il ruolo ricoperto dal programma informatico si inquadra in un contesto di indubbia rilevanza pubblicistica, quale è quello rappresentato dallo svolgimento di un pubblico concorso.
Anche a voler effettuare una comparazione con quanto sarebbe accaduto laddove la procedura selettiva si fosse svolta con modalità tradizionali al fine di accertare se, in tal caso, le attività strumentali svolte dal software sarebbero state qualificabili alla stregua di attività amministrativa rilevante, non pare potersi giungere ad un risultato differente. In disparte la questione sulla accessibilità dei quesiti e delle risposte, qualificabili senza dubbio come documenti ostensibili, il problema si pone, semmai, per tutti quei processi gestiti dal programma che si risolvono in attività serventi rispetto alla gestione delle prove concorsuali. Tra queste si annoverano la predisposizione del foglio informatico per digitare la risposta oppure il suo salvataggio e la successiva criptazione al fine di garantire la non modificabilità dei dati acquisiti nonché la protezione dell’anonimato. Appare evidente come, nei concorsi svolti con modalità tradizionali, tali attività vengono compiute da personale ausiliario che si occupa della distribuzione dei fogli vidimati dalla commissione su cui redigere le risposte, della successiva raccolta e inserimento all’interno di buste sigillate per garantire l’anonimato e la genuinità dei contenuti. Orbene, aderendo ad una tesi che ritenesse preclusivo l’accesso ai codici sorgente, che del software costituiscono la fonte, si finirebbe per legittimare l’oscuramento di rilevanti porzioni di attività amministrativa afferenti alla gestione di pubblici concorsi, con evidente vulnus al principio di trasparenza. Si produrrebbe, in sostanza, una insostenibile situazione di “doppio binario” dove nei concorsi gestiti con l’ausilio di strumenti informatici la regola della trasparenza avrebbe una portata ridotta rispetto alle procedure concorsuali tradizionali.
Sul punto, peraltro, non può non essere presa in considerazione l’importanza della fase dedicata allo svolgimento delle prove di un concorso. Lo iato temporale destinato al loro perfezionamento, invero, si inquadra in quel segmento procedimentale costituito dalla fase istruttoria, nella quale vengono in rilievo i fatti oggetto delle successive valutazioni di natura tecnico-discrezionale riservate all’Amministrazione. Una tale collocazione nella scansione procedimentale postula che gli errori ivi compiuti, risolvendosi in un travisamento dei fatti, ossia in un indice sintomatico dell’eccesso di potere in grado di minare in radice la legittimità dell’operato dell’Amministrazione, rende necessaria la possibilità di accedere al sistema informatico che ha contribuito, in maniera determinante, all’acquisizione, alla conservazione ed alla gestione delle prove. Del resto, se la scelta discrezionale della p.a. di gestire un pubblico concorso con mezzi informatici offre alla stessa indubbi vantaggi sotto il profilo del buon andamento dell’attività amministrativa, il raggiungimento di maggiori standard di efficienza, efficacia ed economicità non può certo andare a detrimento della trasparenza, ossia di un principio altrettanto fondamentale a cui la p.a. deve sempre e comunque tendere. Il programma informatico, del resto, si presta naturalmente a favorire trasparenza e partecipazione procedimentale, attesa la sua innata capacità di custodire dati. Seguendo una logica di distribuzione dei commoda e degli incommoda derivanti dall’adozione di un software per la gestione delle prove scritte di un concorso, dunque, ecco che i vantaggi conseguiti dalla p.a. in punto di buon andamento dell’attività amministrativa non possono confliggere con quelli fruibili dai candidati in punto di trasparenza.
Chiarita la riconducibilità dell’algoritmo del programma informatico utilizzato per lo svolgimento delle prove scritte del concorso nell’alveo dei documenti accessibili ai sensi della legge n. 241/90, atteso che il programma, nella sua interezza, ha presieduto allo svolgimento di un’attività amministrativa di indubbio interesse pubblico, il Collegio ritiene di procedere con la verifica circa la sussistenza, in capo agli istanti, del requisito soggettivo previsto dalla norma. Sul punto, appare indubbio che i partecipanti al concorso in esame vantino un interesse qualificato e differenziato ad ottenere l’ostensione degli atti relativi tale procedura, venendo in rilievo, in particolare, un accesso c.d. “endoprocedimentale”, dove l’interesse sussiste ogni qualvolta sia rinvenibile un collegamento tra il documento e la situazione giuridicamente tutelata. Nel caso di specie, peraltro, a venire in rilievo è un accesso di tipo difensivo.
Occorre pertanto, in via preliminare, accertare se gli atti di cui si chiede l’ostensione, ossia i “codici sorgente”, siano idonei a soddisfare le esigenze di natura difensiva paventate dai ricorrenti. Per farlo occorre ancora una volta fare riferimento alla definizione di codice sorgente, la quale ci rammenta come esso si sostanzi in una serie di comandi generali che consentono al software di funzionare, e di farlo in un determinato modo, mediante delle impostazioni per cui la pressione di un tasto da parte dell’utente genera un’azione conseguente da parte dell’elaboratore (es. la pressione del tasto “conferma e procedi” comporta il salvataggio della risposta ed il passaggio alla successiva). Tale considerazione fa emergere come un eventuale errore del linguaggio di programmazione finirebbe per riverberarsi sul funzionamento dell’intero programma, a prescindere dai diversi computer in cui questo è installato, atteso che esso si limita ad eseguire ciò che prescrive l’algoritmo. Da ciò è possibile inferire che laddove il software alla “sorgente” presenti un difetto originario, ad esempio perché nel linguaggio di programmazione non venga abbinata la funzione di salvataggio della risposta alla pressione del tasto “conferma e procedi”, ecco che tale vizio sarebbe destinato a riverberarsi su tutti gli elaboratori su cui è installato quel programma. Nell’esempio pocanzi effettuato, in particolare, il difetto di programmazione comporterebbe che nessuna prova sarebbe stata salvata. Ciò in quanto, le istruzioni errate o deficitarie contenute nei codici sorgente, attesa la loro portata generale, determinano malfunzionamenti altrettanto generalizzati che riguardano, in maniera indiscriminata, tutti gli elaboratori su cui viene utilizzato il programma. Ciò non toglie che sul singolo computer si possano verificare dei malfunzionamenti che, tuttavia, in tal caso affondano le loro radici in un contesto meramente locale, non essendo perciò riconducibili ad eventuali difetti contenuti nel linguaggio di programmazione. In quest’ultima circostanza, potrebbe essere l’accesso al file log del computer, che registra come una sorta di scatola nera i processi dallo stesso elaborati in un determinato arco temporale, a poter rilevare eventuali anomalie nella fase di redazione o di acquisizione della prova, evidenziando malfunzionamenti locali.
Tali considerazioni, effettuate sia dall’Amministrazione resistente che dalla parte controinteressata per sostenere che l’accesso ai codici sorgente non sarebbe utile ai fini difensivi degli istanti e che, ad ogni modo, sarebbe sproporzionato, non colgono nel segno.
In primo luogo, parte ricorrente ha avuto modo di dimostrare, con diverse perizie tecniche, come l’esame del solo file log non sia sufficiente senza la compiuta conoscenza dei codici sorgente del programma informatico.
In secondo luogo, poi, non può non rilevarsi come l’esempio pocanzi effettuato sull’errore contenuto nel linguaggio di programmazione del software non può certo essere ritenuto esaustivo con riferimento alle molteplici utilità che l’accesso a tali dati è in grado di fornire dal punto di vista difensivo. Né si può ritenere, come prospettato dall’Amministrazione resistente, che i ricorrenti fossero tenuti già nell’istanza di accesso a svelare tutte le esigenze difensive correlate ai documenti chiesti, dovendo al riguardo ritenersi sufficiente che l’atto oggetto dell’istanza fosse potenzialmente idoneo ad essere utilmente asservito ad un’attività difensiva. In altri termini, la concezione ampia del diritto a difesa di cui all’art. 24 della Costituzione postula che il diritto all’accesso non possa essere ostacolato ogni qualvolta sussista la possibilità che dall’ostensione derivi una qualche utilità per la tutela di situazioni soggettive, dovendosi verificare in astratto, e non in concreto, la potenziale utilità dell’atto di cui si chiede l’ostensione per le finalità di tutela della situazione giuridica soggettiva prospettata. Tale approccio, invero, merita di essere seguito con ancora più rigore attesa la natura polimorfica dei richiamati codici sorgente che, in quanto ontologicamente neutri, veicolano contenuti a geometria variabile. A parere del Collegio, dunque, è proprio l’innato carattere polisemico dell’algoritmo di un programma informatico utilizzato per la gestione di attività amministrative di particolare rilievo costituzionale, come nel caso dei pubblici concorsi, a determinare la necessità che i codici siano resi accessibili e verificabili. Ciò in ossequio sia al principio di trasparenza sia a quelli di buon andamento della pubblica amministrazione.
Le forme alternative di verifica del funzionamento del software prospettate dall’Amministrazione e dal Consorzio, come ad esempio la simulazione dello svolgimento della prova, non possono ritenersi alternative all’accesso richiesto dai ricorrenti proprio perché esse presuppongono che siano individuati a priori i presunti malfunzionamenti e si configurano più come un accertamento probatorio che non un accesso documentale.
La qualificazione in termini difensivi dell’istanza di accesso formulata dai ricorrenti determina il superamento delle eccezioni di merito con cui sia l’Amministrazione resistente che il Consorzio controinteressato hanno paventato la necessità che il diritto all’ostensione debba essere bilanciato con l’interesse del titolare del software a mantenere la riservatezza su taluni contenuti dello stesso e, comunque, con quello dell’Amministrazione a poter riutilizzare il programma in future procedure concorsuali. Su quest’ultimo aspetto, in particolare, con la richiamata sentenza n. 7333/2019 questa Sezione ha statuito che “non si ritiene che il pregiudizio allegato da parte resistente in ordine alla futura utilizzabilità del codice costituisca un parametro di riferimento per la valutazione della richiesta di accesso”. Ciò in quanto, come già precisato in precedenza, lo svolgimento con modalità informatiche di un pubblico concorso non può andare a detrimento del principio fondamentale di trasparenza, senza considerare che, comunque, l’interesse pubblico prospettato non rientra tra quelli contemplati dal Legislatore al fine di limitare il diritto di accesso ai sensi del combinato disposto dell’art. 22 e dell’art. 24 della legge 241 del 1990, né in particolare di quello esercitato ai sensi del comma 7 del richiamato art. 24 (accesso difensivo).
Il secondo periodo del richiamato comma 7 dell’articolo 24 della legge n. 241/90, precisa come nel caso in cui vengano in rilievo “dati sensibili e giudiziari” l’accesso è consentito solo laddove ciò sia strettamente indispensabile mentre, nel diverso caso in cui si tratti di dati c.d. “sensibilissimi” allora il bilanciamento tra il diritto a difesa e l’interesse dei soggetti a mantenere il riserbo su questioni riferibili al loro stato di salute o alla loro sfera sessuale deve essere effettuato in ossequio all’art. 60 del d.lgs. n. 196/2003. Con ciò significando, in tale ultimo caso, che non solo l’interesse all’ostensione deve essere indispensabile per tutelare situazioni giuridiche meritevoli di tutela ma anche che tali situazioni siano di rango almeno pari a quelle riferibili al contrapposto diritto alla riservatezza, dovendo quindi consistere, a loro volta, in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.
Nel caso di specie si ritiene che le esigenze di riservatezza paventate dall’Amministrazione nel provvedimento impugnato e dal Consorzio controinteressato, oltre che generiche e non compiutamente circostanziate, siano fuorvianti, posto quanto si dirà di seguito sulla distinzione tra programma informatico e contenuto degli atti redatti utilizzando quel programma informatico, e al contempo comunque non riconducibili alla tutela di “dati sensibilissimi, né di quelli sensibili”, da leggersi ora come rinvio alle “categorie particolari di dati personali di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento UE n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016”. Con riferimento a questi ultimi il richiamato art. 9 definisce tali i “dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”.
Da ciò discende che, contrariamente a quanto prospettato, il diritto dei ricorrenti all’accesso a fini difensivi non deve essere oggetto di bilanciamento con riferimento ad altri interessi che vengono in rilievo nella fattispecie in esame, atteso che la regola di prevalenza tra diritto a difesa ed esigenze di riservatezza di eventuali controinteressati è stata predeterminata dal Legislatore. Sul punto, invero, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo più volte di precisare come “Nei rapporti tra diritto di accesso agli atti della P.A. e diritto alla riservatezza deve ritersi che il primo, qualora sia motivato dalla cura o difesa di propri interessi giuridici, prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo, sicché l’interesse alla riservatezza, tutelato dalla l. n. 241/90 mediante una limitazione del diritto di accesso, recede quando l’accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico” (cfr. T.A.R. Campania, Sez. VI, n. 1165/2016).
Posta comunque la configurabilità dell’istanza di accesso dei ricorrenti in termini di accesso difensivo e conseguentemente l’irrilevanza, in base al dettato normativo, di ragioni di riservatezza diverse da quelle contemplate al comma 7 del richiamato art. 24 della legge 241 del 1990, il Collegio rileva, ad ogni buon fine, l’infondatezza delle stesse.
Difatti sia l’Amministrazione che il Consorzio controinteressato adducono, per negare l’accesso, ragioni di riservatezza fondate sul rilievo che la conoscenza del “codice sorgente” determinerebbe la vulnerabilità del programma e conseguentemente da un lato la possibilità di decriptare e gestire tutti i dati inseriti dai candidati del concorso (“minandone la riservatezza, la regolarità e la validità”) e dall’altro la futura inutilizzabilità dello stesso programma in altre procedure concorsuali. A tanto si aggiungerebbe la violazione del know how del Consorzio, che vedrebbe compromessa la sua attività aziendale in favore di eventuali competitors.
Su quest’ultimo aspetto, posto quanto si dirà di seguito sugli obblighi previsti nel codice dell’amministrazione digitale in ordine alla titolarità dei programmi informatici realizzati su commissione dell’Amministrazione e sulla necessità di avvalersi di software liberi o a codici sorgente aperto, il Collegio rileva che la qualificazione come documento amministrativo del programma che ha consentito lo svolgimento di un concorso pubblico e dunque l’accessibilità in termini di conoscenza delle modalità di funzionamento dello stesso sia atta a superare eventuali profili di carattere economico scaturenti dalla possibilità per il creatore del programma (peraltro in tal caso un Consorzio a partecipazione pubblica senza finalità di lucro) di sfruttare le ulteriori potenzialità commerciali del bene.
Sul punto, i ricorrenti hanno dedotto sull’impossibilità in nuce per il CINECA di rivendicare la riservatezza del software, in quanto il Consorzio non potrebbe essere considerato alla stregua di un mero operatore privato, posto che, da un punto di vista strutturale, i soggetti consorziati sono enti pubblici mentre, da un punto di vista dinamico, il suo principale scopo statutario è quello di realizzare servizi informatici innovativi a favore di tali enti.
A prescindere da ogni ulteriore considerazione sulla natura giuridica del CINECA, e sulla sua riconducibilità nel genus degli enti in house, con riferimento a quanto strettamente di interesse per l’odierna controversia, il Collegio intende ancora una volta richiamare la sentenza di questa Sezione n. 3769/2017 ove si precisa “la circostanza che, poi, l’algoritmo sia stato realizzato non direttamente da parte del M.I.U.R. per mezzo dei propri funzionari o personale dipendente ma a opera della società di cui sopra cui la creazione dello stesso è stata commissionata da parte dell’amministrazione a seguito di aggiudicazione di procedura di appalto e che costituisca, quindi, l’oggetto di una contrattazione di tipo privatistico, non è di per se ostativa proprio in quanto, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della disciplina sostanziale, l’algoritmo è diretta espressione dell’attività svolta dalla pubblica amministrazione che è indubbiamente attività di pubblico interesse in quanto interessante l’organizzazione del servizio pubblico rappresentato dalla pubblica istruzione e, infatti, il predetto algoritmo è entrato nella procedura quale elemento decisivo e lo stesso è, comunque, stabilmente detenuto dalla stessa amministrazione ministeriale che lo ha commissionato e, quindi, utilizzato per le proprie finalità”.
Ritenendo di dover tener ferma questa impostazione, che segue il solco tracciato dal principio dell’”irrilevanza delle forme giuridiche” di matrice europea, a rilevare nel caso di specie non è tanto la natura pubblica o privata dell’ente che provvede alla fornitura di un programma informatico bensì l’effettivo utilizzo che di questo ne viene fatto dall’Amministrazione. Per quanto sopra, quindi, non può che concludersi per l’accessibilità del software utilizzato per la gestione di un’attività amministrativa di indubbio interesse pubblicistico, nonché costituzionalmente rilevante, come nel caso di un pubblico concorso.
Maggior approfondimento meritano invece i profili legati alla sicurezza del programma. A dire il vero sul punto gli scritti difensivi sono piuttosto generici, limitandosi ad addurre il rischio di una violazione del programma che sarebbe determinata dalla conoscenza generalizzata del codice sorgente e che finirebbe col minare la validità stessa del concorso svolto o di altri in cui l’Amministrazione ritenesse di utilizzare il medesimo programma.
Tale affermazione tuttavia collide con la previsione normativa contenuta nel codice dell’amministrazione digitale, D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e ss.mm.ii., all’art. 68 in cui si legge: “Le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei princìpi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:
a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;
b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione;
c) software libero o a codice sorgente aperto;
d) software fruibile in modalità cloud computing;
e) software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso;
f) software combinazione delle precedenti soluzioni. (556)
…..1-ter. Ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico, secondo i criteri di cui al comma 1-bis, risulti motivatamente l’impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all’interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso. La valutazione di cui al presente comma è effettuata secondo le modalità e i criteri definiti dall’AgID”.
Vi è nella disposizione richiamata una chiara predilezione del Legislatore per la digitalizzazione dell’attività amministrativa mediante l’uso di software liberi ovvero a codice sorgente aperto.
Ma ancora più decisivo ai fini che qui interessano è il successivo art. 69 sul riuso delle soluzioni e standard aperti in base al quale: “Le pubbliche amministrazioni che siano titolari di soluzioni e programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno l’obbligo di rendere disponibile il relativo codice sorgente, completo della documentazione e rilasciato in repertorio pubblico sotto licenza aperta, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni o ai soggetti giuridici che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa nazionale e consultazioni elettorali.
2. Al fine di favorire il riuso dei programmi informatici di proprietà delle pubbliche amministrazioni, ai sensi del comma 1, nei capitolati o nelle specifiche di progetto è previsto, salvo che ciò risulti eccessivamente oneroso per comprovate ragioni di carattere tecnico-economico, che l’amministrazione committente sia sempre titolare di tutti i diritti sui programmi e i servizi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, appositamente sviluppati per essa.
2-bis. Al medesimo fine di cui al comma 2, il codice sorgente, la documentazione e la relativa descrizione tecnico funzionale di tutte le soluzioni informatiche di cui al comma 1 sono pubblicati attraverso una o più piattaforme individuate dall’AgID con proprie Linee guida”.
Dalla lettura delle due norme richiamate si evince chiaramente come l’accessibilità e la conoscenza dei codici sorgente, di regola, non determini una vulnerabilità della sicurezza dei programmi utilizzati dalle Amministrazioni ed anzi sia voluta dal Legislatore al fine di consentire il riuso dei programmi. Diversamente dovremmo concludere che solo perché siano noti i codici sorgente tutta l’attività dell’Amministrazione, anche quella delicatissima avente ad oggetto dati sanitari, vedrebbe minati la riservatezza, la certezza e la validità dei dati in essa contenuti poiché esposta ad attacchi esterni.
Solo laddove invece sussistano “motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa nazionale e consultazioni elettorali” tale accessibilità è recessiva. Tuttavia si tratta in tal caso di programmi informatici utilizzati per finalità che presentano ontologicamente profili di segretezza e appaiono completamente diverse dalla mera gestione di un concorso pubblico, il quale deve essere permeato dalla massima trasparenza a tutela stessa del buon andamento dell’Amministrazione.
In realtà la lettura delle norme consente di distinguere tra conoscenza del codice sorgente, ossia del “mero testo di un algoritmo di calcolo di un programma scritto in linguaggio di programmazione che definisce il flusso di esecuzione del programma stesso” e contenuto (dati, documenti, provvedimenti,…) elaborato tramite il programma informatico, la cui “autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità, reperibilità” deve essere assicurata dall’amministrazione mediante il sistema di conservazione dei documenti informatici di cui all’art. 44 del codice dell’amministrazione digitale.
Ciò consente di superare anche le censure sulla prospettata futura inutilizzabilità del programma per altri concorsi, che potrebbe aprire gli spazi anche su rilevanti conseguenze di carattere finanziario che l’Amministrazione potrebbe subire.
Al riguardo si è già detto che, come affermato nella precedente pronuncia 7333/2019 essa “non costituisca un parametro di riferimento per la valutazione della richiesta di accesso”, tanto sia perché la legge n. 241/1990 non contempla tale motivo come escludente l’accesso, sia soprattutto perché non è stato dimostrato che ricorra nei fatti il pericolo che riutilizzando il medesimo programma il nuovo concorso possa essere violato nella sua sicurezza. Giocoforza dovrebbe peraltro ritenersi che la sicurezza (da intendersi nel senso di violabilità dall’esterno) dell’attività dell’Amministrazione pubblica sia esposta a rischio ogniqualvolta essa utilizza programmi a codice sorgente aperto o “open source”, come previsto dal codice dell’amministrazione digitale.
Sul punto il Collegio, rilevato che l’accesso agli atti riguarda il codice sorgente del programma usato lo svolgimento della prova scritta, ossia le modalità di compilazione del foglio informatico e la fase del salvataggio dei dati, ritiene che non siano pertinenti le ragioni di vulnerabilità del sistema circa la possibilità di conoscere le modalità attraverso le quali si mantengono segreti i quesiti e le risposte corrette (per le domande chiuse) o si gestisce la sicurezza della una postazione atteso che in un caso si tratta di segmenti procedimentali che precedono la fase di svolgimento della prova scritta, nell’altro di profili attinenti alla sicurezza del programma da garantirsi attraverso password o altre modalità e che quindi restano estranei alla conoscenza del codice sorgente richiesto dai ricorrenti.
Per le ragioni sopra indicate i ricorsi riuniti devono essere accolti con conseguente obbligo dell’Amministrazione di provvedere all’ostensione di quanto chiesto dalla parte ricorrente ai sensi dell’art. 22 e ss. della legge n. 241/90. L’accoglimento della domanda nei termini di cui in narrativa rende superfluo l’esame della stessa con riferimento all’istituto dell’accesso civico generalizzato.
In considerazione della novità e della complessità delle questioni trattate sussistono eccezionali ragioni per compensare le spese.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa loro riunione:
1) li accoglie e, per l’effetto, dispone l’ostensione di quanto chiesto dai ricorrenti;
2) dichiara inammissibili gli atti di intervento.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Sapone, Presidente
Claudia Lattanzi, Consigliere
Daniele Profili, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Daniele Profili Giuseppe Sapone
IL SEGRETARIO